Quale mare ci aspetta là fuori?

Spesso, per cambiare il nostro sguardo sulla vita, basta solo credere che fuori dalle nostre prigioni c'è un mare di perdono che attende di abbracciarci...
21 Marzo 2023

«Nun te preoccupá, guagliò, ce sta ‘o mare fore, aret’ ‘e sbarre, sott’ ‘o cielo, ce sta ‘o mare fore». Le parole della sigla iniziale indicano la prospettiva che accompagna la fortunata serie tv prodotta da Rai Fiction, «Mare Fuori», giunta alla terza stagione.

Ambientata nell’Istituto Penale per Minorenni (Ipm) di Napoli, la serie prova ad andare oltre, dove c’è il «mare fore», che rappresenta per i giovani protagonisti la possibilità di una vita nuova.

La prigione per i ragazzi di «Mare fuori» inizia già ben prima dell’ingresso all’Ipm, il loro contesto familiare e sociale li avvolge in una spirale di negatività. Se sei un Ricci o un Di Salvo per te non c’è una via d’uscita, puoi stare solo a quel gioco e cercare di sopravvivere, naturalmente a discapito degli altri.

Dietro le sbarre accade qualcosa di imprevisto e sorprendente: i ragazzi incontrano uno sguardo diverso, che vede la persona oltre il crimine, per quanto certamente grave, che ha compiuto.

È lo sguardo di Massimo, il «comandante», di Paola, la direttrice, di Beppe, l’educatore, che cercano sempre nuove strade di riscatto per quei giovani già considerati perduti. In «Mare fuori» nessuno si salva da solo, ma attraverso un’esperienza di amicizia, paternità e maternità.

Nell’Ipm la possibilità di cambiamento passa per la via del perdono. È la storia di Carmine, che ricomincia a vivere solo dando retta alla propria coscienza e lasciando andare l’istinto di vendetta.

Pur con dei riferimenti solo sporadici, la serie «Mare fuori» appare segnata anche da un senso religioso. Una scena della terza stagione permette di intuirlo meglio: i ragazzi pregano insieme il «Padre Nostro» per ricordare un amico ucciso. Nella preghiera, almeno per un momento, tutti si riconoscono fratelli in umanità, segnati da un identico dolore e accomunati dal desiderio di «redenzione». Il sacro, spesso tragicamente stravolto dai rituali camorristi, si apre alla novità, umanissima ed essenziale, del Vangelo.

In «Mare fuori», in particolare nello sguardo di Massimo, Paola e Beppe, si può vedere qualcosa di «evangelico». Basta pensare all’incontro di Gesù con gli scartati del suo tempo, come Matteo: «Gesù […] lo guardò con occhi di misericordia, come nessuno lo aveva guardato prima. E quello sguardo aprì il suo cuore, lo rese libero, gli diede una speranza e una nuova vita. […] Egli sa vedere oltre le apparenze, al di là del peccato, del fallimento o dell’indegnità» (Papa Francesco, omelia, Cuba, 21 settembre 2015).

Nelle storie come quella di Carmine si può intravedere la forza rivoluzionaria del perdono. Solo la misericordia, che viene da Dio, «può “sbilanciare” il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo “mondo” che è il cuore dell’uomo» (Benedetto XVI, Angelus, 18 febbraio 2007).

Le vicende della serie fanno percepire che il «mare fore» del vero, del buono, del bello, esiste davvero, domanda solo di essere visto, basta alzare un po’ lo sguardo andando oltre le «sbarre» che sembrano precluderlo.

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