Dio… che emozione!

Quale impoverimento subirebbe la figura di Gesù, la storia del cristianesimo e la nostra comprensione degli altri e delle loro culture, senza la luce e l'oscurità dei sentimenti e delle emozioni narrati dalla letteratura?
10 Settembre 2024
  • Cristo velato (1753), Giuseppe Sanmartino

Nel tempo d’estate può capitare di imbattersi, sia al mare che in montagna, in qualche “gioiellino” della natura che con la sua bellezza impreziosisce il nostro tempo di riposo e il cui ricordo allieterà questo tempo di ripresa del lavoro quotidiano. Ciò può valere anche dal punto di vista ecclesiale, come ad esempio è accaduto quest’anno con la pubblicazione di una piccola ma densa lettera di Papa Francesco «sul ruolo della letteratura nella formazione» dei presbiteri, degli attori pastorali e di ogni cristiano: un vero e proprio regalo o dono, come l’hanno definita Chiara Gatti e Sergio Di Benedetto.

Certo, si potrebbe dire che il testo risente del vecchio dualismo tra ragione e sentimento (o emozioni), dato che esso esalta la letteratura quale «via di accesso» (13) alla parte emozionale dell’essere umano, al mondo dei sentimenti umani – quello che Marcello Neri ha (qui) chiamato «affectus». D’altra parte, è anche vero che la teologia e ancor più il magistero sono tuttora in debito verso questa sfera dell’umano: per alcuni perché essa è in fondo inferiore alla razionalità (una sorta di sentimentalismo), per altri perché è talmente superiore da sfuggire ad ogni intelligenza (in una sorta di malinteso misticismo). Non è un caso che la Chiesa abbia difficoltà nel comprendere e dialogare con i suoi contemporanei: il tempo (postmoderno) in cui viviamo ha messo al centro tale aspetto dell’umano, con tutti i suoi lati (e risvolti) positivi e negativi. Già un secolo fa Eliot parlava di «“incapacità emotiva”» e, sulla scia del poeta inglese, Papa Francesco afferma che «oggi il problema della fede non è innanzitutto quello di credere di più o di credere di meno nelle proposizioni dottrinali. È piuttosto quello legato all’incapacità di tanti di emozionarsi davanti a Dio, davanti alla sua creazione, davanti agli altri esseri umani», il che richiede in via prioritaria «di guarire e di arricchire la nostra sensibilità» (22).

Ecco perché, pur entro tali limiti, mi sembra assolutamente opportuno che un testo del magistero persegua un certo riequilibrio tra la sfera emozionale e quella razionale, pur scontando qualcosa in termini di complessità dell’analisi (quale oggi viene condotta tenendo insieme i due aspetti in modo quasi inscindibile). Lo stesso Neri vede, nella Lettera di Francesco, «l’incipit di una possibile teologia fondamentale a venire – letteralmente l’alter della Fides et ratio di Giovanni Paolo II»: la «fides et affectus» .

Venendo al testo, allora, emerge chiaramente che la letteratura è considerata quale «accesso privilegiato (…) al cuore dell’essere umano» (4), alla sua «verità» (26), che è anche il suo «mistero» (5). Perché da esso sgorgano tutte le «questioni di senso» (26) legate, da un lato, ai «sogni» (3), agli «ideali» (9), ai «desideri» (6) e alle «passioni» (8); e, dall’altro lato, alle «tensioni» (6) e ai «drammi» (7), sino agli «abissi» (13) dei «vuoti» (7) e della «noia» (28), delle «solitudini» (7) e delle «violenze, paure» (9), «angosce» (26).

La letteratura così intesa, proprio per questa capacità di attraversare senza rimuovere o nascondere ciò che Ignazio di Loyola chiamava l’«oscurità dell’anima» (27), viene (ri)valutata quale fonte di «maturazione personale» (1), come ciò che «permette di far fiorire la ricchezza della propria persona» e «rinnova e amplia il proprio universo personale» (3), come ciò che «apre nuovi spazi interiori» (2), «in direzione (…) di un ampliamento della propria sensibilità umana, e infine di una grande apertura spirituale per ascoltare la Voce attraverso tante voci» (41), evitando così di cadere in quell’«autoisolamento» che costituirebbe «una sorta di sordità “spirituale”» (20), un «grave impoverimento intellettuale e spirituale» (4).

Questa «ampiezza di prospettiva che allarga la nostra umanità» (34) sino a farci comprendere meglio la «meravigliosa diversità dell’essere umano» (35) deriva, per Papa Francesco, innanzitutto dal rapporto di immedesimazione con gli altri che la letteratura permette di instaurare – come colto (qui) anche da Marcello Tarì nei termini di un’«“uscita” verso l’altro o l’altrove (…) che ci salva da noi stessi». Essa, attraverso «il potere empatico dell’immaginazione» (34), «ci rende sensibili al mistero degli altri, (…) ci fa imparare a toccare il loro cuore» (21) e «ad ascoltare la voce dell’altro che ci interpella» (20). Grazie ad essa, «siamo messi in condizione di “vedere attraverso gli occhi degli altri”» (34), acquisendo la «capacità di identificazione con il punto di vista, la condizione, il sentire altrui» (34): «mentre sentiamo tracce del nostro mondo interiore in mezzo a quelle storie, diventiamo più sensibili di fronte alle esperienze degli altri, usciamo da noi stessi per entrare nelle loro profondità, possiamo capire un po’ di più le loro fatiche e desideri, vediamo la realtà con i loro occhi e (…) ci immergiamo nell’esistenza concreta ed interiore degli altri» (36).

Gli altri, inoltre, non sono solo le «persone concrete» con la cui «vita» la letteratura ci mette in «dialogo» (8), ma anche «la cultura del tempo» con cui la letteratura avvia un altrettanto «fecondo dialogo» (13), per coglierne il «cuore» (4), il «centro» (9). Ciò vale per le culture «antiche e nuove» (9): «il cristianesimo delle origini, ad esempio, [ha] bene intuito la necessità di un serrato confronto con la cultura classica… Ed è proprio da quell’incontro dell’evento cristiano con la cultura dell’epoca che è venuta fuori un’originale rielaborazione dell’annuncio evangelico» (11). È dunque la storia stessa del cristianesimo il banco di prova della importanza e veridicità di quanto ci ricorda Papa Francesco, affermando che «il contatto con i diversi stili letterari e grammaticali permetterà sempre di approfondire la polifonia della Rivelazione senza ridurla o impoverirla alle proprie esigenze storiche o alle proprie strutture mentali» (10).

Tale incontro e confronto continuo con la «pluralità diacronica e sincronica» (35) delle alterità culturali sviluppa o innesta nel noi ecclesiale, ogni volta sempre geo-storicamente contestualizzato, potenzialità ad esso sconosciute o appena intuite. Questo vale in avanti, guardando alla diffusione globale del cristianesimo: «la missione ecclesiale ha saputo dispiegare tutta la sua bellezza, freschezza e novità nell’incontro con le diverse culture -tante volte grazie alla letteratura- in cui si è radicata senza paura di mettersi in gioco e di estrarne il meglio di ciò che ha trovato. È un atteggiamento che l’ha liberata dalla tentazione di (…) credere che una certa grammatica storico-culturale abbia la capacità di esprimere tutta la ricchezza e la profondità del Vangelo» (10). Ma tutto ciò vale anche all’indietro, sino alla complessità dell’evento Gesù che, senza tutto quello che la letteratura ha scritto (e non solo su di lui), verrebbe mutilato della sua «“carne”»: «quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza» (14). In altri termini, ancora più netti, solo «un’assidua frequentazione della letteratura può rendere (…) ancora più sensibili alla piena umanità del Signore Gesù (…) concreto con tutte le ferite, i desideri, i ricordi e le speranze della sua vita» (15).

La maturazione, il fiorire e l’arricchimento della propria personalità e della propria cultura (anche religiosa) – in tutta la sua sensibilità spirituale e intellettuale – dipende però, nell’ottica di Francesco, anche da altri due atteggiamenti che la letteratura “costringe” a praticare – il discernimento (degli “spiriti”) e il nominare (le “cose”) – sui quali torneremo nella seconda parte di questo lavoro…

[1^ parte]

2 risposte a “Dio… che emozione!”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Mi hai fatto voglia di leggerlo, io che sono ( come voi) sommerso da libri.
    Emerge da quanto citi il motivo x cui fino a ~ 30 anni lessi tutto e di piú:
    Conoscere il mondo a partire dall’Umano. Nella impossibilitå di contatti diretti.
    Ma anche alla ricerca di Veritá ( forse ne parli nel prosieguo…
    Traspare invece come il tutto aiuti le proprie scelte, il posizionamento.
    Questo tengo, qs scarto.
    Quante altre cose si potrebbero dire!!!
    Quanti sogni nascono.. e il profumo di certi.. come Rilke.. e la luce di un Martini.. e la essenzialitá di un Ignacio… e l’ ALTUM della Parola∆√.. tutte e altro che NON puoi affrontare con le forbici facilone e strazianti di sentimentoragione
    Basta col castrare la Realtá umana altrimenti finiremo Tutti nell’imbuto della I.A.🤐🙃

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Lo scultore di “La Pietà” ha impresso nell’opera, non solo la narrazione di un fatto storico, realtà accaduta, ma la piena di tutti quei sentimenti umani che esso, l’artista, ha espresso nelle figure rappresentate; tutto quel che di intimo sentire esista e fa dell’opera un capolavoro leggibile da ogni persona. Così il Manzoni ne “I Promessi Sposi”, così Verdi in musica, e ciò che nei Sacri Libri di Dio viene riferito! Un variegato approfondire dell’intimo umano, infinito a raggiungere ogni grado di umano sentire, che spiega e narra anche che cosa grande è l’uomo creato da Dio. I Popoli visitati dal Santo Padre, lo hanno accolto con onore, presentandosi nei loro costumi tradizionali, orgogliosi della storia ancestrale della loro Terra, bellezza, musica, arte, sensibilità, dignità che sussiste nell’oggi. Tutto questo è scuola di vita umana che mette in luce anche quanto di miseria e povertà ancora persista in dispregio della vita dell’uomo nell’oggi!

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