Discernere la vita, alla ricerca dei suoi nomi

Leggere è veramente fare palestra di discernimento, in attesa della continua rivelazione del senso eccedente della vita?
13 Settembre 2024

Stiamo scartando piano piano il regalo che Papa Francesco ci ha fatto con la sua Lettera sulla letteratura. Abbiamo già visto (qui) come essa, conducendoci per mano ad immedesimarci con le luci e le ombre, con la «ricchezza» e la «miseria» (39) dei sentimenti altrui o addirittura culturalmente altri, renda possibile la maturazione e il fiorire della «nostra» (39) personalità e cultura, in tutta la sua sensibilità spirituale, intellettuale ed etica: «il lettore è implicato in prima persona come “soggetto” di lettura e, nello stesso tempo, come “oggetto” di ciò che legge… vive l’esperienza di “venire letto” dalle parole che legge» (29). Questo arricchimento, però, dipende anche da altri due atteggiamenti che la letteratura “costringe” a praticare, strettamente collegati al precedente e tra di loro: il discernimento (degli “spiriti”) e il nominare (le “cose”).

Circa il primo, Francesco parla esplicitamente di «una sorta di palestra di discernimento, che affina le capacità sapienziali di scrutinio interiore ed esteriore» (26), «una palestra dove allenare lo sguardo a cercare ed esplorare la verità delle persone (…) che può essere solo parzialmente manifestata in categorie, schemi esplicativi, in dinamiche lineari di causa-effetto, mezzo-fine» (32). Ciò non deve stupire se si è compreso che la vita è «un terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sono a priori definiti e separati» (29) e, in essa, ci si muove dentro squarci luminosi, ma anche oscuri, tra i quali la letteratura educa a penetrare e, appunto, discernere. Questo vale anche in rapporto, non solo alle persone, ma anche alle culture e alla voce dello Spirito che in esse (oltre che ad esse) sussurra: «grazie al discernimento evangelico della cultura, è possibile riconoscere la presenza dello Spirito nella variegata realtà umana, è possibile, cioè, cogliere il seme già piantato della presenza dello Spirito (…) nelle tensioni profonde (…) dei contesti sociali, culturali» (12).

In tal senso, il discernimento educato dalla letteratura non nega il giudizio, «non neutralizza il giudizio morale» – offrendo comunque «criteri di valore (…) del bene e del male, del vero e del falso» – ma lo raffina, lo rende più tenero, compassionevole, misericordioso: «impedisce ad esso di diventare cieco o superficialmente condannatorio» (38), «educa (…) alla lentezza della comprensione, all’umiltà della non semplificazione, alla mansuetudine del non pretendere di controllare il reale e la condizione umana» sino a «tradursi in sentenza di morte, in cancellazione, in soppressione dell’umanità» (39). In altri termini, la letteratura educa la capacità di discernimento del lettore «al decentramento, al senso del limite, alla rinuncia al dominio, cognitivo e critico, sull’esperienza, insegnandogli (…) l’impossibilità di ridurre il mistero del mondo e dell’essere umano ad una antinomica polarità di vero/falso o giusto/ingiusto» (40), perché essa intende il giudizio «non come strumento di dominio, ma come spinta verso un ascolto incessante e come disponibilità a mettersi in gioco in quella straordinaria ricchezza della storia dovuta alla presenza dello Spirito, che si dà anche come Grazia: ovvero come evento imprevedibile e incomprensibile» (40).

Il discernimento educato dalla letteratura, quindi, consiste in un’operazione di comprensione che permette di scorgere i dettagli e percepire i sussurri; aiuta a vedere i chiaroscuri e ad ascoltare i non detti; insegna a lasciarsi sorprendere e interrogare dalla complessità, ad avere pazienza di fronte alla mescolanza di grano e zizzania. In quanto tale, esso costituisce un atteggiamento che fa maturare e fiorire, nelle persone e in una cultura, una più profonda sensibilità spirituale, intellettuale ed etica.

C’è, infine, un terzo atteggiamento che va in questa direzione e che è strettamente collegato al discernimento. Se quest’ultimo, infatti, consente di cogliere delle persone e delle culture «i loro contorni e le loro sfumature» (senza nasconderli o rimuoverli), ne consegue la possibilità di vedere la letteratura che lo educa come «“un telescopio”» (Proust) – «un laboratorio fotografico» (Spadaro) – puntato sulla vita, in grado di «mettere a fuoco (…) l’insieme dell’esperienza umana [e il] suo significato» (30), capace di «lasciar emergere l’eccedenza infinita dell’essere» e l’«eccesso di senso» presente nel «reale» (32), quindi, «di “nominare”, di dare senso, di farsi strumento [della] Parola e della sua potenza di illuminazione di ogni aspetto della condizione umana» (43): la letteratura «esprime e trasmette la ricchezza dell’esperienza non oggettivandola nella rappresentazione descrittiva del sapere analitico o nell’esame normativo del giudizio critico, ma come contenuto di uno sforzo espressivo ed interpretativo di dare senso all’esperienza» (35). Ciò significa che essa «ci aiuta a dire la nostra presenza nel mondo, a “digerirla” e assimilarla, cogliendo ciò che va oltre la superficie del vissuto» (33).

Comprendere un po’ meglio il «senso» del nostro comune vivere, soprattutto riguardo ciò che sembra «invisibile» (21, 44), permette anche di esprimerlo in modo più adeguato, il che spesso è un ulteriore segno della maturazione e fioritura di una persona o di una cultura. Ecco perché Francesco scrive che la letteratura, così intesa, «mette in moto il linguaggio, lo libera e lo purifica: lo apre, infine, alle proprie ulteriori possibilità espressive ed esplorative», consentendo di «infrangere gli idoli dei linguaggi autoreferenziali, falsamente autosufficienti, staticamente convenzionali» (42). D’altronde, «acquisire un vocabolario più ampio» ed «imparare ad esprimere in modo più ricco le proprie narrazioni» permette di «sviluppare vari aspetti della (…) intelligenza» – «l’immaginazione e la creatività», «la capacità di concentrazione» – riducendo «i livelli di deterioramento cognitivo» e calmando «lo stress e l’ansia» (16).

Al fondo del dono estivo di Papa Francesco, troviamo dunque – con le parole di Marcello Tarì – «ascolto dell’altro ed esercizio di discernimento», «possibilità di conversione di sé e di sovversione delle narrazioni dominanti» (vedi qui). In altri termini, l’ascolto attivo degli altri in cui scoprire l’Altro e il (più) profondo, il discernimento come forma raffinata e (più) comprensiva di giudizio, la rivelazione di un senso eccedente il “si è sempre fatto così” che dona nuova linfa al nostro vivere insieme. Ancora una volta, una sorta di cammino sinodale in piccolo al quale anche la letteratura può offrire il proprio contributo.

[ 2^ parte ]

Una risposta a “Discernere la vita, alla ricerca dei suoi nomi”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    NO.
    Io lo Spirito non lo ho visto nella letteratura.
    Ho cercato/visto/trovato l’Uomo declinato in tutte le salse..su cui esercitare ( il testo lo ripete..) il discernimento.
    P.S. mi chiedete: e la letteratura Religiosa?
    Araba fenice basta?
    Proviamo a chiederci se e xchè provoca rigetto.

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