Di Ada come D’Aria

Il testo vincitore del Premio Strega, pur senza spinte verticali, permette l'irruzione di quella Grazia che aiuta ad attraversare il nostro personale Stige...
10 Luglio 2023

Non ho ancora letto gli altri testi “finalisti” del Premio Strega benché riconosca il talento di molte delle scrittrici in gara. Non posso esprimere pertanto un giudizio di valore (più o meno tecnico che sia) né una preferenza sulla base di un confronto come prevede il regolamento del concorso.

So solo che “Come D’Aria” ha vinto e io ne sono felice.

Mi ha conquistato mesi fa, d’inverno, in uno di quei giorni in cui mi sentivo una sentinella in trincea, col cielo plumbeo e il fiato corto.

Ancor prima di leggerlo lo avevo incasellato: sarebbe a buon titolo entrato a far parte della schiera degli “scritti dolorosi”, quelli ai quali tornare nei momenti “no” per scartavetrarsi a puntino.

La storia (vera) descrive la relazione tra Ada, malata (inguaribile) di cancro e sua figlia Daria, gravemente disabile.

Chiara la traiettoria, dritta verso la catastrofe.

Una pista nel deserto più accecante e inospitale da percorrere in due, con qualche raro inserto d’ombra, ma nessun miraggio, nessuna promessa di salvezza.

Ecco quindi cosa inizialmente mi ha indotto ad accostarmi a un libro così angoscioso e triste: trovare una sponda al mio dolore.

In effetti queste pagine hanno tutta la forza dirompente della verità. La semplice narrazione cede immediatamente e spontaneamente il passo alla confessione in cui l’autrice inanella, amplificandole, con un linguaggio dalla precisione chirurgica, situazioni e riflessioni che mi sono familiari: il calendario degli appuntamenti specialistici e delle terapie che quasi sostituisce, per sacralità, quello ordinario; le attese infinite, snervanti; gli avvilenti paradossi normativi e burocratici; insomma tutta la faticosa, complessa, ardimentosa gestione del quotidiano.

A questo si aggiungono squarci di intensa tenerezza, di benessere, addirittura di felicità: le piccole grandi conquiste, gli equilibrismi sovrumani, le inevitabili cadute, la frustrazione e la crisi con tutto il corredo di meste, orrende considerazioni sull’esperienza della maternità propria o altrui che, come lampi, hanno talvolta attraversato anche la mia testa e inquinato il mio cuore. Infine Ada realizza e mette in scena una delle mie paure più grandi: cosa succederebbe ai miei meravigliosi ragazzi (entrambi neuroatipici con caratteristiche proprie dello spettro autistico) se non “funzionassi” più, se da accudente fossi costretta al ruolo di accudita, se addirittura non ci fossi più?

D’accordo: questa domanda suona un tantino narcisistica; rasenta il delirio di onnipotenza oltre che l’eresia.

Intanto c’è da augurarsi di non sopravvivere ai propri figli: non starò mica sostenendo il contrario?!

Poi c’è Dio e la sua misericordia. C’è Dio e la sua provvidenza, disseminata in persone (il consorte in primis) e circostanze. E io ne sono certa; ma questa certezza, che mi accompagna, mi nutre e mi cura, non è esente da temporanee incrinature né mi solleva da personali incombenze e responsabilità.

Il racconto autobiografico della d’Adamo – è bene chiarirlo subito – non mostra spinte verticali nella dimensione della trascendenza; è tutto terreno e terrestre (centrale il valore polisemico della “gravità”); neppure si perde in bizzarre questioni di contabilità con l’Eterno e col prossimo (come la sottoscritta potrebbe invece avere la tentazione di fare…); trova invece una risposta di senso nella riconciliazione con Daria e quindi con la propria storia.

Ecco la catarsi che si riveste di novità; ecco la sorpresa dell’uovo di Pasqua: mentre leggo assisto attonita all’irruzione della Grazia. Accade l’inaspettato: che sia, cioè, proprio la protagonista, nella malattia e da una prospettiva “laica”, a condurmi oltre lo Stige.

Perché questo non è un testo rabbioso e disperato; è, ostinatamente, nonostante tutto, un canto d’amore. Un Amore traboccante, che non si risolve nella diade madre-figlia; c’è spazio per gli altri: per il compagno e padre Alfredo, al quale il romanzo è dedicato, presenza dapprima quasi ondivaga, poi sempre più “a fuoco” nella vita familiare; c’è spazio per i parenti, per gli amici veri, per i compagni di scuola di Daria, per quelli che restano, per quelli che stanno.

A mano a mano che le condizioni di salute diventano sempre più precarie, Ada avvia un vero e proprio processo d’”incorporazione” con Daria (lo definisce letteralmente così, prendendo in prestito il concetto da una serie di studi e saggi sulla danza, sua grande passione. Cosa evoca in me questo termine così potente…!). Il suo fisico debilitato si adegua a quello della figlia; gli aderisce. Attraverso questa insolita pedagogia impara forse a conoscere davvero Daria, dall’interno.  Sarà forse proprio questo a trasformare Ada in una luminosa Beatrice, a renderla finalmente D’Aria?

2 risposte a “Di Ada come D’Aria”

  1. Cristina Leonardi ha detto:

    Meravigliosa recensione, che accende una luce sulla vita coraggiosa e autentica delle persone che vivono di cuore e fa venir voglia di leggere di chi vive e scrive d’aria.

  2. maria grazia giordano ha detto:

    Post intenso e toccante. La letteratura che si fa specchio della vita e la vita che diventa romanzo per arricchire e rispecchiare altre vite…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)