La carne di Roberto

Il coraggio e la passione di uscire dal recinto
8 Gennaio 2016

A Santa Maria a Monte, il paesino in provincia di Pisa dove è cresciuto, lo davano ormai per spacciato. Nelle molte sue tracce su youtube i suoi compaesani non lo riconoscerebbero. A dodici anni le prime sigarette, i superalcolici a tredici, poi le droghe, per il gusto della sfida e il fascino del proibito. Poi il classico “trend”: musica tecno, acidi, rave-party. Dopo le medie consumatore e spacciatore, è il punto di riferimento per tanti ragazzi che cercano una dose di felicità di plastica.  

Ma non è di questo che vorrei parlare raccontando di Roberto, Don Roberto Dichiera, oggi quarantenne, prete dal 96. E nemmeno vorrei concentrarmi sul classico “cliché” del ragazzo drogato e “perduto” che si “ritrova” nella fede in Cristo. Non perché questo non sia vero, ma perché appunto ormai è un cliché. Quello che mi interessa della storia di Roberto sono invece tre cose, riassunte in tre parole, che tra tutti gli articoli pubblicati su di lui e le sue tracce lasciate su internet non emergono mai abbastanza. 

La prima. Corpo. Siamo nel 1993. In treno, mentre sta tornando dalla caserma in cui fa il servizio militare, ha un’apparizione. Ma non è l’effetto di un acido. L’apparizione è reale, “mora, bellissima, simpatica. Si chiamava Manuela. Sentii subiti qualcosa dentro. Lei scese a Bologna, ma ci eravamo lasciati i rispettivi numeri di telefono”. Così inizia una storia. “Io, che ero sempre passato di ragazza in ragazza, mi stavo innamorando. All’inizio cercai di resistere, di restare quello che ero. Ma c’era una forza strana in lei. La domenica Manuela andava a messa. E quando dormivo da lei a Bologna cominciai ad accompagnarla. Restavo in fondo alla chiesa e pensavo: che noia. Lo facevo per amore, certo, ma a poco a poco le mie emozioni a messa cominciarono a cambiare”.

Per Roberto è proprio il suo corpo a segnalare la “differenza Cristiana”. Quel corpo abituato a ecstasy, acidi, cocaina. Quel corpo che anche dopo aver incontrato Manuela, continua ad usare sostanze. Proprio quel corpo, gli fa sentire che al di sotto di queste sciabolate di emozioni, qualcos’altro si fa strada. Qualcosa che è più lieve, meno intenso, meno forte da percepire; qualcosa che forse lui stesso ha sempre cercato e mai trovato, qualcosa che si chiama sentimento. E che vive anche dentro a comportamenti non moralmente leciti. Che non si lascia facilmente dire, ma qualcosa che ha a che fare con la leggerezza, la libertà, il senso di stabilità, la serenità, e perfino la gioia, tutte cose che per Roberto, esperto di emozioni di plastica, non era nemmeno immaginabile. Qualcosa che apre per lui la “trascendenza”. Traduzione molto concreta di ciò che Benedetto XVI diceva, ripreso poi da papa Francesco: “La Chiesa cresce per attrazione e non per convinzione.”

Seconda. La parola. “Andando a messa, quello che lentamente sentivo era la novità della Parola e la sua dolce inquietudine che mi provocava. Ascoltavo: “Rimanete in me, rimanete nel mio amore, affinché la vostra gioia sia piena”. E mi chiedevo, dov’è questa gioia piena, la voglio anche io, questo senso di pienezza felice che ho sempre cercato e mai ho trovato. Dov’è? E lentamente la Parola ha riaperto il mio cuore. L’amore di Manuela era riuscito ad accendere in me la percezione che l’amore esiste, che era possibile per me, e che dentro all’amore di quella ragazza, anche tra le sue braccia, io sentivo affiorare un amore più grande, che sapeva di pienezza, di vita”.

Il contatto diretto con la Parola, senza mediazioni, senza introduzione ermeneutica, senza troppe esegesi razionali, provoca nel corpo di Roberto delle percezioni inattese, ma sempre agognate. La Parola si fa davvero carne, e riapre il cuore di Roberto, mentre lui pensa ancora di restare tra le braccia di Manuela. Una parola che mette in primo piano l’amore e non il giudizio etico, e che, proprio per questo smuove sul serio il cuore. Una parola però che arriva perché detta dentro un contesto di amore, (qui è quello tra Roberto e Manuela), che si fa strada anche nella confusione interiore e nelle emozioni surrogatorie a cui siamo abituati. 

Terza. La strada. “Da dieci anni sono un sacerdote di strada, mi spendo per evangelizzare le persone più lontane dalla fede. Vado nei centri sociali e nelle discoteche e promuovo una serie di iniziative per favorire l’ascolto delle persone. Sono felicissimo. Si parla dell’umano che è in loro, delle ferite, dell’amore, del senso delle loro vite. Ascoltandoli molto, e testimoniando direttamente che Dio mi ha amato. E alla fine preghiamo insieme, invocando l’amore di Dio che guarisca le ferite del cuore. Qualcuno mi dice: “Sono ateo”, ma poi ti ascoltano e nascono belle amicizie umane, diverse, in cui si può anche parlare di Dio. Contatti bellissimi, loro lo sentono. Non cerco di convincere, ma gli faccio sentire il contatto con Gesù”. 

Roberto oggi re-incontra quello stesso mondo da cui è uscito, ma dall’altra parte. “Per mia scelta, sul loro terreno, rientro alle 5-6 di mattina”. Chiesa in uscita? Periferie? Non c’è bisogno di parole. Ma una sottolineatura. Don Roberto vive e agisce fuori dalle tradizionali istituzioni cattoliche, pur essendo dentro un movimento di cui è assistente spirituale. E’ uno di quelli che ha il coraggio e la passione di uscire dal recinto. Forse proprio perché pescato da Dio fuori dal recinto.

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