Rispetto della diversità? La scuola c’è!

La mancata approvazione politica del Ddl Zan non fa cortocircuito con quell'inclusività che lo Stato chiede alla scuola d'oggi?
5 Novembre 2021

Nelle nostre classi siamo abituati a confrontarci con la complessità di un’utenza ampia e diversificata: studenti di origini varie, sia per geografia che per estrazione sociale, studenti dalle diverse abilità, studenti in cerca della propria identità profonda o definiti in un’identità non immediatamente riconoscibile. Intorno ad essi le famiglie sono altrettanto variegate: sempre più allargate o drammaticamente mutilate, spesso lasciate sole dalle istituzioni. Noi insegnanti dialoghiamo con questa utenza, senza giudicarla, magari cercando di rinforzare il tessuto sociale là dove è lacerato e sbrindellato. Ci troviamo spesso soli in questo compito, con l’eterna sensazione di remare controcorrente, in condizioni sempre più precarie. Poco preparati, poco riconosciuti, incaricati di gettare le basi di quella che si suppone essere la società del futuro: ma quale futuro?

Il modello è la scuola dell’inclusione, come indicata dal decreto 66 allegato alla legge 107 (la famosa Buona Scuola), che «riguarda le bambine e i bambini, le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti, risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno […] nella prospettiva della migliore qualità di vita». Parole nobili e di ampio respiro, ispirate all’articolo 34 della Costituzione italiana, lapidario e chiarissimo: «la scuola è aperta a tutti».

In effetti siamo particolarmente avanti su questi temi. Non dico che tutti gli istituti scolastici riescano ad essere efficaci nel promuovere l’inclusione, anzi in molti casi è purtroppo vero il contrario, tuttavia è innegabile che il contrasto alla discriminazione sia, almeno sulla carta, il punto di riferimento di quasi tutta la progettualità extra didattica, soprattutto negli ordini di scuola inferiori. La fatica è tanta, soprattutto in quei contesti in cui “ebreo” viene ancora usato come insulto, come anche “negro”, “down”, “frocio” o “lesbica”; ma i regolamenti scolastici ci impongono di intervenire quando un nostro alunno diventa bersaglio di aggressioni o soprusi, di qualsiasi natura siano. Non bastano il buonsenso e la deontologia professionale dei singoli: se la normativa non è aggiornata è uno strumento del tutto inefficace per riuscire a difendere gli alunni vessati.

È sufficiente questo bagaglio normativo? No di certo, perché dopo la scuola c’è la società reale ad attendere i ragazzi, e questa appare spesso assai diversa da quella vagheggiata dall’articolo 3 della Costituzione, in cui tutti gli uomini sono riconosciuti uguali. Certi diritti che oggi appaiono ovvi (come l’uguaglianza tra le “razze” o la parità di diritti tra uomini e donne) hanno avuto bisogno di lunghe rivendicazioni prima di essere riconosciuti e nuove categorie hanno avuto bisogno di essere inventate per adeguare i principi costituzionali al tempo presente (come il femminicidio, ad esempio). Nuove esigenze sociali e politiche nascono ad ogni generazione e la legge deve riuscire a cogliere i segni dei tempi per restare sempre aggiornata.

È così che la legislazione italiana ha recentemente cercato di inserire tutele specifiche per alcune categorie fino a poco tempo fa quasi invisibili, se non quando erano vittima di sopruso e violenza. Il Disegno di Legge Zan, seppure con alcuni limiti come quelli che Mattia Lusetti ha evidenziato (qui e qui), aveva l’ambizione di promuovere una più diffusa “cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”. Invece non è stato approvato, non per le suddette criticità tecniche (in quel caso sarebbe stato discusso e corretto, anziché “ghigliottinato”), bensì per la presunta guerra di chi credeva che proteggere i diritti di quelle minoranze fosse in qualche modo un attacco alla naturalità della coppia eterosessuale e alla famiglia nucleare, peraltro già in grande crisi per motivi che nulla hanno a che vedere con le coppie omosessuali. Incomprensibili le esultanze sguaiate in parlamento e il plauso di numerose associazioni ultraconservatrici: come se difendere alcune categorie significasse automaticamente delegittimarne altre.

Lo Stato che pretende da noi insegnanti di incentivare la capacità inclusiva dei nostri alunni (cosa che noi siamo ben contenti di fare), è lo stesso che declina le proprie responsabilità in tal senso. Perciò siamo a un bivio: o decidiamo che la scuola è troppo avanti e le facciamo cambiare passo rispetto alla tutela dei più deboli, o ricalibriamo sulla base del suo lavoro le priorità di investimento per l’intera società civile. Altrimenti lo scollamento tra scuola e società arriverà ad un punto tale da rendere il nostro lavoro poco più che un vacuo esercizio di dialettica.

Io personalmente mi sento orgoglioso di lavorare in una scuola inclusiva, anche quando questo comporta qualche impegno in più: confido che la futura classe dirigente che si sta formando sui nostri banchi abbia la forza di ripartire da qui.

 

3 risposte a “Rispetto della diversità? La scuola c’è!”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Il Presidente della Repubblica On.Mattarella, ogni giorno quasi, da ogni pulpito sia invitato, invita i rappresentanti il popolo, in ogni ruolo si trovino a operare, a far riferimento a dei valori che siano autenticamente provati perché costituiscano e creino fiducia nelle nuove generazioni. Ed è per questa sua statura interiore di autentico sentire che il cittadino a sua volta prova orgoglio condiviso di essere cittadino e italiano, con tutto quanto di tradizione siamo capaci di mantenere viva. E’ anche dare valore a che cosa significhi “libertà” quella costruttiva, Libertas, alla quale è per la quale tanti hanno dato tutto di se. Il Presidente che oggi è in procinto di lasciare l’incarico, ha fatto scuola, tanto da far sperare al cittadino comune, che tali peculiarità personali vengano considerate perché corrispondono a un bisogno della comunità quale per i problemi incombenti necessità di fiducia e perseverante coraggio in ideali sicuri.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Oggi il caso del giovane che appare vittima per aver ucciso il padre in difesa della madre, provoca pena, un sentire di pietà verso di lui stesso. Il giudizio emesso dalla Corte sarà certamente esemplare secondo la Legge, e certamente tutto è stato considerato anche attenuante ma al cittadino comune, per strano che appaia, viene di alzare la mano in una clemenza ancora superiore a favore di questo giovane. Anni di sopportate liti, vittima non sol l’altro genitore ma anche i conviventi, egli stesso, in una età in cui si aspira a credere negli affetti dai quali imparare, e che invece si presentano,violenza di riflesso. Quel giovane può aver commesso il misfatto con dolore, da tutto quanto patito in debolezza di età, a difesa di un altro bene, del genitore debole, vittime insieme, un perdurare di violenza quasi senza speranzapossibile in un cambiamento. Perorare clemenza nei suoi confronti viene spontaneo.perche grande gli rimane il peso da portare per la vita.

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Purtroppo nella natura umana convivono sentimenti che possono essere buoni ma anche cattivi: fare di un uomo una persona la quale anche per le sue diversità può arricchire una comunità, questo richiede una educazione supportata da Leggi da rispettare. E’ quando impropriamente si fa violenza Per il prevalere di ragioni egoistiche che escludono il benecomune che si rompe quella possibilità di convivenza umanamente civile. Oggi se ci troviamo ad affrontare cambiamenti climatici tali da non saperli come affrontare. Sembra sia proprio per questo prevaricare di un volere/potere su un altro, a originare certa ldisparità tra fame e sete di molti e invece dei pochi che siedono a tavola satolli. Tutti però oggi coinvolti ad affrontare un virus capace di morte, sentimenti umani, ispirati a umana civiltà, o fraterna solidarietà sono richiesti a diventare medicina per influire a porre fine a questa pandemia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)