Elogio del sì

Caro Grillo, davvero dire no è di per sé «la forma più bella e gloriosa della politica»
24 Agosto 2016

Non è la prima volta che mi trovo tra coloro che Beppe Grillo e i suoi seguaci mandano aff…, ma dopo la sua affermazione del 19 agosto mi ci ritrovo con un po’ più di orgoglio. Quel giorno, il leader ha dichiarato: “Oggi il No è la forma più bella e gloriosa della politica” e “chi non lo capisce vada aff…”.

Io non lo capisco e se lo capisco non sono d’accordo. Anzi, penso chi si tratti di una delle frasi più anticristiane, e nello stesso tempo più antidemocratiche, che mi sia capitato di sentire negli ultimi tempi. Perché un conto è dire un no a un referendum o ad altre proposte su cui i cittadini sono chiamati a votare, un altro conto è teorizzare che la politica si fa con i no.

La vita del cristiano è impostata sul sì. È un sì la vita di fede, ma è un si anche la vita sociale improntata al Vangelo. Il sì di Maria all’Angelo non era solo un atto di sottomissione, ma l’affermazione di una volontà di partecipazione al disegno salvifico di Dio.

Dio lascia l’uomo libero e il cristiano sceglie. Se dice sì, lo dice a tante cose, ad esempio all’impegno per il bene comune. È un sì la solidarietà, che «non è un sentimento di vaga comprensione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti» (Sollecitudo Rei Socialis, n. 38). E sentirsi responsabili – e comportarsi di conseguenza – è un altro modo di dire sì: agli altri, alle relazioni, al prendersi cura delle cose e delle persone, al cercare soluzioni ai loro drammi. Il non fare questo è appunto «un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (Laudato si’, n. 25).

Chi dice no non si assume responsabilità, non si impegna per il bene comune, non costruisce comunità.

Chi dice no non partecipa: resta a guardare e dunque impoverisce – e a poco a poco uccide – la democrazia. La critica e la protesta sono strumenti fondamentali, senza i quali non ci sarebbe progresso. Ma dopo la pars destruens deve esserci una pars costruens; dopo il conflitto la pace; dopo la critica la proposta.

La democrazia non può essere distruttiva: se vuole vivere deve essere costruttiva, perché deve trovare le risposte ai bisogni dei cittadini e quindi si basa sul confronto, sul dialogo, sul superamento dei conflitti: «La pratica della democrazia offre ai cittadini l’opportunità di imparare gli uni dagli altri, e alla società quella di formare i propri valori e definire le proprie priorità. Lo stesso concetto di “bisogno” (inclusa la definizione di “bisogni economici”) richiede una discussione pubblica e uno scambio di informazioni, opinioni e analisi. In questo senso la democrazia ha una funzione costruttiva…» (Amartya Sen, La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’occidente, Mondadori 2004).

Chi dice solo no, si colloca al di fuori della discussione pubblica, perché non è disposto a dialogare. E invece, la Chiesa ci insegna che «tutti gli uomini, credenti e non credenti, debbano contribuire alla retta edificazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire certamente senza un sincero e prudente dialogo» (Gaudium et Spes, n. 21).

Chi dice solo no non fa politica. Perché la politica è “arte nobile e difficile” (Gaudium et Spes, n. 86), “maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Octogesima Adveniens, n. 46), la “forma più alta della carità” (Paolo VI). E non si può essere né fare tutto questo senza un’idea di che cosa è bene e di come lo si raggiunge. Senza, cioè indicare una strada che possa essere condivisa.

Criticare è facile, ma non basta a cambiare il mondo. Il più delle volte serve solo a deresponsabilizzarsi e a lasciare che le cose continuino ad andare come vanno: dare la colpa agli altri è il miglior modo per tirarsi fuori e continuare a fare quello che ci piace. È un atteggiamento individualistico che mette al riparo dall’errore: chi non fa non sbaglia e può facilmente autodichiararsi Puro, Giusto, Impermeabile alla corruzione.

Ma di persone così la nostra società non ha bisogno. Abbiamo bisogno di progetti, di obiettivi, di prospettive. Di gente che si impegni. Abbiamo bisogno di sì.

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