La transizione in atto ci obbliga a ripensare le fondamenta del nostro pensare e vivere le comunità. Per questi motivi urge una riflessione sulla politica che appare sempre più schiacciata dalle logiche dei media, della tecnica e dell’economia. Di questi temi discutiamo con Pierluigi Castagnetti. Onorevole, in un contesto di globalizzazione estenuante, di strapotere della tecnica e di pervasività delle dinamiche economiche-finanziarie, quale ruolo spetta alla politica?
Alla politica spetta sempre il compito di capire la realtà, di studiarla, analizzarla e guidarla. Robert Musil fa dire al protagonista dell’Uomo senza qualità che la «politica è il luogo in cui si decide ciò che accade», in cui cioè si prende atto di ciò che accade e lo si racconta come fosse una decisione propria. Se fosse così, saremmo all’inutilità della politica. Viviamo un tempo infatti di vero “cambio d’epoca” – per dirla con papa Francesco – in parte “deciso” da diversi “soggetti decisori” facilmente individuabili, come quelli economici e finanziari, in parte semplicemente accaduto come conseguenza di decisioni precedenti i cui effetti non siamo stati capaci di prevedere. Il recente articolo di Mario Draghi sull’Economist fa una descrizione solo di una parte, seppur importante, di questi cambiamenti. La politica deve intraprendere allora la propria iniziativa partendo dalla realtà nuova e non da se stessa. Alla gente interessano i problemi prodotti dalla nuova realtà, non la nostalgia di se medesima attorno a cui sembra avvitarsi una certa politica, o meglio, certi politici. Infatti per Francesco «La realtà è più importante dell’idea», come dovremmo sapere.
– La velocità dei media ha impresso alla politica una sorta di agenda sempre più superficiale ed emergenziale. Perché in questo contesto è importante riprendere il senso della storia?
Perché senza un disegno non si va da nessuna parte. Purtroppo la mediatizzazione della politica l’ha trasformata in una nuova forma di spettacolo. Se la politica deve fare spettacolo, allora i partiti mandano in televisione gli uomini di spettacolo, i battutisti, i più carini, i naturaliter-empatici, non i più preparati, i più seri, i più dotati di senso della storia come lo definiva Dossetti, o senso degli eventi come lo definiva Moro. Che, in ultima analisi, non è nient’altro che la capacità di inquadrare e leggere gli avvenimenti come tessere di un percorso che ci precede e ci succederà.
– Alla costituente fu avanzata un’impostazione personalista volta alla costruzione di istituzioni e di comunità tese a riconoscere la centralità della persona umana. È ancora attuale questo principio?
È attualissimo. Se vogliamo uscire da un così diffuso senso di smarrimento e cercare un punto di ripartenza, non possiamo trovarlo che nella centralità della persona umana e della comunità. A cosa servono la politica, la democrazia, la comunità, se non a organizzare la condizione di una convivenza fra le donne e gli uomini, nella giustizia, nella solidarietà, nella condivisione, nella libertà e, dunque, nella Fraternità e nella Pace (alla luce dell’insegnamento di Francesco). Se ben riflettiamo, il magistero del nostro Papa è molto semplice nella sua suggestiva profondità: la cura del creato, la fraternità e la sororità, la pace. Non è un progetto politico in senso stretto, è un progetto di sopravvivenza del genere umano. È vero che la gente va sempre meno in chiesa, ma è altrettanto vero che la gente che pensa è colpita da questa straordinaria “produzione di senso” del magistero del Papa. Ogni serio proposito di “ricominciamento” non può che partire da qui.
– Al recente meeting di Comunione e Liberazione svoltosi a Rimini, un gruppo di intellettuali e di operatori del sociale ha proposto il piano B per rilanciare attraverso uno “spartito senza partito” l’impegno dei cattolici in politica. Altri, invece, continuano a sostenere l’importanza della fondazione di un nuovo soggetto partitico d’ispirazione cristiana. Qual è il suo pensiero su queste posizioni?
Non mi piace il titolo del documento. Partire dal pensiero non è mai un piano B. Dovrebbe essere la norma, il vero piano A. Ciò detto, mi pare importante l’iniziativa di chi, partendo dalla propria fede, si interroga e cerca di capire se e come è in grado di dare una mano all’umanità di questo tempo. Personalmente non credo che la fede basti a rispondere a questioni di natura prettamente politica, comprese quelle economiche. Lazzati diceva: «non basta essere un architetto cattolico per essere un bravo urbanista. Può servire, ma non basta». Nell’immediato dopoguerra, le particolarità di una certa stagione storica (il contesto internazionale, il perdurante legame dei comunisti italiani con l’Unione Sovietica, la disgregazione dell’area laica, il peso sociale della cosiddetta cattolicità italiana, la ricchezza di un ceto dirigente di prim’ordine che si riconosceva in quest’area culturale) ha sicuramente favorito la nascita di un partito politico di ispirazione cristiana. Oggi queste condizioni non ci sono più e, dunque, non si possono evocare risposte nate in contesti culturali, sociali, religiosi e politici che oggi, appunto, non ci sono più. Ciò non toglie che nel paese sia presente una domanda di politica nuova e persino di spiritualità politica, di natura non necessariamente religiosa. Ancora recentemente Mario Tronti, il grande filosofo padre del filone di pensiero “operaista” all’interno della cultura marxista, sosteneva la necessità per la politica di alzare gli occhi verso la trascendenza. L’immanentismo della politica, diceva, è uno dei guai maggiori di questo tempo. Ebbene, in questo quadro, i credenti cristiani hanno qualcosa da offrire alla politica? Se sì, come io credo, discutiamo del come.
– Di recente Luigi Giorgi, coordinatore delle attività culturali dell’Istituto Luigi Sturzo, ha pubblicato un significativo studio su Giuseppe Dossetti intitolato Giuseppe Dossetti. La politica come missione (Carrocci, 2023). Perché, a suo parere, è importante riprendere la lezione di testimonianze di cattolici in politica come quella di Dossetti?
In effetti trovo anch’io molto bello il libro di Giorgi. Perché ricordare Dossetti? Perché è stato una delle personalità maggiori del cattolicesimo italiano, sia come costituente che come monaco. Non credo che le cose che ha fatto per la democrazia italiana e per la Chiesa siano ripetibili oggi, essendo legate a un diverso periodo della storia e, dunque, di lui dobbiamo cogliere il senso profondo del suo lavoro per vedere se e in che misura possa aiutarci oggi. A lui il merito di avere dato alla nostra Costituzione “carattere” cioè fisionomia originale, nel rispetto degli apporti di tutte le forze politiche, convogliandoli in una sintesi alta e proiettata al futuro, espressa in particolare nei Principi fondamentali. Dimostrando in tal modo il senso vero della mediazione in politica, che non può essere il frutto di baratti o incontri a metà strada. In questo senso non è corretto parlare banalmente di compromesso realizzato nel testo costituzionale: si può dire compromesso solo se si intende il mettersi insieme, mettere insieme le radici ideali delle diverse ispirazioni per ricavarne un pensiero nuovo. Ecco perché la mediazione in politica è insieme un metodo ineludibile e un processo difficilissimo, che richiede in un certo senso la spoliazione dei propri punti di partenza per costruire punti di approdo non del tutto immaginati prima. Essere riuscito, con intelligenza ed empatia culturale e direi spirituale, a far crescere nell’Assemblea Costituente l’adesione a un impianto decisamente personalista, è stato forse il suo merito maggiore. Nella vita politica tout court Dossetti, assieme ad altri evidentemente, ha portato poi il valore del rigore, da non confondere con la rigidità o l’integralismo, essendo invece una forma del senso della coerenza, della fedeltà ai principi e della responsabilità delle parole. Da qui il suo impegno per la pace. La politica è infatti l’altro nome della pace e non la continuazione della guerra in altri modi. Se la politica non è in grado di costruire le condizioni, sia pure progressivamente e con fedeltà alla realtà, per la convivenza, nella giustizia e nella pace, dei popoli, allora non serve, a niente. Il suo impegno a livello ecclesiale, che nel tempo è durato assai di più di quello politico, è stato altrettanto ricco e caratterizzato da un lato dal rifiuto dell’idea di cristianità, intesa come realtà sociale strutturata in quanto estensione di un supposto potere ecclesiale, e dall’altro da un ostinato e ininterrotto impegno per il ritorno al Vangelo, sine glossa, essendo il solo documento costitutivo della volontà del fondatore del cristianesimo, che noi conosciamo. Il suo apporto al Concilio è conosciuto, e possiamo dire, che è molto superiore a quello di cui si è detto e scritto. Ma nondimeno è importante la modernità della sua concezione monastica. Il monaco vive ritirato dalla città, ma non distante e disattento alla vita degli altri uomini: «per questo suggerisco ai miei confratelli e alle mie consorelle di tenere sul comodino oltre la Bibbia, anche un libro serio di storia», perché il deserto del monaco d’oggi è il tempo in cui vive, sia pure con distacco personale. In questo senso il monaco Dossetti non ha mai cessato di mettere a disposizione della sua Chiesa il bagaglio sapienziale coltivato nella incessante frequentazione della Parola e dell’Eucarestia.
Chiedersi come mai non c’é piú zio Battista che di fronte alla croce DC:
“IO il voto a Cristo lo devo dare!!”
Leggere le testimonianze dei tantissimi ‘skappati’…
Chiedo troppo??
Perche’ ci sia un partito di “ispirazione cristiana” ci devono essere prima di tutto degli uomini e donne, cristiani, che si dedicano alla politica. Nel dopoguerra ,negli anni 50- 60 ai tempi di Dossetti ,di Moro, di Andreotti, c’è ne erano. Oggi semplicemente non ci sono piu’ .
Quello che non si vuol vedere e non si vuol capire e’ che ormai i cristiani convinti ,che dedicano la loro vita e le loro forze alla fede, sono pochissimi, rarissimi, e quei pochi e rari non si occupano di politica. Come i seminari sono vuoti di vocazioni, così: anche i politici cristiani non esistono piu’. E’ terribile ma e’ cosi’ : in pochi decenni tutto si e’ dissolto. Oggi viviamo in un epoca post-cristiana ,anche in politica .
Leggere di politica e sentirsi girare la testa… Soprattutto se ci si rende conto sia della povertá/inettitudine/faciloneria/improvvisazione/usucapione dei politici attuali..
Chiedersi come mai l’altalena dei partiti&la disaffezione al voto, chiaro segno di una domanda di base che nn trova nessun offerente valido..
Mission impossible, specie se si é ‘capaci’ ( =consapevoli) dei vincoli insuperabili entro i quali qualsiasi azione ‘politica’ DEVE muoversi (multinazionali&aeuropa&sistema finanziario…) ti cascano le braccia! Meglio nn perdere tempo e ricercare i fondamentali. Come fa Francesco:clima migranti, diseguaglianze..
Un partito di ispirazione cristiana? Oggi perché no? Forse occorre quel coraggio che la Comunità di Sant’Egidio sta dimostrando nell’incontro Inter.le a Berlino “L’Audacia della Pace” a promuovere dialogo, solidarietà, a tutti i livelli a contrastare l’aumentare delle diseguaglianze, e come non tacere di un mondo che sembra sempre più involgersi nello smog mortale,causato dalle guerre. Il cristianesimo per sua natura non può vivere nell’ombra, da coscritto in politica; Cristo è stato audace, ha posto alla attenzione del mondo il Vangelo della vita, ha comandato di farlo conoscere fino ai confini della terra mandando uomini, ad essere sentiti da Re allora e dai governanti le Nazioni fino a oggi. E Sant’Egidio ha il coraggio di uscire per questa missione politica, reclamare il diritto alla Pace tra i Popoli, Non sarebbe Giustizia se a cittadini oberati da povertà e mortalità di varie origini, non avessero chi a rappresentarli quando nel diritto e’ di Bene comune
Il cristianesimo impone la libertà di coscienza, crede in valori come l’onestà, l’umiltà, il disinteresse, l’attenzione agli ultimi, il sacrificio… tutte cose di minoranza. La politica, soprattutto oggi, è sottomessa alla ricerca del consenso. A tutti i costi, sennò sei un perdente.