Scegliere la felicità, da adulti educatori

Essere umani vuol dire misurarsi con le scelte: quelle semplici, immediate, e quelle che scuotono, spingono a mettersi in discussione e a prendere decisioni che ci fanno oltrepassare la tentazione di restare ‘parcheggiati’ nell’immediato e nell’ipotetico.
2 Febbraio 2024

Scegliere (e vivere) non è un gioco da ragazzi, si dice.
Ma l’impresa educativa in qualche modo afferma il contrario. Comprendendo infatti il valore fondante della scelta e il suo impatto antropologico – e dunque la sua rilevanza pedagogica –, la identifica come passaggio determinante per allenare la libertà, in tutti i passaggi e le stagioni del crescere.
“Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere”, diceva James Joyce.
Se alcune delle scelte che facciamo ogni giorno sono semplici e immediate, altre invece ci scuotono, ci spingono a metterci in discussione e a prendere decisioni che poi contribuiscono a definirci sia ai nostri occhi sia in relazione a chi ci circonda. Certo il processo non è del tutto lineare: un ostacolo, ad esempio, può giungere dal conflitto tra l’adesione ai valori in cui crediamo e quelli che la società o il contesto di riferimento ci propongono come dominanti in un determinato periodo storico. Alcune scelte possono essere guidate dal tentativo di ridurre la distanza tra quello che effettivamente siamo e quello che vorremmo essere, in meglio o in peggio, a seconda della prospettiva morale che – più o meno consapevolmente – ci anima.

In un tempo in cui si moltiplicano le possibilità, intraprendere una sola strada non si configura più come obbligo – né sociale né morale – ma semplicemente come opzione. Il rischio è che la rinuncia a ‘definirsi’ divenga una ‘deformazione’, cioè una mancanza di quella ‘forma’ – interiore, psicologica, spirituale, emotiva – che consente a noi stessi di identificarci.
Agli adulti di oggi è dato il compito arduo di sapersi dire (dunque ‘definire’), affrontando per primi il magma dei significati, delle ipotesi, delle possibilità e delle paure, per poter accompagnare le nuove generazioni a elaborare la propria umanità, nella logica di una libertà che non resta prigioniera delle ipotesi, ma si orienta nel mondo e va alla scoperta di nuovi significati.

In un contesto dove tutto cambia velocemente e ciò che dura a lungo è solo ‘noioso’, le relazioni umane si assottigliano, si fanno fragili perché esposte a ogni variazione d’umore, ogni sensazione, ogni pulsione.  Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l’illusione di avere tante “altre scelte”, che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all’altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un ‘posto’ in cui vivere. Questo atteggiamento ci pone di fronte dolori e problemi, ma la gioia è nello sforzo comune per superarli.

La “società liquida” in cui i cambiamenti avvengono in fretta, in cui tutto è incerto ,e dunque, anche la percezione del valore dell’umano, del buono e del vero sono segnate dalla provvisorietà, ci impone una sfida educativa importante: aiutare i giovani a coltivare radici, a maturare affetti, a esercitarsi in una dedizione che – dovendosi misurare con il tempo – richiede costanza, pazienza e impegno quotidiano.
Viviamo in un mondo e una realtà dove siamo continuamente tentati. Il filosofo Lévinas ha parlato della “tentazione della tentazione”: è l’eccitazione dell’“essere tentati” ciò che in realtà desideriamo, non l’oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un’apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è una sorta di imboscata nella quale tendiamo a cadere, gioiosamente e volontariamente.

Dove sta allora la felicità? La logica mercantile predominante (quasi un ‘vangelo’ del consumo) ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. Ma coltivare la nostra e altrui umanità richiede tempo ed energia. Occorre ‘immergersi’ nel reale, alla ricerca di ciò che mi rende autentico, lavorando e per far crescere legami: non semplici connessioni/disconnessioni che nutrono l’egocentrismo, ma relazioni in cui si svela anche il bene dell’altro, scelte di cura e compassione, nella fatica benedetta di restare aperti a quel mistero che è il vivere.
L’adulto educatore – che si misura anch’esso con la tentazione di accontentarsi, di anestetizzarsi, di appiattirsi sul presente – sceglie di stare vicino a ragazzi e ragazze negli snodi importanti della loro vita, annunciando, come diceva Kierkegaard, che imparare a camminare dentro le proprie scelte è meglio che lasciarsi sedurre da tutte le occasioni che si possono presentare. Non per ristrettezza mentale, noia o acquiescenza all’abitudine, per ma per dare spazio e verità alla propria libertà.

Questa è la passione e la prospettiva di felicità che anima chiunque osa avventurarsi sui sentieri educativi. Oggi è anche e soprattutto una sfida a non piegarsi a una logica funzionale, ma a continuare a osare guardare un po’ più lontano, anche quando sembra di avere già guardato abbastanza.

2 risposte a “Scegliere la felicità, da adulti educatori”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Per esempio oggi sembra che la persona sia più istruita dei diritti, che di doveri; anche in ambiente di lavoro, accade che chi lo cerca ponga riserve e anche rifiutarlo se non alle proprie condizioni, il che fa presumere già avere ciò che gli necessita anche senza doverselo guadagnare. Per meglio operare richiede applicazione, anche magari abnegazione se rivolto in aiuto a persone, dunque anche avere senso del dovere sia a guadagnarsi il pane che nell’aiutare chi necessità di aiuto. Sono accaduti fatti di violenza sia entro ambiti scolastici che in strada, che si ripetono allarmanti., Forse manca questo impegno educativo ai doveri morali e civili, dati per esistenti . Senza questa istruzione il dialogo diventa difficile, e in libertà l’individuo esprime se stesso anche in atti di violenza. Impulsiva

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Forse è necessario sapere come diventare adulti: può succedere di assistere a un comportamento da bambini in adulti, come quando troppo spesso si coniuga “l’io voglio”e non conta il parere, la situazione, il pensiero dell’altro.. Per saper fare le cose, occorre imparare da se stessi e dagli altri, comporta imporsi la pazienza che richiede il lavorare senza fretta seguendo l’idea che si vuol raggiungere. Si pensa che sia cosa inutile educare, una imposizione alla persona la quale trae conoscenza dal suo agire libero. Questa scelta però evidenzia che a molti i giovani mancanti di di ideali viene meno lo spirito e l’impegno, la passione e l’amore a perseguirli. E’ anche dalle sconfitte che si impara la fortezza.Dio si è fatto conoscere anche come educatore del suo popolo. così l’uomo diventato adulto non ha giustifica se non addebitare a se stesso la responsabilità dei risultati raggiunti in libertà conoscenza e deliberata volontà.

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