Sara e il caso

Che fatica recuperare l’idea che Dio sia libero in sé e per questo ci lascia liberi davanti a lui. Su di loro posso comprenderlo. Oggi è davvero dura per loro che quasi “soccombono” davanti alle responsabilità di una libertà vera.
4 Novembre 2013

A volte i sentieri didattici sono davvero strani. La partenza è stata un’intervista con padre G. Amorth, il più famoso esorcista italiano, l’approdo una interessante discussione sul caso, la libertà e il destino. Una riprova del fatto che in educazione il “controllo” del processo non può essere preordinato.

“Il caso è più razionale del destino”. La sentenza, quasi lapidaria, arriva dall’ultimo banco, sotto la finestra. Sara l’anno scorso non faceva religione. Quest’anno si. Non ho ancora capito perché. Ma sembra davvero sveglia e soprattutto curiosa di “lavorare” la sua idea: “Io non sono cattolica, ma qualcosa credo che ci deve essere”. I suoi occhi neri e profondi scrutano ogni cosa che si dice in classe nel tentativo di chiarire cosa possa essere questo “qualcosa”, senza mai lasciare che la sua testa abdichi al suo compito.

E mi piace per questo. E la sua frase con cui infila un sentiero inatteso, indica proprio il suo modo di affrontare le cose religiose. “Ok, Sara, ma cosa vuol dire per te più razionale? – le dico”. “Eh, prof., più razionale è una cosa che è più chiara, che è difficile dire che non è vera”. “Bhè, e chi l’ha detto che ci sia il caso – replica Alice -, a me invece sembra che le cose capitino per destino”. “In che senso? – le dico”. “Credo che le cose che facciamo siano già state decise da qualcuno e che noi le possiamo solo vivere, e anche quando pensiamo di cambiarle, in realtà quello era già scritto. Cioè, nel senso che … insomma sì … va bhè, mi sono persa prof! Comunque ha capito vero?”

“Non so se ho capito – rispondo – io lo dico così. Qualsiasi cosa tu faccia, in realtà non sei tu a poter decidere, qualcuno l’ha già decisa per te”. “Eh sì, prof. così… – chiude Alice”. “Allora, lo chiedo a tutti e non solo a Sara ed Alice. Io credo che le loro due idee, che sembrano così diverse, abbiano in comune una cosa. Secondo voi cosa?” “A me veramente sembra – aggiunge Sara – che Alice dica l’esatto opposto di quello che dico io. Se ci fosse un destino già scritto allora dovrebbe esserci anche un senso, insomma, un ordine nelle cose, invece a me sembra che non ci sia né ordine né senso in quello che succede, il più delle volte”. “Bhè l’ordine c’è se tu lo vuoi vedere”. Filippo interviene ed apre un altro fronte. E continua: “Se io faccio una cosa per un motivo e quel motivo poi arriva, allora l’ordine c’è, perché glielo vedo io”.

“Vuoi dire Filippo che tu pensi di essere davvero quello che ha scelto di fare quella cosa e ne vede le conseguenze”. “Sì, prof. è così, se no mica saremmo liberi”. “Infatti io non credo che siamo liberi – aggiunge Alice”. “Troppo comodo. – ribatte Sarà – Così non è mai colpa di nessuno se una roba va male perché tu l’hai fatta andare male”. “Posso essere d’accordo Sara, – aggiungo io – ma anche nel tuo modo di pensare rischia di essere così. Tu pensi di essere responsabile di quella cosa che va male, ma poi di fatto, se non c’è né senso né ordine, a che serve questo? E’un po’ come dire, in fondo, che essere colpevoli o no non cambia niente? In fondo tu e Alice rischiate di non riconoscere davvero cosa sia la libertà dell’uomo. Per lei è fin troppo stretta e alla fine non esiste; per te è fin troppo larga e senza senso e alla fine si svuota e non serve a nulla. Ma vi da così fastidio pensare di essere liberi?”

“No, per nulla prof. – ribatte Filippo – io penso di essere libero. Certo, non al 100%, ma se faccio una cosa, quella la decido io e gli effetti sono i miei.” “Ma arrivano anche sugli altri ovviamente. – aggiungo io – Vedete se vogliamo salvare la nostra libertà davvero, dobbiamo rinunciare sia al caso che al destino”.  “Ma non è vero prof. – insiste Sara – se ci fosse un senso si vedrebbe, insomma!” “Bhè, – ribatto io – forse Filippo non ha tutti i torti. Il senso c’è se lo vuoi vedere. Se no, non ti appare. E questo perché se esiste un “Qualcuno” che sta sopra la vita e il mondo io credo che Lui per primo sia libero. E mica può rivelarsi così direttamente e chiaramente da costringerci a dover ammettere che c’è! Se è libero, ci lascia liberi! Anche di non vederlo”.

Che fatica recuperare l’idea che Dio sia libero in sé e per questo ci lascia liberi davanti a lui. Su di loro posso comprenderlo. Oggi è davvero dura per loro che quasi “soccombono” davanti alle responsabilità di una libertà vera. Troppo pesante, per ora, per loro esili spalle. Lo comprendo un po’ meno invece su persone adulte, soprattutto di Chiesa, che invece dicono di avere “spina dorsale”. Come si fa continuare a parlare, ad esempio, di vocazione come di un progetto che Dio ha su di noi. Come se fosse una tegola che ci cade in testa al di là della nostra volontà? Ci lascia liberi o no? Possiamo scegliere la nostra vita davanti a Lui o no? E ancora. Visto che crediamo che la Chiesa traduce Dio qui e ora, possiamo assumerci la nostra libera responsabilità di fronte alla Chiesa? O già questo ci mette fuori dall’amore di Dio? Resta uno spazio o “non cade foglia che Dio non voglia?” Questo è il Dio di Gesù Cristo?

 

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