La forza della gratuità

E se posso fare una cosa che gli piace, io sono felice. Magari non conta nulla per lui e forse nemmeno per me, ma sono felice a vedere che lui gioca e si diverte con me”.
17 Febbraio 2014

Il rientro dopo un po’ di malattia mi catapulta nell’emergenza in cui, quotidianamente, la scuola si dibatte. Sei colleghi assenti per malattia nella stessa mattinata. E in più: “Prof. non mi scappi – mi dice la segretaria rincorrendomi – ha appena telefonato la prof. di sostegno di Lory che ha avuto un problema e arriva tardi. Dato che lei ha la classe a vedere il film in inglese, non è che starebbe a coprire Lory? Se no non so come fare, la sua classe è in “stage” e lui è qui a scuola da solo!”

Lory è da noi da tre anni. Ne ha 16, all’anagrafe, ma il suo “ritardo” è evidente. Non articola frasi, parla a parole singole, e la gestione dei suoi comportamenti non è facile, con sbalzi di umore repentini e immotivati. Tanto che tutti lo conoscono. Tre anni fa è stato inserito in una classe prima, con un insegnante a tempo pieno. Presenza che in questi ultimi due anni si è ridotta del 30%, per questione di soldi. “Eh, se non c’è alternativa! Però cosa faccio con la quinta che sta a vedere il film?” “Bhè son grandi – mi dice la segretaria – e ci sono altri tre docenti, dentro, con loro”. Questa è la scuola! Comunico allora ad un altro collega, in sala proiezione, che io mi assento e mi incammino verso l’aula di Lory.

Passo davanti ai bidelli dell’ingresso. “Che ci fai qui?”, dico a Nicolas seduto sul “castigo”, quattro sedie nella hall, vicino alla postazione dei bidelli. Una specie di inutile “gogna” pubblica, che diventa spesso occasione di “ribalta” per chi è costretto a starci, e che, invece della “vergogna”, si porta a casa “notorietà”. “Mi ha cacciato fuori! – ribatte Nicolas”. “Chi?” “Quella di arte, chi vuole che sia?” “Ah, però!”. E mentre sto cercando le parole per il rimprovero mi esce invece una frase inaspettata. “Vieni con me? Ho bisogno di una mano” “A fare ché, prof.?” “Con Lory, è da solo in questa ora”. Non ho nemmeno finito la frase che Nicolas è già in piedi e mi sopravanza: “Certo prof.”

Come svoltiamo l’angolo, la bidella che presidia la classe di Lory si apre in un sorriso di sollievo e schizza dicendo: “Ah ecco, bene, ve lo lascio”. Lory si affaccia sul corridoio e come vede Nicolas gli corre incontro e lo travolge buttandogli le braccia al collo: “Ah, Nicooooo!” “Ciaoooo Lory, stiamo un po’ insieme dai. Ti va?”, risponde Nicolas, con tutto l’entusiasmo di chi incontra un simpatico amico. “Ehsii” risponde Lory. “Lory, vuoi giocare al computer? – gli dico” “Ehsii” E senza esitare apre il portatile che ha in dotazione dalla scuola e inizia a giocare a memory. Nicolas si siede accanto a lui e inizia ad aiutarlo nel gioco, trovando una distanza educativa quasi perfetta, dove sostiene i successi, non suggerisce le soluzioni, pazienta nella difficoltà. Ha capito in modo istintivo che con Lory si comunica “fisicamente”, perciò sorrisi, carezze, “dammi un cinque”, pacche sulle spalle. Sono quasi ammirato!

Fatico a riconoscere questo Nicolas. In classe è sempre di punta, acido, con qualche atteggiamento da bullo, e si vede il suo enorme bisogno di considerazione e al contempo l’immagine da “pecora nera” che già si porta dentro e che involontariamente cerca sempre di confermare. Quest’anno è già stato sospeso due volte. Ma, per ora, non conta. Risponde spesso ai prof. E stuzzica continuamente i due “bravini” della classe, conquistandosi lo sguardo delle femminucce.

Ma quei venti minuti passati con Lory mi hanno fatto vedere un Nicolas diverso. Così, quando arriva la prof di sostegno, trafelata e irritata per il contrattempo, usciamo dall’aula, salutando Lory. E nel corridoio gli dico: “Ma sai, Nicolas, che sei davvero stato bravo con Lory, mi sei piaciuto”. Silenzio, sguardo per terra, ma un timido sorriso fa capolino sulla sua bocca. E poi aggiungo: “Credo che tu sia molto meglio di quello che ci vuoi far vedere”. Si ferma e, a testa bassa senza guardarmi, dice: “Lo dice lei prof., ma nessuno degli altri lo pensa”. “E, purtroppo, nemmeno tu lo pensi – aggiungo io”. Mi guarda e mi dice: “Non lo so prof. Io sono stato bene con Lory. In fondo lui è un po’ sfigato come me. E se posso fare una cosa che gli piace, io sono felice. Magari non conta nulla per lui e forse nemmeno per me, ma sono felice a vedere che lui gioca e si diverte con me”. “Non conta nulla? – dico io – E questa felicità che ti porti con te non conta? La sensazione che tu sai essere migliore non conta? Aver aiutato Lory a migliorare un po’ la sua memoria non conta? Avergli fatto sentire che gli vuoi bene non conta?”.

Giriamo l’angolo e la prof. di arte ci raggiunge da lontano con la sua domanda irritata. “Ma dov’eri Nicolas, che ti cercavo?” Lo precedo e le dico: “Era con me, non ti preoccupare, il “castigo” l’ha fatto con  me”. “Ah bene – fa lei – gli serve, è diventato insopportabile”. E quando arriviamo davanti alla prof. dico con Nicolas “Ti è servito?” Non risponde, ma mi lascia uno sguardo che la prof. coglie, ma non capisce.

Così, mentre rientro in sala video, ovviamente ci penso. Intanto tutto è avvenuto fuori dalle regole e dagli schemi. In uno spazio non strutturato e un tempo imprevisto. Tutto è avvenuto gratis. Non c’era necessità, né dovere nella motivazione di Nicolas (anche se starsene nel “castigo” sarebbe stato peggio). Tutto ha spinto Nicolas a tirar fuori la parte migliore di sé. Poi la perderà di nuovo, ovvio, ma almeno sa che ce l’ha. Un caso o la forza della gratuità?

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