Pensieri poco santi facendo il Santo Presepe…

...intorno al lavoro, nella Chiesa e per la Chiesa, tra un'imprecazione e un proverbio di consolazione
14 Dicembre 2012

CHE FIGURA!

Sono le 12 e 12 del 12.12.12: ultima volta in cui – almeno nel XXI secolo – sarà possibile questo giochino del momento perfetto. Perfetto però per mettermi a fare il presepe, ancora una volta (che vorrei non fosse l’ultima). Appoggiando due fogli di compensato sulla cassapanca antica, rivedo con la memoria la colla di Luca Cupiello e mi domando: come si chiama chi fa il presepe? Presepista no, sa di professionista: una cosa che si fa e si disfa una volta all’anno non è un lavoro. Costruttore di presepi neppure, sa tanto di costruttori di cattedrali, e con loro non c’è gara. Eppure anche lui, direbbe Pietro, è una pietra viva che edifica la Chiesa.

Mi torna alla mente la cattedrale di Roma, la basilica di S. Giovanni in Laterano. Nel cui mosaico absidale ci sono delle piccole figure che vale la pena ingrandire. Nella fascia sottostante al catino, ai piedi degli apostoli, si trovano due fraticelli accomunati dal nome e dall’Ordine: Jacopo Torriti, l’artista, e Jacopo da Camerino, l’artigiano. Con squadra e compasso l’ideatore dell’opera, con tavoletta e martello l’intagliatore delle tessere. Il papa che li fece assumere, Niccolò IV, primo pontefice francescano, promotore anche degli affreschi della basilica superiore di Assisi, è un poco più sopra, sotto la mano protettrice della Vergine Maria. Ed è immaginabile che sia stato lui a volere ritratti i realizzatori dell’opera, senza relegarli nei titoli di coda.

Così, mentre do forma alle montagne, mi sovviene un detto importante, che è anche uno dei motti dell’Osservatore Romano: «Unicuique suum». E penso: bei tempi quelli in cui «A ciascuno il suo» (o «Ciascuno abbia quanto gli è dovuto») non era inteso in senso punitivo. E si rendeva omaggio al lavoro svolto, con il riconoscimento dei rispettivi ruoli.

Già, quando c’era gioco di squadra. Perché succede spesso, persino nella Chiesa, che tanti si sfilino e che a un’unica persona – che, guarda caso, oggi sei tu – tocchino più ruoli. Anche nell’imminenza del Natale tutti dicono «Che bello! Dai, facciamo il presepio»: poi, quando è ora, cause di forza maggiore li portano lontano. E così ti tocca di dover fare il boia, l’impiccato e la corda. Perché gli altri, vedendoti disponibile, t’hanno appioppato il loro peso da portare.

Magari esigendo che il lavoro sia pure fatto in fretta. Mentre tu vorresti far presente che c’è un tempo necessario per far bene le cose, ricordando che Roma non è stata costruita in un giorno (lo cantava anche Skye dei Morcheeba: Don’t you know that Rome wasn’t built in a day?). Non sanno, lorsignori, che per le cose belle ci vuole tempo, ci vuole fatica, e che non conta solo l’idea. E qui mi viene da lanciare una maledizione al computer, di solito benedetto ma che induce a credere di poter fare il lavoro in un attimo. Intendiamoci: ben prima del suo avvento, c’è sempre stato chi pretendeva di far stare il mare in un secchiello. E nelle tipografie gli si rispondeva «Il piombo non è gomma», opponendo ai capricci del cliente l’inesorabilità della legge naturale degli elementi. Poi il computer ha reso inutili piombo e frase…

Spesso tali persone, persino nella Chiesa continuo a dire, costringono a fare le nozze coi fichi secchi, ovvero a ottenere il massimo risultato con la minima spesa. Pretesa impossibile, che però si crede possibile con la furbizia (un po’ come quando, in calce ai manifesti, si faceva scrivere “Avviso sacro” per non pagar dazio). Trovandomi in mano la statuina del pastore che porta in dono cibi e bevande alla Sacra Famiglia, non posso non pensare a chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca, ossia vuole avere tutto senza essere disponibile a pagare un prezzo. O saranno proverbi troppo laici per essere capiti?

Si sa: quello che passa il convento è sempre poco. E «son tutti poveri quando si tratta di pagare», diceva un amico monsignore. Che aveva colto, nella Chiesa, la tentazione a essere insolvente, a non corrispondere il dovuto o a esigere sconti.

Forse bisogna accontentarsi, star buoni e non chiedere, anzi mostrare di saper fare di necessità virtù. E forse è meglio smettere di pensare e finire il presepe, che si fa gratis et amore Dei e per il quale non ci sono proverbi di consolazione. È lui stesso a consolarti, anche se non è un’opera d’arte e anche se non lo firmi, perché ti basta che il tuo nome sia scritto nei cieli (cfr Lc 10,20).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)