Siamo come galline, che starnazzano per un po’ di cibo, incapaci di spiccare il volo, nonostante il rischio di cadere il baratro di una triplice crisi: ecologica, digitale e spirituale?
Si direbbe di sì, leggendo il libro di Fabio Pasqualetti, intitolato appunto “Ecologia, digitale, spiritualità” (Castelvecchi, 2024), che indaga il rapporto “complesso e problematico” tra queste tre dimensioni – che oggi sono diventate tre baratri da superare se vogliamo avere un buon futuro – solo apparentemente slegate e indipendenti tra loro: in realtà non sono tre baratri diversi, ma tre aspetti di un unico precipizio. Un precipizio costruito nei decenni dall’uomo.
Il baratro della sostenibilità
Abbiamo scelto di vivere secondo un modello di sviluppo insostenibile. Negli anni sessanta abbiamo seguito il paradigma della modernizzazione, che puntava tutto sulla crescita economia, sulla scelta tecnologica, sulla pianificazione dello sviluppo, mentre le cause del sottosviluppo erano addebitate a cause interni dei vari Paesi di quello che allora si chiamava Terzo mondo,
Negli anni settanta, abbiamo seguito il paradigma della dipendenza: una serie di autori, soprattutto latino americani, denunciavano la dipendenza dei Paesi del Terzo mondo dall’Occidente. Ma anche questo paradigma non funzionava, perché finiva col negare i problemi interni ai Paesi poveri e riduceva il dibattito agli aspetti tecnologici ed economici della modernizzazione.
Oggi, siamo sotto il giogo del paradigma tecnocratico: le tecnologie sono strumenti per stabilire un rapporto di dominio e manipolazione dell’uomo e della natura, sfruttandone le risorse come se fossero infinite. Un paradigma tuttora imperante, nonostante si stia tentando una transizione verso la sostenibilità e nonostante le proposte di pensatori come Serge Latouche (che ha proposto il paradigma della decrescita, contro il totalitarismo dell’economicismo) o il pensiero di papa Francesco, dall’Evangelii Gaudium («questa economia uccide») alla Laudato Sì’ e alla Laudate Deo.
E si è già capito che la transizione verso la sostenibilità richiederà cambiamenti fondamentali, e non solo in campo energetico. Pasqualetti ricorda che, secondo Jørgen Randers, la ricerca di un modello di sviluppo non più lineare, ma adattabile alla «capacità di rigenerazione planetaria», finirà col rimettere in discussione il modello capitalista e anche la democrazia, tanto più che nel frattempo aumenteranno le tensioni sociali, a causa del continuo allargarsi della distanza tra ricchi e poveri e al moltiplicarsi delle diseguaglianze.
Il baratro del digitale
Un vero cambiamento può avvenire solo grazie ad un mix di scelte politiche – che i governi dovrebbero attuare – e scelte individuali – di cui ogni cittadino è responsabile – perché si tratta di cambiare stili di vita, personali e comunitari. Sembra un po’ troppo facile fidarsi, per risolvere i problemi dell’inquinamento e del cambiamento climatico, alla tecnologia, in particolare a quell’Intelligenza Artificiale cui siamo tentati di affidare la tanto di moda transizione green: «una versione attualizzata del “santo graal” capace di ridare nuova vita al nostro pianeta» (39). Non esistono deleghe, in questo campo, neanche all’Intelligenza Artificiale.
La tecnologia ha avuto e ha certamente molti meriti, ma pone due problemi fondamentali. Il primo riguarda la densa attività di raccolta dati, su cui gli strumenti delle nuove tecnologie fondano i loro guadagni e il loro potere: un’attività che ci ha fatto entrare nell’epoca della sorveglianza e della modificazione comportamentale. Il secondo sta nel consumo energetico che l’uso di queste tecnologie implica, anche se spesso senza che ne siamo consapevoli. Inoltre la “rivoluzione digitale” ha facilitato la «avidità economico finanziaria che si esprime nel primato del profitto», «offrendo al sistema economico una strumentazione altamente sofisticata e potente» (46).
Tutti elementi, questi, che mettono a rischio la democrazia, così come la mette a rischio il disordine informativo cui le nuove tecnologie hanno dato un impulso determinante, e che si esprime, oltre che nella massiccia diffusione di messaggi di propaganda e di fake news, anche nella diffidenza verso il giornalismo professionale e si alimenta nell’abitudine di informarsi sui social, dove non si distingue tra comunicazione e informazione e dove l’informazione, se arriva, arriva “personalizzata”, in quanto selezionata e gerarchizzata dagli algoritmi. Dagli algoritmi, non dal cittadino.
A questo si aggiunge il “mito” della precisione e dell’indiscutibilità dell’Intelligenza Artificiale. Mito che, nell’ambito dell’informazione, speriamo crolli presto.
In sintesi, il digitale e la sua continua evoluzione hanno favorito l’economia di stampo neoliberista, globalizzando anche la povertà e rendendo il potere «sempre più invisibile e difficile da tracciare».
Il protagonista è l’uomo
Il baratro dell’ecologia e il baratro del digitale hanno dei tratti comuni:
Una spiritualità per spiccare il volo
Come rispondere a tutto questo? Abbiamo bisogno di ripensare l’economia, la politica, l’etica. Ma non basta per questi questi tempi, in cui «le risposte delle religioni ai problemi contemporanei… non soddisfano più la mente adulta, matura e indipendente dell’uomo contemporaneo» (69). Il terzo baratro da superare è la mancanza di una spiritualità che ci aiuti a trovare le risposte. Per cui sì, scrive Pasqualetti, «a volte si ha l’impressione che il mondo immaginario che ci siamo costruiti e i desideri che l’uomo coltiva non siano molto distanti da galline, che starnazzano per un po’ di cibo, incapaci di spiccare il volo verso altri e alti ideali».
Occorre dunque mettere a fuoco una nuova spiritualità, che restituisca a Dio «la sua assoluta indipendenza da ogni forma di manipolazione umana e restituisca all’uomo la coscienza di un’appartenenza a tutto il cosmo» (74). Che ridia speranza e prospettive, oltre a indicazioni per evitare l’apocalisse sul cui orlo siamo in bilico.
Una spiritualità che si basi sulla relazione sacra che c’è tra noi e il creato che Dio ci ha donato. «La crisi ecologica è una crisi spirituale dell’uomo contemporaneo, i deserti fuori di noi sono in relazione al vuoto e al deserto esistenziale che l’uomo occidentale ha creato. È necessario un cambio di stile di vita, ma ancora più urgente un cambio di mentalità che passi dal possesso delle creature alla cura di tutti i viventi, dall’essere predatori della terra all’essere custodi del creato» (81).
In questi anni, papa Francesco ha creato e diffuso un vero e proprio algoritmo dell’incontro, con i suoi messaggi per la giornata della Comunicazione sociale e gli altri scritti. È molto più che un punto di partenza: è una strada tracciata.
C’è una forte crisi di spiritualita, malgrado festa di Pasqua, malgrado uova in tutti i menu a ricordare il risveglio della natura nel tempo di primavera, la chiesae semivuota, poca la presenza di fedeli, mentre nel centro città e piazze e parchi si riversa la folla in cerca di serenità. Non si vede quella gioia che in altri giorni è stata vissuta, tutto questo è malgrado agi raggiunti e dovuto a questo clima di guerre che pervade il pianeta, a un’aria tanto impregnata di polveri inquinanti da far ammalare persone anche giovani,bambini come la nipotina di sei anni del contadino che ha il suo banco in città! Tutto quello che viene proiettato di umanità errante in cerca di aiuto per cui si chiede soldi e molti a chi già fatica arrivare a fine mese, soldi spesi per materiale bellico sottratti a una sanità che non riesce a soddisfare le richieste. E’ una realtà che si vive chiedendo la necessaria forza e aiuto all’alto
Da una analisi catastrofista, che non salva praticamente nulla della civiltà attuale (peraltro descritta come se ci fosse un unico soggetto “umanità” che pensa, sceglie e agisce, mentre la realtà è ben più complessa), come può nascere un qualche spunto positivo sul che fare?
C’è chi, numeri alla mano, in materia di benessere economico e sociale, progressi della medicina, diffusione delle informazioni e delle opportunità, ecc, sostiene che non vi è mai stato nella storia dell’umanità un periodo più fortunato del presente per venire al mondo.
Non credete che entrambe le prospettive, quella catastrofista e quella all’opposto troppo ottimista, siano esagerate e si debba cominciare a pensare in modo un po’ più realista o meno ideologico?
Sembra tutto quanto significhi progresso sia stato raggiunto dalla intelligenza dalla creatività lungimirante dell’uomo. Si sono realizzati vere opere, miracoli di inventiva a garantire un vivere più confortevole, ma invece esistono anche problemi nuovi Il clima non è più quello delle stagioni secondo proprie leggi naturali; abbiamo guerre micidiali, paura e sfiducia intristiscono gli animi, inutile sperare in un futuro di serenità. Tutto ciò che si va predisponendo non corrisponde a quel bene comune che sembrava via da non mai abbandonare. A che serve pregare un Dio del quale non si considera ciò che le sue leggi che sono state pensate per il nostro bene. Quanto di bello, buono, grande l’uomo ha costruito porta in se evidenti segni ì deterioramento, un usa e getta, di una umanità che anche cede autodistruggersi, se la stessa vita umana non ha in se lo Spirito del Risorto.