«Tu». Quasi preghiere

Esce per Lindau una riedizione di un volume di preghiere e poesie di Adriana Zarri, una delle grandi donne del nostro tempo, scomparsa nel 2010.
29 Ottobre 2021

Teologa, scrittrice ed eremita, Adriana Zarri (1919- 2010) è stata una delle prime donne in Italia a essersi imposta come voce critica e militante nel dibattito ecclesiale, politico e sociale del suo tempo, godendo di una certa notorietà soprattutto per i suoi scritti e interventi sempre orientati all’esigenza della parresia, della parola che scuote, graffia, denuncia a viso scoperto, con toni spesso ruggenti, i mali del mondo e della Chiesa. Questo fiero interventismo, aspetto importante della sua esistenza, nel corso degli anni ha però oscurato un elemento che senz’altro ne caratterizza ancora di più la parabola umana e religiosa: la ricerca mistica e teologica, condotta al di fuori dall’accademia, in un’atmosfera eremitica ispirata ai padri del deserto, fiorita in pagine di autentica spiritualità che consegnano al lettore di oggi intrecci di pensiero e poesia capaci di fondere la conoscenza logica con quella sapienziale, la speculazione filosofica con il pàthos della letteratura amorosa. Frutto, questa scrittura, di un’esperienza monastica interamente dedicata alla sperimentazione di un’inedita civiltà umana, avversa ai modelli antropo-culturali attuali, più cosmica e uterina, basata sui valori della ricettività e dell’ascolto, della gratuità e della festa. Proprio in tal senso la proposta esistenziale della Zarri, ricondotta a un quotidiano «semplicemente vivere», testimonia come la preghiera e il modello contemplativo, specie se tinti di una speciale vena femminile, possano diventare «la contestazione più profonda» delle forme di oppressione presenti nel nostro mondo dominato dal culto dell’efficientismo e dell’utilitarismo. Ad essi la nostra eremita ha infatti opposto una formula di vita – radicata nella grande tradizione biblica cristiana, spogliata di orpelli, ma non per questo priva di un insonne anelito alla bellezza – che può essere ancora alimento per un cristianesimo aperto ai valori essenziali del Vangelo e delle più profonde esigenze del cuore di ognuno, a dimostrazione che la mistica, in tempi così confusi e secolarizzati come quelli che viviamo, non è altro che un’«esperienza integrale della realtà» affidata a chiunque senta la chiamata rivoluzionaria dello Spirito. A chiunque non riesca a smettere di camminare, parafrasando Michel de Certeau, in cerca di una terra più equa e giusta, fedele soltanto alla Parola di verità e di giustizia discesa a rendere gli uomini più liberi e veri, mendicanti di quell’«acqua viva» che non muore e sazia per l’eternità.

Ho letto per la prima volta «Tu». Quasi preghiere di Adriana Zarri ancora liceale, poco dopo la travolgente scoperta di Un eremo non è un guscio di lumaca. Mi sembrò un piccolo miracolo, inspiegabilmente non ristampato dal 1985. A distanza di quasi quarant’anni torna ora nelle librerie, edito dall’editore torinese Lindau e accompagnato da una postfazione che, spero, potrà perlomeno aiutare il lettore ad avere qualche coordinata in più sulla vita e sul pensiero dell’autrice, una «vera mistica del nostro tempo», come l’ha definita Giannino Piana. «Tu». Quasi preghiere è una silloge di orazioni scritte in forma poetica, tutte rivolte a quel “tu” divino che Adriana ha cercato ogni giorno della sua lunga e ribelle esistenza tanto nel silenzio e nella solitudine dell’eremo quanto nei petali delle sue rose, nelle fusa dei suoi gatti e nel dialogo con gli uomini, in una particolare «comunione cosmica» che la ascrive alla costellazione delle donne assolute del Novecento. Una silloge dove la vita nutre la preghiera e la preghiera rende trasparente la vita, in cui la Zarri, maestra di preghiera fatta vita e di scrittura fatta silente orazione, con il suo stile cristallino e innamorato, ci insegna a benedire, a dire bene il mistero di Dio e della sua Parola. Dire bene di Dio è la fatica e l’insegnamento di tutta la sua testimonianza umana e teologica, e ciò non si impara in Chiesa ma restando fedeli all’ineffabile essenza dell’esistere, lì dove le nostre parole falliscono e rimane soltanto un silenzio adorante o, come dice Pavel Evdokimov, «una fiamma sempre in preghiera alla presenza dell’invisibile». Questo silenzio adorante «Tu». Quasi preghiere lo traduce in scrittura poetica, per sottolineare ancora una volta che «pregare non è dire preghiere» ma «rotolare» nell’accecante luce del mistero divino, in una perenne invocazione di verità e amore che è preghiera fatta, detta, ma anche sospirata e taciuta. Perché la preghiera più profonda, leggiamo nella prefazione di questo mistico e umanissimo canzoniere, «è quella in cui la follia copre la nudità; e sul vuoto che ci si è, a un tratto, scavato dentro, si stende il gemito di discorsi sconnessi, di parole pazze e indicibili: che si possono dire solo a Te. E tu, difendila, Signore, questa caverna buia e piena di luce in cui fai franare la parola. Difendi questo nostro essere indifesi, davanti alla tua tacita invasione che ci sommerge e allaga l’anima; e noi restiamo senza fiato e senza voce: solo con gli occhi per guardarti».

Pregare è un prato d’erba

Pregare non è dire preghiere:
pregare è rotolare
nel buio della tua luce,
e lasciarci raccogliere,
e lasciarci parlare
e lasciarci tacere
da te.

Pregare sei tu che preghi,
tu che respiri,
tu che mi ami;
e io mi lascio amare
da te.

Pregare è un prato d’erba,
e tu ci passi sopra.

*

Amami

Amami, Dio;
nella notte,
nel sole,
nel buio;
con pace,
con furore,
con follia.
Amami come vuoi,
amami come voglio;
non c’è più alcuna differenza,
perché le cose ragionevoli le sai,
le so,
le sanno tutti.
Ma la passione
batte strade diverse,
meno percorse e prevedibili,
non regolate
dai semafori rossi,
e neanche dai treppiedi bilanciati
dei nostri savi sillogismi.

Amami quando ti vengo incontro,
quando ti tendo la mano,
quando ti aspetto nel buio.
Nelle albe bianche,
nei giorni caldi,
nelle notti lunghe,
amami, amami, amami, Dio!

*

Sapore di te

Ho baciato la prima pratolina,
e aveva sapore di te.

*

Questo dolcissimo mondo

Vecchio fuoco
con attorno le seggiole impagliate
e il rame che luneggia alle pareti.
Luna nascente
di rosso agostano,
tra l’odor della canapa
e il grido assonnato dei grilli.
Luna lenta
nel latte del cielo
arcanamente teso;
e, nel silenzio,
tonfa la rana nello stagno.
Signore, non è necessario
un paradiso diverso;
ma questo,
questo dolcissimo mondo
se tu, la sera,
vieni a passeggiare
come facevi nell’eden.

Giovine ramo
con la lucida scorza di febbraio;
e le piccole gemme
premono come seni adolescenti.
Viti condotte docilmente
sulla traccia dei fili;
ed i viticci vi s’aggrappano
con esili mani di erba.
Signore, non sono necessarie
le bianche piume degli angeli
e i languidi cori celesti:
ci bastano le penne del passero
e il canto stridulo del merlo
tra le foglie del pioppo.
Strade d’autunno smorzate di nebbia
e finestre di case che s’accendono
e fanno lume alla notte.
Signore, non ci occorrono
le grandi stelle comete:
bastano queste luci
e queste case,
se vieni a cenare con noi
(e, se vieni,
ti prego, non entrare a porte chiuse:
è così dolce
la chiave che canta nella toppa,
quando si attende l’amato!)

Io non aspetto altre strade,
io non ti chiedo altre case
o altre sere
o altri mondi;
ma questo,
questo dolcissimo mondo
abitato da te.

*

Epigrafe

Non mi vestite di nero:
è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco:
è superbo e retorico.
Vestitemi
a fiori gialli e rossi
e con ali di uccelli.
E tu, Signore,
guarda le mie mani.
Forse c’è una corona.
Forse
ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi
e, sulla croce,
la tua resurrezione.

E, sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un’epigrafe d’erba.
E dirà
che ho vissuto,
che ho atteso,
che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri.

 

 

Una risposta a “«Tu». Quasi preghiere”

  1. Lina Scotto di fasano ha detto:

    Semplicemente di sconfinata bellezza e profondità d’animo🌻🙏

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