Farà molto discutere il colloquio di Papa Francesco con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, pubblicato ieri sul quotidiano più venduto d’ Italia.
Soprattutto perché, come ha scritto Luigi Accattoli, il vescovo di Roma «esce dalle cautele diplomatiche e prova a sbloccare il processo di pace facendo ricorso a una piena libertà di parola, quale mai si era vista in un Papa nel mezzo di una guerra guerreggiata».
Sul fronte russo, invitando il Patriarca Kirill – con un’immagine forte e provocatoria – a non essere il «chierichetto di Putin» e pronunciando, per la prima volta, il nome stesso di Putin (peraltro senza alcun titolo se non quello di leader e capo del Cremlino, a differenza dei vari Zelensky, Kirill, Parolin); sul fronte occidentale, ipotizzando che «l’abbaiare della Nato alle porte della Russia» abbia facilitato l’ira che ha condotto Putin «a scatenare il conflitto», con la certezza che anche la guerra in Ucraina, come tutte le altre guerre, «si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto».
Vorrei però attirare l’attenzione sul passaggio finale del colloquio, dedicato alla Chiesa italiana e alla nomina del prossimo presidente della CEI. Nella prima, come nelle chiese di altre nazioni, Papa Francesco ha trovato «una mentalità preconciliare che si travestiva da conciliare», solo che in Italia il cambiamento «forse è più difficile». L’affermazione è “tosta”: non si tratta dell’accusa di essere contro il Vaticano II, proveniente da una persona che invece è favorevole ad esso. No, questo significherebbe ricadere nella “tifoseria”: rottura contro continuità. Qui si sta denunciando un mascheramento doloso, si sta gridando – nel linguaggio evangelico (Mt 7,15) – “al lupo” (preconciliare) che vuole ingannarci travestendosi da “pecora” (conciliare). Chissà se alcune domande qui sollevate su certe mancanze del processo sinodale o del triduo pasquale non siano collegate a questo fenomeno denunciato dal vescovo di Roma.
Certo è che, in tale situazione, “azzeccare” le nomine – uno dei rimproveri verso Papa Francesco che si è fatto via via più forte – diventa estremamente complicato. Come suggerisce sempre lo stesso Matteo (10,16), è necessario essere «prudenti [astuti] come serpenti e semplici come colombe».
Semplici come colombe: da questo punto di vista Papa Francesco pensa che il rinnovamento della Chiesa italiana passi per la nomina a vescovo di «bravi preti» (o frati) che siano però radicati nel territorio. In tal modo, probabilmente, egli spera di bloccare almeno uno dei motivi che “inquinano” le nomine episcopali, ossia il carrierismo che si può insinuare negli spostamenti dalle diocesi cosiddette “minori” alle cosiddette “maggiori” (consistendo l’altro problema in quello, già segnalato da Andrea Grillo, delle nomine episcopali legate agli avvicendamenti che si susseguono nella Curia romana).
Prudenti [astuti] come serpenti: il prossimo presidente della CEI, negli auspici di Francesco, deve essere una persona «che voglia fare un bel cambiamento (…) e che abbia la possibilità di scegliere il segretario, che possa dire: voglio lavorare con questa persona». Dal che si comprende che, sotto il pontificato di Francesco, almeno qualche seria difficoltà deve esserci stata nei rapporti tra i presidenti della CEI (Bagnasco, Bassetti) e i rispettivi segretari (Galantino, Russo).
Quello che mi chiedo, proprio in virtù dell’evangelica prudenza [o astuzia], è se l’autorevolezza ricercata dal vescovo di Roma debba necessariamente essere collegata al titolo di cardinale (come egli sembra auspicare). In fondo, l’attuale e il precedente presidente sono dei cardinali, ma ciò non sembra aver favorito il cambiamento voluto da Francesco. L’autorevolezza in questione, allora, potrebbe essere trovata non guardando ai “gradi acquisiti” da un vescovo ma alle sue capacità sviluppate nella pastorale quotidiana: innanzitutto relazionali e poi di visione d’insieme. Tanto poi il pontefice sarà sempre in tempo per nominarlo cardinale, no?
Clericalismo e carrierismo simul stabunt vel simul cadent. La carrieraè normale quando c’è un potere da esercitare. Il potere deriva dalla gestione dei beni. Dio è paziente, non pretende rivoluzioni immediate. in duemila anni la carriera ecclesiastica, erede della mentalià religiosa precristiana, sia ebraica che pagana, non è riuscita ad affossare la Chiesa. Dopo duemila anni stiamo denunciando clericalismo e carrierismo. Non si dovrebbe finalmente liberare il clero da ogni responsabilità amministrativa, affidandola a laici preparati e stipendiati?
Il primo ad essere un preconciliare con maschera da postconcilare e’ proprio lui, il vescovo di Roma. Che governa la Chiesa come un papa-re, che ha un cerchio magico, una corte di favoriti a cui fa fare carriera nonostante abbiano passati non proprio limpidi ( Maradiaga) che toglie tutto a chi gli pare anche prima del processo e prima della sentenza ( Becciu) , che licenzia la gente senza spiegare il perche’ ( Müller) che manda in esilio senza apparente ragione ( Enzo Bianchi)
Insomma uno che fa il Papa come si faceva un tempo: come pare a lui , con la massima autorita’ personale consentita a un sovrano assoluto che non deve render conto a nessuno se non a Dio delle sue decisioni. Ed ora dice che scegliera’ il capo della CEI in base a sue personalissime preferenze. Libero di farlo perche’ il Papa e’ un Sovrano Assoluto.
Ma lui e’ capo dei preconciliari con la maschera da postconciliari, almeno nei comportamenti.