L’intelligenza artificiale: occasione o minaccia?

L’Auxilium apre un percorso interdisciplinare sulla sfida e sull’opportunità che la AI fornisce al mondo dell’Educazione
7 Dicembre 2023

Il 17 novembre rimbalza in tutto il mondo la notizia che il consiglio di amministrazione di OpenAI, società californiana apripista mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale generativa, avrebbe licenziato il CEO Sam Altman, inventore del rivoluzionario sistema ChatGPT. Nel frattempo la notizia di un nuovo movimento religioso che sostituirebbe Dio con un culto indirizzato all’intelligenza artificiale dovrebbe farci riflettere. Non tanto per la proposta in sé – trattandosi di un movimento ancora poco incisivo quanto al numero degli adepti – quanto per le implicazioni sociali, sociologiche, culturali e valoriali: forse l’uomo già da tempo ha sostituito Dio e le Religioni con altri idoli a cui indirizzare mente, cuore, forze, tempo e risorse. L’AI è solo l’ultima tra questi, anche se può “scalare le classifiche” e conquistare sempre più adesioni.

Non casualmente, allora, la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilum aveva da tempo programmato  il percorso interdisciplinare per l’anno accademico 2023-24 sull’AI (artificial intelligence), con la finalità di analizzare le potenzialità fornite dall’AI, in prospettiva della promozione dei percorsi educativi e didattici.

Molto interessante è risultato essere il primo incontro del corso, dal titolo L’intelligenza artificiale: un copilota per la progettazione didattica. Ha introdotto i lavori uno dei membri della Commissione scientifica del percorso interdisciplinare, il professor Michele Kettmajer, autore e designer di cultura e innovazione digitale, docente di Etica del digitale all’Università Cattolica di Benguela (Angola), precursore e fondatore di  webtv in Italia. Egli ha ricordato come lo stesso Don Bosco fece partire le tipografie non tanto per contrastare la stampa laica, quanto perché voleva che i suoi ragazzi sapessero come affrontare la tecnologia. E che Elon Musk ha presentato una sua società capace di impiantare i chip nel cervello, con già oltre trentamila adesioni volontarie. Questo chip permette di muovere gli arti e costa solo diecimila euro. Nel frattempo negli USA i giudici scrivono già delle sentenze utilizzando la AI e la polizia di Amsterdam cataloga i ragazzi con l’AI che utilizza i dati scolastici. Le aziende, poi, finalizzate al profit, impongono dove deve andare l’AI: oggi Microsoft utilizza una AI potente 10 volte di più rispetto a quelle utilizzate dagli utenti.

Fondamentale, quindi, quanto ha esposto in merito agli incroci tra AI e didattica la professoressa Susanna Sancassani del Centro Politecnico di Milano, esperta di interazione tra tecnologia e apprendimento, Responsabile del Centro METID, il servizio di Metodi e Tecnologie Innovative per la Didattica. Dal punto di vista etimologico l’AI è realmente una cata-strofe: uno stravolgimento improvviso, una discontinuità profonda, poiché rappresenta la fine del monopolio umano sull’uso efficace del linguaggio e la fine della connessione tra fonte e contenuto (dato che le informazioni vengono da varie fonti). L’AI compie un’analisi descrittiva delle situazioni, per poi offrire due possibilità per capire ed immaginare il futuro: analisi prescrittive e predittive. La metafora dell’albero della conoscenza intesa come ramificazione delle conoscenze si perde completamente per essere sostenuta dalla metafora della grande rete connettiva sotterranea del bosco. Sillogismi validi “da sempre” diventano fallaci: fino a ieri si riteneva che tutte le entità in grado di comprendere il linguaggio fossero in grado di usarlo correttamente. Viceversa, la padronanza del linguaggio per la AI non ha nulla a che fare con la comprensione del linguaggio (cfr. La stanza cinese di Searle). Siamo dunque di fronte a un salto evolutivo nelle logiche di organizzazione della conoscenza.

Quali obiettivi educativi possiamo porci? Cosa gli studenti devono sapere di diverso o di più per muoversi in questo contesto? Di certo, saper progettare e usare sistemi AI, acquisendo l’abilità di identificare, raccogliere, selezionare, organizzare dati sia fisici che digitali per l’AI training nei domini culturali specifici (anche se per costruire il set di dati bisogna che ci lavorino degli esperti). Per quanto riguarda noi docenti, posso utilizzare l’AI per il nostro lavoro specifico? Sì, ma se voglio chieder a chat GPT di aiutarmi a programmare la didattica devo raccontargliela traducendola nel suo linguaggio e dandogli le giuste informazioni. Quando ricevo un output dall’AI devo saper utilizzare l’output per agire in modo trasformativo sulla realtà stessa. Prezioso, inoltre, è il fatto che l’AI attinge a varie discipline nel rispondere a i nostri input e immette i nostri lavori dunque in discipline diverse, connesse nell’unica tematica affrontata. La bellezza di quella biblioteca che parla con me è che non si preoccupa, per rispondere ad una domanda, di dover prendere dal reparto di letteratura o altro ma lavora in una dimensione transdisciplinare. La realtà ci viene incontro tutta insieme, non divisa per discipline. L’AI ci offre questa grande opportunità di portare nelle nostre aule l’interdisciplinarietà (ad es. Guernica e la legge di Ohm, agopuntura e urbanistica, rivoluzione e calcolo integrale, etc.).

Chiudo con una mia personale considerazione. Proprio il giorno prima di questo incontro, le diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia avevano organizzato un convegno sulle dipendenze e il disagio giovanile. La mattina successiva ci siamo entusiasmiati per le possibilità enormi offerte dalla nuova frontiera dell’AI, che trova nel chatbot ChatGPT un moderno Aeropago denso di prospettive. Contemporaneamente, migliaia di giovani della nostra società vivono ai margini della vita sociale e delle possibilità culturali e lavorative presenti e future, rese oggi potenzialmente esponenziali dall’AI: un mio amico sacerdote missionario in Benin mi raccontava che nella scuola fondata dalla sua parrocchia si lavora tutt’oggi con la lavagna e i gessetti. Per questi ragazzi possedere un PC significa essere una persona “ricca”, nessuno di loro può permettersi questo.

La mia domanda sorge dunque spontanea: la AI potrà essere una innovazione preziosa che aiuterà a migliorare le condizioni di vita degli uomini? O le sue enormi potenzialità verranno sfruttate solo dalle aziende che fanno profitti a vantaggio di pochi e a danno di molti, così come ben illustrava profeticamente nella sua “Lettera a don Piero” don Milani ormai settanta anni fa?

In ogni caso, per le suore di Maria Ausiliatrice e per la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium è certo che, come fece don Bosco con le tipografie, così oggi questo percorso interdisciplinare vuole essere un primo passo per aiutare i giovani, e tra loro i più svantaggiati, ad avere strumenti per padroneggiare la nuova frontiera dell’AI.

 

Una risposta a “L’intelligenza artificiale: occasione o minaccia?”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Per il comune cittadino questo cammino nuovo di scienza e tecnica sta conquistando l’uomo il quale di fronte a ciò che vede realizzarsi dalla propria intelligenza creativa, cade in ammirazione delle molteplici invenzioni che realizza. E’ anche chiaro che ciò dipende da una sua decisa, libera volontà. Sia qui il dilemma: la sua volontà è predisposta verso ciò che può essere a vantaggio di altri? O per fini come profitto, come di un aereo invisibile, come il computer che sembrava essere a servizio dell’uomo – meno ore di lavoro, e invece l’invenzione come calamità ha costretto a rapidità, a concentrazione che conduce a stress, ogni parte del mondo è raggiungibile senza viaggiare, notizie trasmesse con la velocità della luce abbattendo il tempo. Oggi si arriva a creare uno simile all’uomo! Ma sfugge circa l’anima che pure verrà inserita, una obbedienza a una finalità, quale? Come da burattino?

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