Il Cantico degli schizzinosi

Curioso: un comico proclama la Bibbia dal palco di Sanremo, i "laici" ne sono piacevolmente stupiti e i "religiosi" invece storcono il naso... Ma quando impareremo che la Parola non è un possesso di pochi iniziati?
13 Febbraio 2020

Uh, quanti maligni su Benigni! E’ curioso analizzare i commenti dopo il monologo recitato da Roberto Benigni al Festival di Sanremo e tutto dedicato al Cantico dei Cantici. Ed è curioso, per parte mia, soprattutto perché mi sembra che sia stato apprezzato da quasi tutti i «laici», mentre i «religiosi» – cattolici o ebrei che siano – hanno fatto a gara a trovarne tutti i difetti.

Farcito di cose già dette, risapute anzi trite e ritrite (ma che si pretende del resto da un testo divulgativo?). Basato su una teologia approssimativa e discutibile. Fautore di un’interpretazione del libro biblico datata e già più volte smentita dagli esperti. Frutto di una lettura generica e strumentalizzante della Bibbia… Rabbini e monsignori questa volta sono stati pressoché unanimi nel bacchettare sulle dita il comico toscano, che senza dubbio ha fornito del Cantico una versione personale e che può essere più o meno piaciuta: ma almeno ha avuto il coraggio di affrontare in prima serata e in un contesto nazionalpopolare come quello del Festival un argomento così arduo e poco scontato.

Andava dunque meglio il Benigni giullare che prendeva in braccio Pippo Baudo o gli toccava le parti intime? Forse avrebbe scandalizzato meno tanti sussiegosi censori… Perché stavolta davvero l’attore ha preso in controtempo il suo pubblico, molto più che con i consueti lazzi, addirittura accettando di strappare meno risate facili e meno applausi e giocandosi invece la faccia dichiarando continuamente la propria sincera fascinazione per quel capolavoro di letteratura e spiritualità (e implicitamente anche per il resto della Bibbia).

Si possono dunque contestare i modi e discutere i contenuti del monologo, nonché (come molti non hanno mancato di fare) l’ammontare del compenso corrisposto, però almeno dobbiamo dar atto al Pinocchio nazionale non solo di aver scelto un tema spirituale, ma di averne osato un’interpretazione quanto mai “forte”, che non si accontentava delle letture simboliche e allegoriche – per forza di cose edulcoranti del significato – e cercava addirittura traduzioni alternative e più vicine alla carnalità spesso scandalosa del testo.

Ripeto: il metodo può piacere oppure no. Tuttavia è indubbio che si tratti di un metodo per risvegliare l’interesse anche «laico», di persone quanto mai lontane dai contenuti della Bibbia. Nonché, nei riguardi di coloro che provengono da ambienti religiosi o persino acculturati negli studi esegetici, di ricordare che nessuno possiede la totalità di senso della Scrittura e che forse c’è bisogno di recuperarne la novità, la sorpresa, anche attraverso paradossi ed esagerazioni.

Non si può lamentarsi che la Bibbia non venga più letta nemmeno dai credenti e poi ergersi a padroni della sua interpretazione unica. Occorre accettare che ognuno la riscopra secondo i suoi percorsi personali, che quasi mai risultano lineari ma proprio per questo interagiscono con la vita del lettore: come una continua ricerca, come un’avventura. Benigni ha incitato lo spettatore in tal senso, puntando con enfasi e un pizzico di mestiere da imbonitore sulla bellezza e sul vitalismo del cantico. Se poi qualcuno leggerà un po’ di Bibbia perché attirato dall’erotismo di un libro capolavoro, avremo il coraggio di lamentarcene?

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