Fare ritorno all’ordinario

Secondo il Vangelo, i Magi non fanno che una sosta davanti al Bambino, per poi ritornare al loro ordinario. Così faremo anche noi, cercando di vivere il nostro quotidiano per 'un'altra strada', senza perderci d'animo, come canta una bella poesia di Wisława Szymborska.
6 Gennaio 2020

C’è, in ogni episodio di Vangelo che ha il carattere della straordinarietà, un invito finale all’ordinario, perché è lì, nel quotidiano fluire dei giorni, che dobbiamo mettere a dimora il seme della nostra fede, è lì che dobbiamo misurare quanto la nostra vita sia stata incisa dal Vangelo. Non c’è via di fuga: il cristianesimo non è religione di grandi eventi, ma fede di pane quotidiano, di lavoro quotidiano, di genti quotidiane.

Ce lo ricordano anche i misteriosi Magi, che dopo un lungo viaggio, dopo aver incontrato anche la fatica, la tentazione e perfino il male, fedeli a un’intuizione, giungono finalmente là dove la luce di una stella si ferma. E vedono un Bambino con una madre: icona quanto mai ordinaria. Eppure lì, nell’ordinario, si manifesta lo straordinario, a cui essi però non si affezionano. Mi colpisce che i Magi, nel racconto evangelico, non fanno che una sosta, per poi ripartire: dopo aver lungamente viaggiato, non decidono di fare lunga compagnia al Bambino. Pare abbiano compreso il messaggio di quell’icona: a un Dio che sceglie l’ordinario, si risponde abitando il proprio ordinario, ma da uomini nuovi: «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

Da domani, è possibile che capiterà così anche a noi: dopo i giorni delle grandi feste, dopo qualche momento di riposo, di condivisione, di tempo sospeso, dopo qualche istante di riflessione e preghiera, saremo chiamati a tornare nel nostro ordinario: riprende il fluire dei giorni, che il calendario assegna a un nuovo anno, ma dove, molto probabilmente, nulla sarà cambiato nelle nostre vite: impegni, relazioni, passioni, problemi, fede, doni identici a prima.
Magari cominceremo, forti della sosta natalizia e stimolati dal passaggio di anno, con buoni propositi e con desideri rinnovati; magari i misteri del Natale ci avranno permesso di fare un passo nella nostra fede; magari avremo messo a bilancio delusioni passate e messo in preventivo speranze e mete.
Poi, già lo temiamo, il quotidiano scorrere del tempo e delle vite lascerà poco spazio alle nostre mille promesse di conversione. Eppure la nostra forza, mi pare, sta proprio nel non perderci d’animo, nel tentare ogni volta di gettare un seme, di custodire un proposito, di avviare un impegno, di cercare una conversione, sapendo che essa soprattutto richiede un affidarsi sereno allo Spirito: faremo ritorno a casa, ma proveremo sempre a farlo percorrendo un’altra strada. Torneremo al quotidiano, ma non avremo rinunciato a portare con noi qualche eco di quello che abbiamo visto e qualche promessa, umile e semplice, di non dimenticare che il quotidiano può essere vissuto come un dono e non come un peso.

Sono spunti che il Vangelo di oggi mi ha fatto nascere in assonanza con Passaggio di secolo, una bella poesia (tradotta da Pietro Marchesani) di Wisława Szymborska (1923-2012), la nota poetessa polacca innamorata dell’ordinario, sempre finemente cantato e poeticamente gustato:

Doveva essere migliore degli altri il nostro XX secolo.
Non farà più in tempo a dimostrarlo,
ha gli anni contati,
il passo malfermo,
il fiato corto.

Sono ormai successe troppe cose
che non dovevano succedere,
e quel che doveva arrivare
non è arrivato.

Ci si doveva avviare verso la primavera
e la felicità, fra l’altro.

La paura doveva abbandonare i monti e le valli,
la verità doveva raggiungere la meta
prima della menzogna.

Certe sciagure
non dovevano più accadere,
ad esempio la guerra
e la fame, e così via.

Doveva essere rispettata
l’inermità degli inermi,
la fiducia e via dicendo.

Chi voleva gioire del mondo
si trova di fronte a un compito
irrealizzabile.

La stupidità non è ridicola.
La saggezza non è allegra.

La speranza
non è più quella giovane ragazza
et caetera, purtroppo.

Dio doveva finalmente credere nell’uomo
buono e forte,
ma il buono e il forte
restano due esseri distinti.

Come vivere? – mi ha scritto qualcuno
a cui io intendevo fare la stessa domanda.

Da capo e allo stesso modo di sempre,
come si è visto sopra,
non ci sono domande più pressanti
delle domande ingenue.

Abbiamo passato un decennio, abbiamo passato un anno, e forse «quel che doveva arrivare / non è arrivato». Se osserviamo il mondo, potremmo farci prendere dal pessimismo. Eppure il tempo non è abbandonato, l’uomo non è perduto. A noi spetta continuare ad attraversare il nostro quotidiano secondo le nostre strade.

E così, da domani, riprenderemo le nostre vite, continueremo a mettere alla prova i nostri propositi, tenteremo ancora di coltivare speranze e desideri, a scrutare gli orizzonti e a vivere il nostro quotidiano, per quanto potremo e per quanto ci sarà dato, con impegno incostante, con fedeltà zoppicanti e con inciampi più o meno frequenti. Ma tenteremo.
Da domani ancora e ancora non ci arrenderemo, dando spazio alle domande che ci abitano e cercando le risposte; da domani, ancora e ancora «da capo, e allo stesso modo di sempre», faremo ritorno a casa.
Confidando in un’altra strada.

 

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