C’è una Pasqua anche dentro «La bella e la bestia»

In fondo anche il film del momento, che riporta in vita in forma nuova uno dei più bei capolavori Disney, si può leggere anche con uno sguardo teologico.
4 Aprile 2017

Non era facile riportare in vita dopo ventisei anni la magia di uno dei più bei capolavori Disney (1991: quello della “rinascita”, della meravigliosa scena del ballo che unisce per la prima volta disegno animato e computer, della colonna sonora che ha commosso generazioni). Ne esce un’opera mirabile, che custodisce l’incanto e innova con sobrietà e ironia. Bellissime le musiche, convincente e mai banale la sceneggiatura (Stephen Chbosky, lo scrittore di Noi siamo infinito), cast in grado di offrire un’interpretazione di grande sicurezza, al tempo stesso fedele e ricca di personalità (Emma Thompson, Kevin Kline, Luke Evans, Dan Stevens, Ewan McGregor). Consacrazione definitiva di Emma Watson, intensa, intelligente, capace di fedeltà creativa.

Un’annotazione teologica: chi ha letto la fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, conosce la ‘cristicità’ del recit. Bello il personaggio dell’eremita Agatha, che sa riconoscere l’amore agapico: un amore – come quello dell’Aslan di Lewis – che è invocazione e promessa di anástasis-risurrezione. La prima persona che rinuncia a sé per la salvezza e la vita di Belle è precisamente la madre di lei, che tanto della sua libertà e determinazione ha lasciato nell’anima della figlia. Maurice, che porta nel cuore come una ferita di amore l’estremo gesto di donazione della moglie, è pronto a fare altrettanto per la figlia: rimanere per sempre imprigionato nelle segrete del castello della Bestia, perché Belle possa vivere. Cháris immediatamente ricambiata dalla stessa Belle, che con un gesto inatteso libera il padre, autosegregandosi. La Bestia salva la vita di Belle dall’attacco dei lupi, rimanendo a propria volta in fin di vita. Belle rinuncia a fuggire e se ne fa carico, in una scena quasi lucana sulla via tra Gerusalemme e Gerico.

Da qui inizia la scoperta graduale e discreta della bellezza e ricchezza esistente nel cuore dell’altro, il rifiorire delle relazioni nel castello, per la prima volta dopo tanto tempo toccato da alcuni raggi di sole. Nasce e si approfondisce l’amicizia, che sappiamo essere anche nell’etimo intimamente connessa all’amore (attraverso la consapevolezza del proprio limite e il legame al limite dell’altro, alla nudità del suo volto – scriverebbe Levinas – che appella alla cura). L’amore, quando è vero, dona libertà: la Bestia lascia che Belle torni dal padre in pericolo, rinunciando alla propria ultima speranza di ritorno alla vita umana. Ma il trapianto è riuscito, il reale miracolo è avvenuto: il cuore di pietra che aveva disprezzato la figura cristica del povero mendicante che chiedeva riparo, si è ormai trasformato in un cuore di carne, il cammello è passato per la cruna dell’ago. Un cuore cristico che risparmia e ha misericordia persino della vita dell’impenitente Gastón: che invece – più volte – spara a tradimento, alle spalle, e uccide.

Il resto è notte del venerdì e del sabato santo, è anástasis, è luce pasquale.

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