Una marcia (e una staffetta)

Breve cronaca di un evento, una galleria di immagini ed una preghiera: che quando la parola è estenuata, o involuta, o inadeguata, il nodo della lingua si sciolga nei gesti; che, nel Tempo Ordinario, a parlare siano i gesti che fanno belle e credibili le persone.
4 Gennaio 2016

Il 31 dicembre è tornata a Molfetta, dopo 23 anni, la Marcia Nazionale della Pace. Nel 1992 era con noi il vescovo Tonino Bello, uomo di pace, appena rientrato in diocesi dalla spedizione disarmata dentro Sarajevo in guerra; pochi mesi dopo avrebbe varcato la soglia della vita eterna. Sono ancora nel ricordo di molti gli occhi di quell’uomo di Dio, in quella sera piovosissima, occhi che sprizzavano gioia, entusiasmo, grandi speranze, in un corpo consumato dal male.

Una città in attesa del nuovo pastore, dopo la morte improvvisa di Mons. Luigi Martella, ha accolto i pellegrini della pace, della diocesi, ma anche giunti dal circondario e da città lontane; diverse migliaia di partecipanti.

La marcia si avvia con la preghiera interreligiosa tratta dalla Laudato Si e come prima tappa raggiunge la Casa di Accoglienza della Caritas, una delle opere simbolo dell’episcopato di don Tonino. La partecipazione è imponente; in tanti, tantissimi hanno cercato di organizzarsi per percorrere almeno qualche chilometro in corteo. Contano queste presenze fluide. E contano le presenze storiche. È il bello di questo eventi: volti che si cercano, amici che non senti da un po’, ma sai che continuano a mantenere qualche forma di impegno. E magari questi due mondi potessero parlarsi sempre di più. Le Chiese di Puglia si presentano con il loro carisma di servizio, di impegno in frontiera, di dialogo con gli altri segmenti della società civile. Al termine della marcia i posti a sedere che erano stati predisposti per la messa non bastano: diversi vescovi ed un centinaio di sacerdoti, chiesa ed auditorium col maxischermo strapieni. Alle 22:30 i canti risuonano, l’assemblea risponde, a differenza di tante nostre messe domenicali, in pieno giorno.

Oltre la cronaca, vorrei fermare qualche immagine di queste giornate. Una galleria personale, condivisa in famiglia, con qualche implicazione che può anche andare oltre l’evento.

Il 30 dicembre, celebrazione del Te Deum. È stato invitato a presiedere la celebrazione Mons. Bettazzi, predecessore di don Tonino come presidente di Pax Christi, veterano della Marcia per la pace. Appoggiandosi al suo bastone (proprio il bastone, non il pastorale), percorre la navata della nostra cattedrale: non si possono non notare il sorriso e il gesto cordiale dell’altra mano.

Durante la Marcia, intervento di don Luigi Ciotti. Siamo in abbondante ritardo sul programma quando prende il microfono. Prima ancora dei contenuti, conta il tono: urla come un profeta con il fuoco dentro, come un fiume in piena, per 45 minuti. Nelle sue parole l’orizzonte globale e i problemi locali. Mia moglie, sottolinea che don Ciotti parla sempre da prete, di una scala tra terra e cielo, terre martoriate che invocano un riscatto, da ottenersi con la preghiera oltre che con l’impegno. E tutti sappiamo che il suo è uno sguardo che non rimane inerte, ma che si fa intervento concreto, sfidando le mafie.

La marcia passa anche dalla nostra parrocchia; con il gruppo famiglie avevamo preparato un’accoglienza a misura di bambini: palloncini con i colori dell’arcobaleno. C’è appena il tempo di una foto ricordo e don Luigi inizia a chiedere i nomi dei nostri figli; proprio come il nostro don Tonino, parla guardandoti negli occhi, rivolgendosi a te. Tutto inizia dai nomi, dalle relazioni tra le persone; senza relazioni non si va da nessuna parte. Nella foto il fondatore di Libera è accanto al parroco. Io mi metto accovacciato e don Luigi bussa sul berretto e chiede “e tu, come ti chiami???” … si vede che è proprio un vizio!

Vorrei condividere, infine, un’impressione che ritorna nei discorsi in casa: l’impressione (non disponendo di dati precisi) di una specie di barriera anagrafica per i partecipanti adulti: sono oltre i quarant’anni, direi. Ancora più complicato il discorso della partecipazione giovanile, tra folti gruppi organizzati e partecipanti anonimi.

Tra me e me ripensavo che gli over 40 sono educati a decodificare certe immagini e certe parole. Si può dire la stessa cosa per gli under 40? Ad esempio, erano davvero pochi gli under 40 al Te Deum: se ci fossero stati, avrebbero notato il sorriso accogliente del vescovo novantaduenne? E quel sorriso cosa avrebbe evocato? io non ho potuto non pensare alla stagione conciliare, di cui Mons. Bettazzi è uno degli ultimi testimoni viventi, e al suo lascito impegnativo.

Ieri abbiamo letto il Prologo di Giovanni, l’inno al Verbo. Allora ci sta bene una preghiera: che il Signore ci doni un vocabolario adeguato, per condividere tra generazioni, come in una staffetta, sentimenti, emozioni, sogni e progetti. E, quando la parola è estenuata, o involuta, o inadeguata, che il nodo della lingua si sciolga nei gesti; che, nel Tempo Ordinario, a parlare siano i gesti, piccoli e grandi, gesti che fanno belle e credibili le persone.

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