Storia di una sconfitta (se tale poi è davvero risultata)

È da poco nelle librerie un interessante saggio di Francesca Perugi, che ricostruisce gli appassionanti e difficili anni martiniani (1986-1993) di guida del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa: una lettura utile per capire la Chiesa di ieri e quella di oggi.
4 Luglio 2023

Storia di una sconfitta: poche volte il titolo di un saggio è stato così pienamente adatto come nel caso del volume scritto da Francesca Perugi ed edito da Carocci (Roma, 2023, 170 pagine, € 20). Infatti, la vicenda indagata nel testo, che reca come sottotitolo Carlo Maria Martini e la Chiesa in Europa (1986-1993), è davvero la triste ‘storia di una sconfitta’, ossia il tramonto di un modo più aperto di intendere la Chiesa (soprattutto europea), una sconfitta che ha poi portato sul fondo con sé anche una visione di collegialità episcopale, di ministero ordinato, di ruolo del cristiano, ma soprattutto di rapporto tra vangelo e mondo, tra messaggio cristiano e modernità. La sconfitta è quella di Carlo Maria Martini e del gruppo episcopale attivo nel Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) durante la presidenza dell’arcivescovo di Milano (1986-1993): anni decisivi sia per i fatti storici di enorme portata che attraversarono il continente (la caduta dei regimi comunisti nell’Est), sia per la transizione, consumata in quegli anni, da un cristianesimo europeo dialogante con la contemporaneità, figlio del Vaticano II e del pontificato montiniano, a un cristianesimo più identitario e conflittuale, che trova nella collaborazione Wojtyla – Ratzinger – Ruini la punta di diamante di quell’opzione (con il Papa polacco spesso su posizioni più moderate e concilianti e il vescovo italiano su posizioni più combattive). Di questo passaggio Francesca Perugi, nel libro che trae dalla sua tesi di dottorato, dà ampia ricostruzione, grazie in particolar modo a un’intensa frequentazione delle carte d’archivio dei protagonisti coinvolti, a partire proprio da Martini: poiché è attorno al padre gesuita divenuto successore di Ambrogio, eletto presidente del CCEE, che si coagulano tensioni e speranze, visioni e profezia, arretramenti e sconfitte, sgarbi istituzionali e capacità di leggere i segni dei tempi. Con Martini, altri grandi pastori europei, come Basil Hume, Godfried Danneels, Karl Lehmann, Roger Etchegaray, Ivo Fürer e tanti altri, desiderosi di dare seguito ai dettati conciliari e quindi volti a orientare il CCEE, come per le altri grandi assemblee episcopali continentali (si pensi, ad esempio, al CELAM per il Centro-Sud America), verso la collegialità episcopale, verso la collaborazione tra vescovi europei, verso l’ecumenismo, secondo rapporti con le altre confessioni cristiane che vanno via via rafforzandosi, con stima e ascolto reciproco.

Da san Gallo, sede del CCEE, partirono suggerimenti e iniziative di dialogo e confronto, di formazione e reciproca conoscenza per i vescovi, di studio e di riflessione sull’evangelizzazione, in una dicotomia tra «nuova evangelizzazione» (Roma) e «evangelizzazione nuova» (CCEE), che significò soprattutto un modo differente di intendere la presenza cristiana nell’Europa.

Perugi riesce a mettere bene in luce fenomeni e tensioni, posizioni e mediazioni: così da una parte Martini e il ‘gruppo di san Gallo’, mantenendo sempre un rapporto di comunicazione con il pontefice, proponevano una pastorale del dialogo, che sapesse anche cogliere i fenomeni buoni del mondo moderno (la libertà di pensiero, il pluralismo, la democrazia, ad esempio), divenendo anche oggetto di critiche ideologiche e misere campagne di stampa dal fronte conservatore, spesso legato al Sabato e a Comunione e Liberazione, che invece propugnavano un cristianesimo muscolare e identitario, temporale e agonico, dove la postura era più quella del proselitismo che non quella della testimonianza, del giudizio che non quello del riconoscimento del bene che c’era anche fuori dalla Chiesa; dove si faceva largo, anche con solidi appoggi nella gerarchia di fresca nomina, l’idea che «i cattolici non dovessero accontentarsi di “partecipare” alla società, ma avrebbero dovuto indirizzarla e guidarla» (p. 79). Alla base, vi erano due visioni diverse della scristianizzazione: come nota l’autrice del volume, per Giovanni Paolo II essa era causata da correnti di pensiero avverse al cristianesimo, quali indifferentismo, secolarismo e ateismo dichiarato. Per Martini e il gruppo del CCEE il venire meno della fede, al contrario, era dovuto ai cambiamenti culturali, sociali, economici del dopoguerra, quali «l’esplosione dei mezzi di comunicazione, l’inurbamento, le trasformazioni delle condizioni di lavoro, la diffusione del benessere. Martini poneva l’attenzione sui cambiamenti nella vita quotidiana delle persone, tanto profondi da aver modificato anche il loro rapporto con Dio, e riteneva necessario che pastori e fedeli cambiassero mentalità per continuare ad annunciare il Vangelo in un mondo mutato» (p. 82).

La questione delle radici e le Chiese dell’Est

Su questa premesse, va in scena il doppio movimento della Chiesa europea, qualche volta con il Papa a mediare, altre con il Papa schierato con il fronte conservatore. Soprattutto la frattura tra le diverse posizioni, dopo il noto convegno di Loreto (1985) che segnò l’accantonamento dell’ecclesiologia montiniana, riguardava la questione delle radici dell’Europa: da una parte, infatti, vi era una forte insistenza sulle radici cristiane del continente, da ribadire e da rilanciare come unica opzione per l’Europa. Dall’altra, invece, dai pronunciamenti del CCEE arrivano toni più concilianti: «i vescovi del gruppo di san Gallo concordavano quindi nel riconoscere che il cristianesimo aveva un ruolo fondamentale nella storia europea, ma ritenevano anche che le radici del continente risiedessero in una molteplicità di tradizioni» (p. 33). Non si trattava solo di un discorso culturale e storico, poiché da ciò derivavano due opzioni diverse di pastorale (anche nel rapporto con la politica): mediazione, cura dell’interiorità e della coscienza, confronto con tutti per il bene possibile o arroccamento su alcuni ‘valori non negoziabili’ ­— riduttivamente fatti coincidere con il messaggio evangelico —, magari indulgendo talvolta a appoggi politici interessati.

A ciò si aggiungeva anche una divergente considerazione del ruolo e dell’apporto delle Chiese dell’Est dopo il crollo del comunismo, la cui testimonianza sotto il regime tutti lodarono: però Martini, mentre sosteneva la necessità di aprirsi al patrimonio spirituale, liturgico e ascetico dell’Est, intuiva la fatica che la chiese europee orientali avrebbero incontrato nel confronto con la modernità, in quanto erano state obbligate a rimanere ferme e isolate, senza la ricezione del Vaticano II, rischiando dunque di proporre «schemi e modelli del passato presovietico» (p. 53). In questo senso, la Chiesa occidentale poteva, oltre che imparare, anche condividere e insegnare in relazione al rapporto con il contemporaneo. Accento diverso ebbe Wojtyla, che di fatto sosteneva l’estensione del modello ecclesiale polacco ad altre realtà, in condizioni però non analoghe.
Qui emergeva come punto di tensione anche il tema ecumenico: per il CCEE nei territori dell’Est non bisognava avanzare modelli di conversione e proselitismo per portare in seno alla Chiesa cattolica comunità ortodosse, cosa che invece altri a Roma sostennero, generando crescenti contrasti con l’universo dell’ortodossia. Così, se da una parte si convocava una grande assemblea ecumenica a Basilea (1989), dall’altra si apriva un Sinodo speciale per l’Europa (1991) che poco spazio diede ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane.

Il Sinodo per l’Europa e la sconfitta

Con ampia bibliografia, riportando puntualmente interventi e riferimenti di lettere anche private e appunti d’archivio, Francesca Perugi riscostruisce anni di riposizionamenti, di progressiva limitazione che Roma impone a san Gallo, di tentativi più o meno riusciti di controllo del CCEE. Tutto ciò sfociò nel Sinodo sull’Europa, luogo e momento di chiarificazione e di vittoria dell’ala conservatrice, anche per quanto riguardava la collegialità episcopale. Ruini, come relatore generale del Sinodo, fu regista di un forte depotenziamento del CCEE, con passaggi anche di scarsa trasparenza: ad esempio, un paragrafo del discorso di chiusura del Papa che sosteneva il CCEE, presente nella bozza diffusa ai padri sinodali delle ore 12.00, venne espunto nella versione finale delle ore 13.00.

Fu un confronto non morbido, quello al Sinodo, che segnerà poi l’estromissione di Martini dal Consiglio e l’avvento delle posizioni ruiniane. Un esempio tra tutti: dopo il Sinodo (1993), Roma decise che il CCEE fosse composto solo dai presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali, senza un secondo delegato, come invece era dalla sua fondazione (1971). In Italia, come è noto, il presidente della CEI è scelto dal Papa e Giovanni Paolo II dal 1991 indicò Camillo Ruini. La CEI non potè così esprimere un suo candidato. L’arcivescovo di Milano venne quindi escluso, ma si trattò di un unicum, poiché subito dopo il diniego verso il cardinale gesuita si iniziò a discutere nuovamente della presenza di un secondo delegato nazionale: «l’obiettivo di non rieleggere Martini era stato raggiunto e l’opzione del gruppo di san Gallo era stata sconfitta» (p. 165). Peraltro Perugi rileva come le proposte di Ruini fossero molto più drastiche, quali ad esempio spostare la sede del CCEE da san Gallo a Roma, con chiarissimi intenti di controllo, ma qui Wojtyla mediò e diede ascolto al gruppo uscente del Consiglio — soprattutto a Basil Hume —, decidendo per la permanenza dell’organismo in Svizzera.

Sconfitta temporanea?

Al lettore che si dedica alle pagine del libro, documentate e bibliograficamente solide (sebbene la forma sia talvolta ostica, per refusi e costrutti sintattici non regolari, forse frutto di una revisione frettolosa, e questo è un fattore che vogliamo segnalare in vista di eventuali ristampe), al lettore, dunque, che si avvicina alle pagine del testo si presenta da subito un pensiero che diviene una domanda: fu vera sconfitta? Certo, nel frangente storico analizzato è così: le visioni, le analisi e le proposte del CCEE degli anni martiniani vennero messe da parte. Eppure, leggendo gli stralci dei discorsi, delle lettere, le bozze di progetti, le interpretazioni offerte dai quei vescovi, insieme a un poco di rimpianto (“chissà come avrebbe camminato la Chiesa se…”, “chissà quante sofferenze in meno se…”), nasce progressivamente la consapevolezza che tutto ciò che in quel momento venne accantonato, se non osteggiato, è poi tornato con forza (fantasia dello Spirito!), sulla strada del Vaticano II, con il pontificato bergogliano: dall’ecumenismo alla sinodalità, dalla collegialità all’approccio costruttivo verso la contemporaneità, dalla cessazione dei toni conflittuali e identitari all’abbandono del dirigismo ecclesiale politico in nome del refrain dei ‘valori non negoziabili’, ora tutti quei temi sono all’ordine del giorno. Varrà la pena, ad esempio, riprendere un testo davvero illuminante come Scendiamo a Cafarnao. Rafforzare le speranze – Resistere al male nell’Europa d’oggi, pronunciato da Martini al Simposio dei vescovi europei, che si offre ancora oggi con una forza e una lucidità di rara attualità.
Chi ha letto quel gioiello che è Evangelii gaudium non stenterà a riconoscere non poco di ciò che si discuteva al CCEE, anche se su più larga scala. Allora, quella sconfitta a cavallo tra anni ’80 e ’90, forse, nei tempi lunghi della Chiesa, fu una dolorosa sosta, ma in fondo temporanea. E diventa poi inevitabile, per coloro che hanno vissuto anche gli anni successivi, riconoscere la validità di molte di quelle intuizioni, soprattutto nella lettura del mondo che viviamo e del modo di starci da cristiani, secondo il Vangelo, riconoscendo anche il carattere effimero (e ostile) di altre istanze che segnarono un successo lungo, ma non fecondo.
In questo senso, le dimissioni di Benedetto XVI posso essere considerate, anche simbolicamente (ma non solo: basti pensare allo stolto impazzimento del fronte ultraconservatore riguardo alla validità del gesto di Ratzinger) la presa d’atto del fallimento di alcune posizioni di un periodo, di una politica ecclesiale, di un modo di gestire e intendere la Chiesa e la sua missione? È una domanda che lo studioso non può non farsi, traendo da solo le fila del discorso. Ma su questo, come la storia insegna, dovrà calare il tempo e concedere ai futuri ricercatori la gravità della risposta.

4 risposte a “Storia di una sconfitta (se tale poi è davvero risultata)”

  1. Alessandro Manfridi ha detto:

    Grazie.
    Molto interessante.
    P.S.: Si dice che al Conclave che ha eletto Benedetto XVI il cardinale Martini, che già conosceva il suo male, chiese che i voti che erano indirizzati a lui convergessero verso il suo confratello gesuita arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio, che poi a un certo punto lasciò libera la strada a Ratzinger.
    Nell’ultimo Conclave invece ol suo nome pareva non essere tra i “papabili”.
    Ma lo Spirito ha deciso diversamente…

  2. Carmela Pizzonia ha detto:

    “In questo senso, le dimissioni di Benedetto XVI posso essere considerate, anche simbolicamente (ma non solo: basti pensare allo stolto impazzimento del fronte ultraconservatore riguardo alla validità del gesto di Ratzinger) la presa d’atto del fallimento di alcune posizioni di un periodo, di una politica ecclesiale, di un modo di gestire e intendere la Chiesa e la sua missione?”.
    Grazie.

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Una foto emblematica, descrive una Chiesa volta al dialogo, aperta a confrontarsi con l’avanzare di un mondo nuovo, in evoluzione. l’uomo che guarda incuriosito oltre il pianeta abitato, e come un novello Icaro fa sogni quasi impossibili, realizzati come il navigare in altri pianeti, creare un altro se stesso a farsi ubbidire. Forse è questa differenza a far meditare: Dio resta sempre superiore, ha dato doni quali la libertà, non lo ha sottomesso alle Sue Leggi perché’ giuste,volte al Bene; l’intelligenza a scoprire se stesso, che lo fanno esistere e vivere. ma anche di quello Spirito a renderlo agile a innalzarsi.fino a Lui.Ogni persona uomo unica, capace di porsi a confronto di idee, anche scoprire la Verità che è in Lui soltanto. Nell’evolversi l’uomo sceglie, e vediamo come si è ridotta la sua condizione oggi, umana, precipitata in povertà, come Icaro . La Chiesa come corpo di Cristo, ancora,Pietra, Vangelo di salvezza per l’uomo di ogni tempo

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    Realtå.
    Non presa in considerazione.
    Senza discernimento alcuno.
    Basterebbe affiancare a questa approfondita ricostruzione INTERNA
    la ricostruzione parallela di ciò che avveniva FUORI, in chi partecipava ma soprattutto in chi non partecipa a +, prendeva altre strade. Mi viene da urlare: ma chi lo ha detto che QUELLE STRADE non erano strade di Cristo?
    Davvero il cosiddetto Modernismo ( termine inventato a Roma, come quasi tutti gli -ismi, a scopo evidentemente denigratorio..) davvero i modernisti rifiutavano Cristo, vedi il martire Bonaiuti..
    E come non leggere l’attuale crisi profonda come logica conseguenza di occhi chiusi e cervello all’ammasso?
    Ma se fossero solo errori ‘sociologici’.. passit.. ma imo siamo di fronte ad errori fi base e di sostanza..
    Alla Bocconi mi insegnarono che la prima domanda da porsi x una istituzione è!:
    CHI SONO IO? QUALE MISSIO? COME LA AFFRONTO?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)