E il carisma, dopo la morte del fondatore?

Movimenti e associazioni alle prese con la custodia dell'ispirazione originaria: alcuni spunti in un libro dell'economista Luigino Bruni su Chiara Lubich e i Focolari
5 Gennaio 2024

Cosa significa davvero saper “custodire il carisma” allo morte del Fondatore di un movimento? È una problematica che lungo i secoli ha toccato tante famiglie religiose e nel dopo Concilio tutte le aggregazioni laicali anche per la lunga vita del loro leader ispiratore: i rischi ovvii sono quelli di deviazioni, annacquamenti o incoerenze, ma anche di una “mummificazione” dell’esperienza iniziale, più celebrata e mitizzata che aggiornata e sviluppata dentro contesti che nel frattempo sono radicalmente mutati.  Un tema sul quale papa Francesco richiama gli aderenti in occasione dell’anniversario di fondazione del  loro movimento e sul quale il Dicastero per i Laici ha dato disposizioni per limitare la durata eccessiva dei mandati.

Fra gli studiosi più attenti alle dinamiche storiche delle comunità carismatiche e delle OMI (Organizzazioni a Movente Ideale, come lui stesso le ha definite)  c’è il noto economista Luigino Bruni che opera da quarant’anni nel Movimento dei Focolari. Dopo la morte della fondatrice Chiara Lubich, di cui è stato per dieci anni collaboratore diretto nell’ambito “economia di comunione”, ha cercato di promuovere il discernimento sull’impegnativa fase della successione. Lo ha fatto con realismo storico – anche raccogliendo come occasioni di verifiche alcune critiche mosse da ex focolarini e focolarine –  e con l’ispirazione biblica che gli deriva da approfonditi studi sulla Sacra Scrittura. “I movimenti cristiani rivivono varianti dell’unica storia di Cristo con la Chiesa – è la premessa di Bruni –  è quindi necessario che dopo la morte del fondatore, che è anche morte mistica del primo corpo, arrivi una resurrezione, sapendo che il corpo risorto non è la riesumazione del cadavere: è altro. C’è bisogno di una grande capacità di innovare, di saper rischiare, di non aver paura di perdere molto se si vuol continuare a vivere”.

Una posizione limpida che mette in guardia dalla nostalgia della radicalità del passato (impossibile da rivivere “tale e quale” nel presente), dall’intoccabilità delle forme organizzative (soprattutto se previste dallo stesso fondatore, ma in base all’esigenza del suo tempo), da un’attenzione eccessiva e autoreferenziale alla struttura organizzativa piuttosto che al riconoscimento di  nuovi carismi emergenti dentro lo stesso movimento.

Si trovano queste considerazioni – sviluppate in modo molto chiaro, anche con accenti autocritici  – in un libro presentato a Trento e Loppiano in dicembre nell’ottantesimo di fondazione del Movimento  dal titolo “101 domande su Chiara Lubich” che l’editrice diocesana ViTrenD insieme alla Fondazione Don Lorenzo Guetti ha commissionato a Bruni:  non solo come utile sintesi per le generazioni post Lubich ma anche come primo spazio di riflessione sui 15 anni vissuti “senza Chiara”. Correndo il rischio di farne un libro “sbilanciato” sull’esperienza personale (operazione inevitabile per un focolarino così interno eppure molto noto nel mondo ecclesiale italiano anche per i suoi commenti su Avvenire), Bruni ci aiuta a mettere a fuoco alcuni passaggi che sono invece cruciali per tutta la Chiesa oggi, non solo all’ombra del focolare.

La metafora più efficace a cui il docente ricorre è quella botanica, che gli è molto cara: “Un albero, lo sappiamo bene, non è la gigantografia del seme. – scrive Bruni – È il risultato imprevedibile di un intreccio di sali, acqua, terra, sole, alberi vicini, tempeste, grandine, incendi, cambiamento climatico… E così il Movimento dei Focolari è oggi molte cose, non tutte previste dal DNA del primo seme; è il frutto degli incontri, degli errori e dei peccati dei primi focolarini e di quelli che sono arrivati nel tempo, è il risultato delle luce e ombre della storia, è oggi del grande “cambiamento climatico del cristianesimo e delle religioni…”

In quest’ottica, par di capire, non è utile né tenere il seme  intoccabile, né buttarlo via, ma affidarsi alla Provvidenza, favorendo anche i carismi individuali, confidando in una stagione nuova di creatività individuale e collettiva (che vada oltre il lavoro svolto dalla prima cerchia dei fondatori) come lo stesso Bruni, tutt’altro che apocalittico, continua a rintracciare e apprezzare in alcuni filoni attivi e operanti di creatività  dentro tante realtà ecclesiali.

Per farsi capire parla di una sorta di malattia autoimmune dei movimenti carismatici che temono di perdere l’identità specifica del carisma del fondatore. “Per timore  di annacquare, contaminare o deteriorare la purezza originaria della mission della comunità – esemplifica Bruni – vengono scoraggiate le persone dotate di maggiore creatività perché percepite come una minaccia per l’identità. E così invece di emulare il fondatore nella sua creatività si imitano le forme nelle quali essa si è concretizzata e manifestata. Si confonde il nucleo immutabile dell’ispirazione originaria con la forma storica che esso ha assunto  nelle fasi di fondazione, e non si comprende che la salvezza dell’ispirazione originaria consisterebbe nel cambiare le forme per restare fedeli alla sostanza del nucleo originario”.

Bruni ricorrendo all’esperienza della Chiesa primitiva, dove non c’erano soltanto apostoli ed evangelisti ma anche un Paolo che non aveva conosciuto personalmente Gesù ma che è stato decisivo nella diffusione del suo messaggio. Anche oggi “l’arrivo di nuovi Paolo è la salvezza dei movimenti spirituali”, osserva l’economista che esorta a non impedirne il riconoscimento e a dar loro spazio con fiducia.

Sono solo alcuni degli appunti con cui l’appassionato studioso focolarino (“Chiara Lubich ha cambiato la mia vita”, ammette, ricordando con riconoscenza il suo inizio nei Gen) porta un contributo affinchè negli otri nuovi non resti vino vecchio, cioè non non si resti bloccati dalla nostalgia del passato ma si sappiano affrontare le sfide nuove. E, viene da dire, vale per i movimenti, ma vale anche per tante forti esperienze di Chiesa locale (si  pensi all’eredità di un vescovo “profetico” o anche di un parroco di forte personalità o spiritualità che ha lasciato un segno…) che però non trovano continuità o sfioriscono in fretta proprio per la tendenza a conservare intatto il seme, incapaci di accettare di vederlo crescere esposto a venti nuovi e climi diversi.

L’impostazione realistica ed equilibrata di questo tema (il “dopo di lui” o “dopo di lei” ecclesiale) elaborata da Luigino Bruni con sguardo esperienziale e propositivo, meriterebbe l’attenzione di qualche Consulta delle aggregazioni laicali e anche di qualche Consiglio pastorale, oltre che dei vertici attuali dei movimenti cattolici.

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