V domenica di Quaresima: Gv 12,20-33
SE IL CHICCO DI GRANO MUORE… (XII-XIII secolo, Roma, Basilica di San Clemente)
Saputo che dei Greci hanno chiesto di vederlo, a Gesù viene in mente di mostrare – più che la faccia – la croce gloriosa. Non ne fa una questione di comunicazione: Gesù non prende posizione contro l’apparire – in vista di una conoscenza meno superficiale – e neppure a favore dell’apparire il meno possibile – in vista di un aumento di interesse nei suoi confronti. Ne fa invece una questione di sostanza: «Se vogliamo svelarci fino in fondo, ci rappresenta meglio un chicco di grano… quando, come lui, ci spezziamo per dare frutto».
La preoccupazione della fecondità (ottenuta, peraltro, a caro prezzo)… si riflette nelle immagini con cui il cristiano si rappresenta. Qui facendo cogliere come la croce – da strumento di morte – possa richiamare tutt’altro, presentandosi come lignum vitae, cioè albero della vita… Capace di produrre una vegetazione sterminata e di dare ospitalità e nutrimento a un gran numero di animali…
Dopo le croci gemmate, ecco dunque un’altra croce trasfigurata, stavolta in un albero straordinariamente rigoglioso.
Sono bravi, i cristiani, quando colgono il significato di se stessi, come già facevano nei primi simboli delle catacombe. Muovendo sempre da un’autocoscienza, mandavano il messaggio d’essere dei salvati: «Eravamo in un diluvio e qualcuno ci ha tolti di lì, mettendoci in salvo». Di qui le immagini della colomba col ramoscello nel becco, della nave che trova il porto e dell’ancora. Sono ancora più bravi, i cristiani, quando riescono a innovare l’immagine che li rappresenta, senza farla mai diventare un luogo comune.