Dire Gesù con parole nostre

«Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà»
16 Settembre 2018

XXIV domenica del tempo ordinario: Mc 8,27-35

«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?» (2006, Roma, foto di Aurelio Candido)

 

Quindi Gesù dà peso alle parole dette dai suoi… E sgonfia, ancor prima che nasca, la frase fatta «Ciò che conta è l’esempio», dietro la quale i cristiani sono abili a nascondere i propri silenzi (dimenticando, tra l’altro, che non ogni aspetto della vita cristiana è visibile).

Si usano parole in abbondanza solo per scansare le verifiche, giustificandosi col fatto che «La missione non è marketing e non punta al successo», che «L’importante è piantare il seme, i frutti si vedranno tra un secolo o due», che «Non si può mica tornare all’epoca in cui si contavano i convertiti»… Per cui non si prova nemmeno a interrogarsi su come raccontare il Signore.

Se non altro, gli apostoli rispondono con sincerità e non temono di rivelare gli accostamenti strampalati fatti dalla gente. Analoghi a quelli che vediamo in questa foto, dove Gesù, oltre a essere messo sullo stesso piano di altre icone, è un’immagine riprodotta in serie. Senza bellezza. Lasciando il sospetto che sia proprio questa moltiplicazione a renderlo icona, contenitore senza contenuto, figura muta.

Forse è ora di lasciar perdere le immagini standardizzate, dai Gesù misericordiosi alle Madonne miracolose, per provare a offrire parole e immagini nostre e a carico nostro. Con la passione e la creatività che tiriamo fuori, assieme alle statuine, quando facciamo il presepio, riuscendo a rendere sorprendente una storia notissima.

Ma – oltre alla nascita – di Gesù dobbiamo raccontare tutto, le parole e le opere, fino all’offerta della vita.

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