Investimenti a rischio

L’esperienza di rimanere delusi è abbastanza comune nelle nostre vite, tanto più nelle esperienze educative, in cui ci prendiamo cura degli altri.
8 Ottobre 2023

Dopo la brevissima parabola dei due figli inviati a lavorare nella vigna, l’ambientazione agricola continua a imperversare nelle letture odierne.

Anzitutto la prima lettura ci parla di una vigna che non produce il raccolto atteso: solo acini acerbi, nonostante tutte le attenzioni che il padrone le avesse riservato.

Il brano evangelico cambia leggermente la prospettiva. Abbiamo ancora una vigna che non rende quello che il padrone si attendeva, ma questa volta la colpa è dei contadini a cui la vigna è stata affidata. Probabilmente c’è stato un buon raccolto (o ci sono tutte le premesse per averlo), ma per certo i contadini non intendono versare il dovuto al padrone, anzi fanno fuori dipendenti ed erede per subentrare nel possesso. Evidentemente non è affatto la stessa cosa. Non si può attribuire ad un terreno, tout court, la colpevolezza del proprio scarso rendimento, mentre il comportamento dei contadini è deliberato.

Il brano evangelico proposto oggi è immediatamente successivo a quello proposto domenica scorsa ed è opportuno contestualizzarlo: siamo a Gerusalemme, dopo il solenne ingresso della “Domenica delle Palme”; le controversie con le autorità religiose e politiche sono nel vivo, perché il Signore sa che il suo destino è segnato, dunque non ha più niente da perdere. La conclusione di questa parabola alza il livello della provocazione: non si parla più di precedenze in un fantomatico Regno dei Cieli, ancora tutto da venire; qui si parla di un potere reale (temporale e sulle coscienze) che sta per passare di mano. Figurarsi se i notabili potevano lasciar correre.

Storia di duemila anni fa, storia di oggi. Siamo noi la vigna che non rende? Siamo noi pezzi di ingranaggio che finiscono per allontanare da Dio, anziché condurre a lui? Meriteremo la punizione che il Signore minaccia?

Evidentemente non possiamo rispondere con leggerezza che Dio perdonerà tutto. Però abbiamo qualche argomento per sperarlo, perché questo tema si presta ad una lettura più ampia.

L’esperienza di rimanere delusi per l’esito di ciò su cui avevamo investito tempo ed energie è abbastanza comune nelle nostre vite, tanto più nelle esperienze educative, in cui ci prendiamo cura degli altri. Potrà capitare in famiglia, con i figli; potrà capitare nell’ambiente scolastico: si dà tanto e poi arrivano le delusioni, più o meno cocenti. Ci sarebbero decine di possibili esempi di cronaca recente, e servirebbe un giornalista bravo per darne conto in maniera appropriata. Possiamo pensare allo scarso impegno, o alle bravate o addirittura ai crimini in aula. Possiamo ai crimini, o alle bravate, in ambito familiare e nel tempo libero. Magari sono implicati docenti in gamba, magari alle spalle ci sono genitori attenti, ma questo non basta: dobbiamo prendere atto, con delusione o amarezza, che i ragazzi di cui abbiamo avuto cura possono manifestare comportamenti non in linea con quello che abbiamo seminato. Siamo delusi come il padrone; e siamo anche come la vigna, che non è riuscita a produrre buon frutto.

Il genitore lo sa, il docente lo sa: non ci sono garanzie di buon esito. Eppure sempre la cronaca ci racconta che, dopo un fatto grave (e la delusione che ne consegue), passate le reazioni a caldo, gli istinti punitivi vengono mitigati e passano in secondo piano. Quello che rimane è la passione, che è un fatto viscerale: continuare ad aver cura e a seminare, correggendo forse il tiro. Continuare a seminare e a sperare che il seme porti buon frutto. Così faccia il Signore con noi.

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