Il profeta che stupiva…

Essere fedeli non è cosa di tutti i giorni, per non parlare dell'essere autorevoli, ma Gesù così apparve a molti.
28 Gennaio 2024
  • Duccio di Boninsegna Gesù nel tempio fra i dottori, 1311

Dopo l’ascolto e l’azione, a cui sono chiamati coloro che hanno accolto il messaggio di Gesù, questa domenica la liturgia ci parla del profeta, cioè di colui che è stato inviato da Dio per diffondere il suo messaggio. Nella prima lettura si specifica che Dio susciterà un profeta tra gli uomini a cui porrà in bocca le parole da pronunciare, e il profeta dovrà essere fedele e leale, pena la morte.

Nel vangelo, Marco sottolinea che quanti ascoltavano Gesù che predicava erano stupiti poiché “insegnava loro come uno che ha autorità” e  che “furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità”.

Quindi c’è una doppia novità: una dottrina inedita e un maestro che parla con autorevolezza.

Gesù è ovviamente il Maestro per eccellenza, e nel corso della sua vita più volte gli evangelisti sottolineano lo stupore suscitato dal suo insegnamento.

Il primo episodio, riportato da Luca (2,41-50), è quello in cui Gesù dodicenne  si ferma nel Tempio a discutere con i dottori della legge: “E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”.

In un altro brano, Matteo (7,28) riferisce  che dopo, aver ascoltato le sue parabole, “le folle restavano stupite dal suo insegnamento” dato “con autorità”.

Perfino in punto di morte, sulla croce, Gesù provoca stupore: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” “ (Mc 15,38).

Gesù è sempre fedele a se stesso, e dimostra di non farsi condizionare dall’ambiente esterno anche quando la sua vita è in pericolo. Ha il coraggio di rimanere in silenzio di fronte ai sommi sacerdoti (Mt 26,62) e a Pilato (Mt 27,14) poiché comprende che non c’è una vera volontà di ascolto nei suoi confronti. E quando quest’ultimo lo minaccia dicendogli di avere potere di vita e di morte su di lui, Gesù ha la forza d’animo di rispondergli: “Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19,10-11).

Ma come si coltiva l’autorevolezza, alla quale tutti noi, in quanto discepoli di Cristo, siamo chiamati?

Nella seconda lettura, san Paolo ribadisce la necessità di non farsi condizionare dalle cose del mondo e afferma: “Fratelli, vorrei che voi foste senza preoccupazioni”. Prende ad esempio gli sposi: il marito si preoccupa prima di tutto di piacere alla moglie e così la moglie verso il marito, e questo, nella visione paolina, condiziona la libertà piena dei seguaci di Gesù.

Una riflessione che si aggancia molto bene alle raccomandazioni di Paolo, e ci aiuta ad attualizzarle, è la famosa “Lettera al figlio” di Rudyard Kipling, celebre scrittore inglese dell’800:

Se riesci a tenere la testa a posto quando tutti intorno a te
l’hanno persa e ti accusano.
Se riesci ad  avere fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te,
pur prendendo  in considerazione anche i loro dubbi.
Se sai aspettare senza stancarti di aspettare,
o essendo calunniato, non ricambiare con calunnie,
o essendo odiato, non dare spazio all’odio. (…)
Se puoi sognare, senza fare dei sogni i tuoi padroni;
se puoi pensare, senza fare dei pensieri il tuo scopo,
se sai incontrarti con il Successo e la Sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo. (…)
Se riesci a parlare alle folle e conservare la tua virtù,
o passeggiare con i Re, senza perdere il contatto con la gente comune,
se non possono ferirti né i nemici né gli amici più cari,
se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo.
Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
dando valore a ognuno dei sessanta secondi,
tua è la Terra e tutto ciò che contiene,
e – cosa più importante – sarai un Uomo, figlio mio!

Ecco: sarai un uomo! L’uomo cercato da Diogene con la sua lanterna e indicato proprio da Pilato con la famosa frase Ecce homo! (Gv 19,5).  Un Uomo crocifisso a cui volge lo sguardo uno dei ladroni, anch’egli crocifisso, che gli chiede di ricordarsi di lui quando sarà in paradiso, e Gesù con gli ultimi respiri lo accoglie nel suo cuore e gli promette salvezza (Lc 23,42-43).

Un miracolo, l’ultimo miracolo della sua vita terrena, che scioglie un cuore indurito dalla miseria umana, miracolo raccontato con incredibile poesia da Fabrizio De Andrè nel brano Il testamento di Tito, in cui dà voce proprio al ladrone salvato:

Io nel vedere quest’uomo che muore / Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore / Madre, ho imparato l’amore

Di fronte all’autorevolezza che deriva dall’autenticità e dalla fedeltà profonda a se stessi e ai propri valori, anche noi ci sentiamo salvati nelle nostre vite incerte e imperfette e possiamo cantare, insieme con il salmista: “ Venite, applaudiamo al Signore, acclamiamo alla roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia!”

 

Una risposta a “Il profeta che stupiva…”

  1. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Il posseduto giudica in modo soggettivo e non oggettivo perché il peccato è entrato in lui e non è più in grado di distinguerlo da sé per cui non discerne l’oggetto dal soggetto, cosa molto più comune ai nostri tempi.

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