Far posto nella tenda

Il racconto degli Atti ci ricorda che le prudenze, per quanto fondate, non devono mai mettere a tacere gli input e le domande
9 Maggio 2021

Il tema ecclesiale si impone anche al lettore non investito di specifiche responsabilità comunitarie. Nella narrazione degli Atti leggiamo dell’iniziazione cristiana della famiglia del centurione Cornelio, un allargamento importante della tenda della Chiesa. Sappiamo tutti come vanno queste cose, in un qualsiasi contesto collettivo: ogni ingresso fa cambiare le cose, tanto più se si tratta non di un singolo ma di un nuovo gruppo. E ce li immaginiamo i dubbi della prima comunità di provenienza israelitica rispetto ai pagani, il timore di annacquare, o addirittura tradire, l’identità del primo nucleo di discepoli. Il capitolo 10 ci racconta tutto il processo di discernimento, così lo chiameremmo oggi. «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Ammesso, e pure concesso, che ci sia stata una qualche forma di esitazione, è un secondo segno dal cielo a troncare gli indugi, in quanto prima c’era stato, significativamente, un sogno. Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola… «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?».

Nel racconto degli Atti la comunità cristiana degli inizi si lascia definire, plasmare dall’azione dello Spirito. L’architettura era davvero quella leggera della tenda; le grandi speculazioni teologiche sarebbero arrivate nei secoli successivi; il rapporto con la società era da una condizione minoritaria (a posteriori diciamo di lievito). Per noi oggi è diverso: la Chiesa è reduce da secoli e secoli in cui è stata lei a dettare definizioni, in materia di fede e di morale, per di più in una condizione dominante. E non ci sono più segni dal cielo a suggerire inequivocabilmente i cammini e le svolte. Possiamo azzardare a dire che ci rimangono almeno i “segni dei tempi” (e mi scuserà l’amica A.S. se l’espressione è a sproposito). E qui, alla fatica di cambiare, implicata da tutti gli allargamenti di tenda, e di prospettive, si aggiunge la fatica di discernerli, questi segni. Siamo noi in ascolto dello Spirito che soffia per ogni generazione, anche la nostra, anche in questo tempo che non comprendiamo fino in fondo? Oppure ci stiamo facendo dettare la linea dallo spirito del mondo? Il racconto degli Atti forse ci ricorda proprio questo: che le prudenze, per quanto fondate, non devono mai mettere a tacere gli input e le domande.

Il brano del Vangelo ci riporta su terreni forse più sicuri, anche per lettori meno provvisti di studi specialistici. Sono parole del testamento spirituale di Gesù nell’ultima Cena: le parole del primo congedo di Gesù dai suoi (alla vigilia della morte), noi le ascoltiamo prima del suo secondo congedo (l’ascensione, sparire definitivamente dalla vista materiale).

Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore. … Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. Parole di grande dolcezza, eppure tremendamente esigenti. Osservare i suoi comandamenti, come il perdonare settanta volte sette, il primo che mi torna in mente; come amare i nemici. A questo proposito emerge una domanda: amarsi gli uni gli altri, quindi, sembra di capire, nell’ambito della comunità dei credenti. Oppure, come era stato detto nel discorso della montagna (Mt 5,43-48), imitare l’amore universale del Padre che fa sorgere il sole indistintamente sui cattivi e sui buoni? C’è sicuramente un discorso teologico: la comunità dei credenti lasciata come segno, perché il mondo creda. Da lettore privato mi permetto di pensare anche ad una finezza pedagogica del Signore. Se la prospettiva è, senza dubbio, quella della fraternità universale, non si può saltare il banco di prova di quelli che vivono fianco a fianco a noi, legati a noi da vincoli di qualsiasi natura. Del resto, la pienezza questo richiede, che non rimanga vuoto il nocciolo, mentre la fraternità si dilata.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti… Evidentemente Gesù parla al collegio dei Dodici, con una specifica missione e, per diritto di successione, le sue parole possiamo ritenerle destinate a quanti nella Chiesa ricevono un ministero ordinato. Ma, da profano, mi chiedo se queste stesse parole non possiamo ritenerle destinate a ciascun credente. Lui ha scelto pure me, conservandomi nella fede. Come si dice, un po’ alla buona, avere “il dono della fede”. La fede come dono imperscrutabile, imperscrutabile esattamente come la scelta dei Dodici: a chi tocca e a chi no. Chi ha ricevuto questo dono, lungi dal farsene vanto, guardi sempre con simpatia quanti camminano nel mondo essendone privi. Tanto la fatica della strada è la stessa per tutti e la mano che ci rialza, se cadiamo, è sempre la Sua.

 

2 risposte a “Far posto nella tenda”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma come allargare la tenda, viso i segni del tempo? La Chiesa sta dando risposta è questa sembra una via sicura da imboccare al più presto. “Il Santo a Padre ha istituito il ministero laicale di catechista”. Visto che di Cristo non sembra essere passata la conoscenza a tutti i giovani, molto bene si apra una vera scuola che parli di Lui il Cristo venuto già ma che se ne attende il ritorno. Questo a rischiarare i giorni che stiamo vivendo segnati da timori, paure, conflitti perduranti e nuovi, giorni grigi dove il sole fa capolino tra nuvole di una incerta stagione. Finalmente dunque si apre una tenda all’aperto, finalmente Cristo torna fuori da gelide chiese affidato ai bambini perché lo portino nelle loro case, ad accendere il camino spento. Nella Chiesa dunque lo Spirito e vivente, si fa portatore di doni perché nessuno possa dire “non ne ho sentito parlare” . “Perché il mondo creda che tu mi hai mandato”

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Chi ha ricevuto il dono della fede?… Se ne siamo illuminati e’ una cura non tornare nell’ombra, tenere in mano sempre quella fiaccola di luce proprio per vedere le cose buone che ci stanno intorno e non permettere alla cattiveria di renderci ciechi. Infatti, senza la fede suppongo sia un annaspare nel buio, incerti sul da farsi. Gli Apostoli ma anche chi come il Giudice Livatino al quale ,ai giorni nostri ,viene reso l’onore degli altari ha fatto un percorso di vita illuminata da una Fede nei valori che sono luce per altri, un percorso lavorativo con obiettivi che hanno nobilitato sia La sua professione lavorativa che quella di fede; un esempio di amore verso il prossimo, coerenza di vita a quei principi che fanno scrivere il loro nome a una anagrafe d’oro, . Camminando nella luce ha indicato ad altri come dare senso al vivere quotidiano, E’ di questa luce che a nostra volta siamo attirati, per i nostri passi ma anche anche ad accompagnarsi a quella di altri.

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