Due pilastri e un architrave

Ammesso che per davvero si riesca ad amare il prossimo, amare Dio vorrà pur dire qualcosa in più. Cosa vuol dire per me, che dico di averlo conosciuto?
29 Ottobre 2023

Controversie con i notabili, ancora controversie, con i farisei questa volta. E di nuovo, come domenica scorsa, abbiamo una risposta breve. Ma evidentemente non è lunghezza che conta, anzi la brevità ci aiuta a isolare quello che è davvero importante e che dobbiamo tenere sempre a mente.

“Il grande comandamento” chiede il dottore della Legge. E Gesù ne indica due nella risposta, come se uno, da solo, non bastasse. Due colonne per reggere tutto l’edificio della vita del credente. L’architrave, evidentemente, è l’amore; è l’amore che tiene insieme tutta la costruzione.

Amare Dio e amare il prossimo. E l’amore del prossimo è il criterio non dubitabile per poter dire di amare Dio. Anche la prima lettura tratta dall’Esodo orienta in questa direzione la nostra meditazione: forestieri, vedove, orfani, indigenti… Con il linguaggio a noi contemporaneo diremmo gli ultimi, per uscire dalle categorie preconfezionate e per indicare una condizione della vita che, in qualche modo, prima o poi, tutti attraversiamo. Eppure, i nostri sono tempi duri: più o meno visibili, i poveri “all’antica”, persone in condizione di vita precaria, sono tornati numerosi tra noi.

D’altra parte, non possiamo eludere l’esame di coscienza relativamente al “primo” comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Ammesso che per davvero si riesca ad amare il prossimo, amare Dio vorrà pur dire qualcosa in più.

La risposta immediata è quella di tradurre l’amore di Dio in pratiche religiose da moltiplicare; le Scritture, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ci mettono ben in guardia da questo.

La seconda possibile risposta è quella di moltiplicare le parole su Dio, trascinandolo in tutti i discorsi. Ricordarlo e riproporlo come un ritornello (assillante?) dubito che giovi alla Sua causa. Per di più corriamo il rischio di ripetere parole di cui il senso non è affatto evidente (ce lo ricordava l’amico Sergio Di Benedetto qualche giorno fa).

Ridimensionati il culto e il fervore verbale, cosa rimane? Cosa vuol dire “Amare Dio” per me, per me che dico di averlo conosciuto?

Sono abbastanza convinto che amare Dio, metterlo al centro della propria esistenza, non possa voler dire per tutti la stessa cosa. Non penso che Dio Padre desideri una schiera di figli con una rigida omologazione di comportamento. Dunque, ciascuno farà bene a interrogarsi; le risposte saranno diverse e magari non saranno ben organizzate come un trattato di teologia, però saranno sincere.

La forma basilare di amore è quella di lasciare a Dio almeno un po’ di spazio. Dobbiamo ammettere con umiltà che si tratta di un drastico ridimensionamento rispetto alle parole impegnative ascoltate oggi. Lasciare un varco, affinché che un discorso altro possa nella cornice delle nostre vite, è il minimo sindacale in una relazione, ed è tutt’altro che scontato. Con l’esperienza impariamo che è necessario staccare un po’ di tempo da tutto il resto: Dio ci parlerà, oppure noi riusciremo a capire il modo in cui ci ha parlato.

Amare Dio sicuramente vuol dire che la sua legge non è solo un obbligo esteriore: facile solo a dirsi! il cuore bisogna educarlo, ed è un lavoro che non finisce mai.

Se vogliamo amare Dio, se poi mi si consente una metafora leggera, possiamo “fare il tifo per lui”, e pure qui il discorso è complicato. Come ci ricorda la Croce, non si tratta di far vincere Dio sulla scena pubblica di questo mondo. Piuttosto si tratta di capire bene per che cosa, o, meglio, per chi ha deciso di schierarsi. Per chi parteggia il Dio di Gesù Cristo? E qui si torna, ovviamente, al discorso degli ultimi.

In realtà, come sappiamo bene, ci viene richiesto qualcosa di più impegnativo del tifo: amare Dio vuol dire scendere in campo, a giocare nella sua squadra, seguendo il suo schema. Già, perché non basta scendere in campo con la maglia giusta: è necessario che l’impegno rimanga conforme al Vangelo e che la fede non si trasformi in ideologia.

5 risposte a “Due pilastri e un architrave”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Parola cardine:“Ascolta, Israele! Come la cosa prima importante.: Anche una madre educatrice, si rivolge al figlio con “Ascolta” un appello di manifesta premura al figlio, segno di premura, manifesta ansia verso le scelte che in libertà il figlio si trova davanti, , timore e amore , ‘ confida e spera che prevalga in lui anche quella saggezza infusa educando a certi ideali che sono fondamenta di bene.. Ognuno diventa uomo/ donna nuovo che aspira a mettere alla prova se stesso, e questo è giusto. Però può accadere e di riconoscere saggezza ma anche fare altre scelte, trascurarla. ’”Ascolta, Israele! Io sono il tuo Dio, non ci sono altri dei” monito perché . E’ l’amore che fa dire Ascolta”, non imposizione e rispetto verso una scelta libera perché anche il Male esiste, realtà suadente trascinante, ma quel potere porta ad assoggettare, vuole obbedienza servile, e conduce l’uomo a spegnere in lui la vita.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Gesu rispose allo allo scriba qual’e’ il primo di tutti i comandamenti:” Ascolta Israele! Il Signore nostro Dio e l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo e questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi”. Lo Scriba conferma e aggiunge che vale più di tutti gli olocausti.” Perciò, difficile supporre l’amore sentito uguale in quanto ogni persona nella sua diversità crede e ha volontà di impegnare la propria vita Il secondo comandamento dipende dal primo senza il quale viene a mancare la forza e il sacrificio che comporta a realizzare l’amore verso il prossimo non facile come a se stessi. Dice bene lo Scriba, il dare di se’ val piu che olocausto. Gesù Cristo guardando ai più poveri, piccoli, da speranza al ragionare “da uomini” poiché della sua misericordia non ci è dato conoscere la misura

  3. Pietro Buttiglione ha detto:

    Relazione.
    Tra me e Dio.
    Ma basta quel “lasciargli un pò di spazio” messo li. Quasi tra () tra una pletora di suggerimenti di cose che dovrei fare IO??
    DIO é davvero OUT.
    DIO é davvero Altro.
    Lui non dice/qualifica MAI chi é LUI.
    SIGNIFICHEREBBE OBBLIGARCI A…
    Non é da Lui.
    Deve essere un atto volontario
    SE lo amiamo con tutto..
    Se amiamo gli altri come noi…
    Sono le uniche cose che ci chiede…
    Ma vi supplico di renderci conto che a quel punto alla Sua luce vedremo la luce..
    A quel punto Lui ci apparirá in quello che é…
    E non ci spenderemo piû x le ns ca..atine..
    Ma solo per Lui. alla SUA PRESENZA.
    Fratelli abbiamo bisogno di mettere Dio al suo posto e di smettere di partire da noi. dal ns antropomorfismo…

  4. gilberto borghi ha detto:

    E lo spazio vuoto tra l’architrave e i due pilastri?
    Mi ha sempre impressionato che il doppio comandamento grande sia tenuto assieme anche dal “con tutto te stesso” della prima parte e dal “come te stesso” della seconda. A dire che il rispetto del comandamento si gioca dentro, nel cuore di ciascuno. Azioni, parole e riti sono spazi vuoti se il nostro spazio interno non si riempie di Lui

    • Lorenzo Pisani ha detto:

      Quasi telepatia, caro Gilberto. Stavo per scrivere una cosa di questo genere poi ho temuto di dilungarmi. Non si parla di Dio con leggerezza, ogni due per tre, cosa svilente e inutilmente assillante. Si parla di Dio, che è nel cuore della persona, quando abbiamo stabilito con l’altro una relazione profonda: come si suol dire, da cuore a cuore.

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