Basta ripetere ciò che non si capisce più

Giovani e adulti non intendono più formule centrali della comunicazione ecclesiale: poiché non ha senso continuare a ripeterle, serve un grande sforzo di novità e creatività.
20 Ottobre 2023

Stare sulla frontiera, soprattutto con i giovani e i non credenti, ha un vantaggio, tra i molti: costringe a capire che molte formule ripetute un po’ stancamente e automaticamente in ambito cattolico non vogliono dire più niente. Ciò che risulta interessante è che oggi, con molta franchezza e libertà, l’interlocutore senza problemi pone domande e non si accontenta di frasi fatte, rivelando l’insufficienza di spiegazioni superficiali e traballanti voli concettuali.
Prendiamo un esempio: «Gesù morendo ha salvato il mondo dal peccato» – frase ribadita sovente in contesto catechetico o omiletico — oggi non significa niente al giovane medio; non solo non sono comprensibili concetti come ‘salvezza’, ‘peccato del mondo’, ma persino l’architrave concettuale è impossibile da capire. Ma questo riguarda anche gli adulti che non hanno più un cammino di fede.
Che poi, siamo onesti: cosa realmente dice quella frase, assai discutibile se così formulata, anche a chi abitualmente frequenta ambienti cattolici?

Il fatto è che un po’ pappagallescamente si sono ripetute espressioni e piccoli ragionamenti, che però non reggono a interrogativi seri, nè sono sostenibili di fronte a chi non parla né capisce quel linguaggio, essendo portatore di una grammatica estranea.
È sorprendente vedere come tutto un architrave teologico-catechetico di base non sia più accoglibile per tanta e varia umanità: è come mettere due persone a parlare due lingue diverse.
Concetti come ‘salvezza’, ‘redenzione’, ad esempio, non sono più eloquenti. Le semplificazioni a cui si è arrivati nel corso dei secoli, per ‘educare il popolo’, oggi non reggono, anche perché non si tratta più di avere di fronte uomini e donne di scarsa istruzione e poco formati alla libertà, come è stato per secoli, ma persone che hanno un livello culturale medio (per lo meno sanno leggere, scrivere, ragionare), gelose dei movimenti della propria libertà e, inoltre, poco interessate a ciò è trasmesso.

Parresia, sincera curiosità e sana ironia: chi sta sulla frontiera sa che questi sono gli ingredienti di tante conversazioni.
«Preghiamo Dio per chiedere la pace»: ma perché, Dio va convinto che la pace è buona?
«Gesù ti salva dal tuo peccato»: un uomo vissuto duemila anni fa mi salva da un’azione fatta stamattina?
«Fu crocifisso a causa dei nostri peccati»: ma io mica ero là, venti secoli fa.
«Gesù ti ha redento»: che lingua parli?

Gli esempi sono molteplici, validi e stimolanti. Perché costringono a rileggere e scendere in profondità, se vogliamo essere seri e onesti (tralascio poi i mantra lessicali di non pochi movimenti e associazioni, rimestati ad ogni occasione opportuna e non opportuna, a spregio di ogni senso di realtà e di ogni minima considerazione sull’interlocutore).
Un compito urgente della teologia e della pastorale è prendere coscienza di una necessaria risemantizzazione dei concetti e delle parole fondanti della fede cristiana; cambiare il lessico, riformulare gli argomenti, abbandonare ciò che non è sostenibile davanti a una seria ed evangelica riconsiderazione, cercare nuovi modi linguistici per comunicare i nuclei fondanti dell’esperienza cristiana. E insieme ricordare quanto l’interlocutore può o non può primariamente capire. È un esercizio salutare, ‘dimagrante’, creativo. È un esercizio che chi pratica la didattica sperimenta frequentemente. Di cosa parli e come parli se di fronte a te hai una persona che non può capire un lessico, un immaginario, un arsenale di espressioni? O ripeti il ritornello condannando tutti all’incomunicabilità, o riformuli ogni elemento scegliendo anche cosa mantenere e cosa tralasciare.

Se vogliamo avere uno sguardo non autoreferenziale, dobbiamo renderci conto che questo è un orizzonte urgente (peraltro era anche uno dei semi di Evangelii Gaudium, trascurato come altri).
Un’ermeneutica dell’oggi non può tralasciare una riflessione e un mutamento di linguaggio, come ci insegna la filosofia. Il rischio è continuare a parlare un dialetto locale, sempre più povero (e concettualmente discutibile), mentre il resto del mondo che viaggia sul nostro vagone né intende né vuole intendere, perché altri sono gli stili, la razionalità, la grammatica. In altre parole, altra è la vita su cui dialogare.

7 risposte a “Basta ripetere ciò che non si capisce più”

  1. Luciana Alessandrini ha detto:

    Un esercizio “dimagrante” nelle liturgie servirebbe proprio!
    Troppo bombardati da tante parole rischiamo di non cogliere la PAROLA!
    Sono lieta quando esco da Messa e mi risuona un concetto che parla al mio spirito e alla mia vita! Grazie dei vostri stimoli a crescere e credere!

  2. don Patrizio Spina ha detto:

    Condivido e per quanto audace la mia sintesi potrebbe essere che sono chiamato davvero ad imparare la lingua degli uomini di oggi, per sentire e comprendere quello che c’è o non c’è nella loro vita e provare a decifrare la domanda che li abita. Credo sia successo anche ad altri presbiteri di tornare dopo una celebrazione domenicale nella famiglia di origine – magari a per il pranzo – e sentirsi domandare : ma che significa quello che hai detto? Non riuscivo a seguirti….
    E confesso la “fatica” che faccio nell’usare il linguaggio liturgico, che ovviamente deve avere del proprio ma… Sono domande che continuo a pormi e vi ringrazio per la vostra condivisione

  3. Elena Bori ha detto:

    E’ ovvio che le formule sono, per loro stessa natura, ridotte ai minimi termini e quindi incomprensibili a chi ignora l’argomento: come, per chi non conosce la fisica, risulta incomprensibile anche la più famosa formula di Einstein.
    E’ evidente che la conoscenza del credo cristiano è oggi pari a zero, per cui la parola salvezza non dice nulla a chi non crede nella vita eterna, e la parola peccato non dice nulla a chi è convinto di avere tutti i diritti e nessun dovere.
    E’ compito di chi “conosce” saper illuminare i contenuti delle “antiche” formule: ad esse si può anche rinunciare, l’importante è saper suscitare domande che non siano banali e saper dare risposte che facciano comprendere le possibili meravigliose conseguenze, valide per l’oggi come per ogni tempo, dell’amore di Cristo e del suo totale dono di sé (purché egli per primo ci creda!).

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Sembra piuttosto non tanto un rivoluzionare il linguaggio formale in un altro rivolto al fedele di oggi, ma riproporre la Persona Cristo più presente, ripresentarla inserita nel nostro oggi., spiegata la sua venuta nel mondo e per la finalità cui Dio Padre ha ritenuto fosse necessaria alla salvezza di tutti noi. C’è tutto questo nella celebrazione della S.Messa, ma per coloro già formati dalla Fede maturata. Oggi di quei fedeli, se si basano i dati sulla frequenza ai sacramenti, forse, come per altre religioni, c’è un resto. Mi sembra che molto si possa fare appunto convergendo su un trasmettere una più approfondita conoscenza di Gesù Cristo, del perché si è incarnato, e per amore del fratello uomo, si è fatto vittima per portarlo a salvezza dalla sua fragilità umana, e , oggi diventato uomo idolo di se stesso che dimostra non conoscere non sapere di come aspirare a vita migliore, piena ed eterna.

  5. Pietro Buttiglione ha detto:

    Scrive Sergio:
    “. Ma questo riguarda anche gli adulti che non hanno più un cammino di fede.”
    Se “avere fede” significa avere portato il cervello all’ammasso, ripetere stancamente formule vecchie senza saperne approfondire il senso, senza essere piû capaci di darle da bere e mangiare… ( vedi il solito fratello qui a lato!)…. ahia!!

    Leggo
    Risemantizzare
    E orripilisco🤐🎃🤬
    Posso suggerire un approccio diverso?
    Sventrare le ns corazze/forma mentis, buttare la Dottrina nel cestino e ripartire da fuori, dalle domande e per-spectives del mondo. Basta accompagnare. Seguire, accogliere, ecc
    Un vero bagno di umiltá liberatorio..
    Un esempio: leggo un qualsiasi documento Vatikano e noto quante note di richiamo a docs precedenti.. si sprecano!! É chiaro che lo si fa x auto-giustificarsi, si ha il terrore di essere accusati di dis.continuita, vedi i dubia..
    Ma Cristo nn é LIBERO???

  6. Enrico Parazzoli ha detto:

    Caro Giampiero, forse semplicemente i preti invece che un approccio top down dell’omiletica stanno cercando di ripartire dalla “carne” nella quale troviamo il “Verbo”. E dunque fanno come Gesù che parlava ‘basso’ per far alzare lo sguardo. Ovviamente ci sono anche preti che parlano e basta, o parlano superficialmente, o ignorano la teologia che loro devono sapere decentemente…

  7. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Ma i preti almeno nelle omelie non ripetono piu’ da anni ,se non da decenni ,frasi sulla “redenzione” ,sul peccato , sulla s. salvezza. Tutta la parte sui Novissimi e’ stata tagliata via. Cosa ci sia dopo la morte, il destino eterno dell’ uomo non viene piu’ nemmeno menzionato.
    Oggi la Chiesa parla solo del qui e ora, di problemi psicologici, sociologici, economici.
    Il risultato e’ che la gente ha smesso di ascoltarla. Andare in Chiesa per sorbirsi lezioni di sociologia e’ piuttosto noioso .

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)