Rifugiati, la guerra mondiale che non vogliamo vedere

24 Aprile 2015

Un cosiddetto leader politico che lancia la campagna “voglio essere rifugiato politico” per far credere agli italiani che i rifugiati godono di agi e privilegi nel nostro Paese. Il popolo di Facebook – cioé i cittadini – che a un post di Gianni Morandi che riprende il paragone tra i tanti emigrati italiani di ieri e gli immigrati di oggi, rispondono che questi pretendono gli alberghi a tre stelle mentre i nostri andavano a lavorare. Le pagine sui social network e i siti che si moltiplicano per invocare “fuori tutti i migranti dall’Italia”. Un’Europa che cincischia, sta a guardare, scarica il barile sull’Italia, mentre continua a concepirsi come una fortezza chiusa, piena di gente che invecchia, ma difende il diritto di osservare in pace il proprio declino. Tutti sintomi di un clima pessimo, che rivela un Paese e un continente in cui davvero “ogni pietà l’è morta”.

È in questo clima che è arrivato l’ultimo Rapporto annuale del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati, che fa il punto della situazione, offre qualche informazione, ma soprattutto pone qualche domanda alle coscienze.

Nel mondo ci sono 50 milioni di persone che hanno dovuto scappare dalla loro casa e dal luogo in cui vivevano. Una cifra così non la si raggiungeva dalla seconda guerra mondiale, a dimostrazione che, come ha detto Papa Francesco, stiamo vivendo una guerra mondiale. Il Libano, che come grandezza equivale più o meno alla Sicilia, ospita due milioni di rifugiati dalla Siria, su quattro milioni di abitanti. Da noi, nel 2014, sono sbarcati 170.800 migranti circa, di cui meno di 65mila hanno presentato domanda di asilo, perché gli altri hanno proseguito per altri Paesi europei. Certo, più dell’anno prima e probabilmente meno di quest’anno, ma insomma non una marea…

Eppure non riusciamo ad accoglierli. O meglio non vogliamo. Lo SPRAR (il sistema di accoglienza e protezione per richiedenti asilo e rifugiati) offre oggi 22mila posti, da 3500 che erano. Ma quali sono le Regioni che collaborano di meno? Il Veneto e la Lombardia, che accolgono un rifugiato ogni 2mila abitanti, meno della metà rispetto alla media nazionale.

Il Veneto e la Lombardia, cioé le Regioni che hanno il Pil più alto e il welfare migliore. Ma anche «quelle in cui la Chiesa è più presente… È una vergogna che provo come cattolico, come membro di questa Chiesa», ha detto Enzo Bianchi durante la presentazione del rapporto ieri a Roma. E ha chiesto «perdono a nome della nostra comunità politica e di quella religiosa. C’è stato un avvelenamento in questi anni, che ci ha portato alla barbarie». E di «una società civile che a tratti sembra aver smarrito il senso dell’umano», aveva parlato anche padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.

Molte realtà ecclesiali su questo tema si spendono e spesso con buoni risultati. Il solo Centro Astalli ha visto in un anno 34mila rifugiati e richiedenti asilo rivolgersi ai suoi servizi nelle 7 sedi sparse per l’Italia; ha accolto 299 persone nei suoi centri di accoglienza; ha distribuito 91.550 pasti; ha seguito 556 vittime della tortura. E tutto grazie a 49 operatori e ben 446 volontari.

Un lavoro immane, ma il problema dell’accoglienza e soprattutto dei percorsi di integrazione dei rifugiati non può essere lasciato nelle mani del volontariato e Terzo Settore, laico o cattolico che sia. Servono politiche, nazionali ed europee. E serve soprattutto un’opinione pubblica disponibile a sostenere percorsi di integrazioni.

Occorre quindi lavorare sul piano culturale, per combattere i luoghi comuni rimpallati dalla demagogia, per fare un’informazione più veritiera e meno allarmistica. Serve parlare all’opinione pubblica per ricordare che «la vera sicurezza è basata solo sulla giustizia e sulla riconciliazione» (padre Adolfo Nicolás). Serve lavorare sulle coscienze, per ricordare che i diritti fondamentali – a partire dal fondamentale di fondamentali, quello alla vita – valgono per tutti e che ogni uomo è un fratello.

Il Centro Astalli nel 2014 ha coinvolto oltre 24mila studenti di 13 diverse città in progetti didattici sul diritto d’asilo e sul dialogo interreligioso. È un buon esempio: ma tutta la Chiesa dovrebbe condividere questo impegno e trascinare con sé i propri membri. Anche quelli che vanno a cercare sui social network gli alibi (basati su luoghi comuni e informazioni false) per continuare e pensare che tutto sommato questa gente si dovrebbe ricacciare in mare. Quel mar Mediterraneo dove, secondo l’Unhcr, nel 2014 sarebbero morti 3.500 tra uomini, donne e bambini.

 

 

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