Sport e parrocchia, la palla al piede

Le feste con gli sportivi per il patrono San Giovanni Bosco rilanciano problemi irrisolti. Ma oggi l'atrio di una palestra non assomiglia un po' al sagrato di ieri?
11 Gennaio 2012

Il 31 gennaio  non si fa festa solo negli istituti salesiani. Il buon Giovanni Bosco viene ricordato con Messe, tornei e premiazioni, perché in quanto “inventore degli oratori” è considerato patrono degli sportivi. I giovani d’oggi sentirebbero più vicino un santo contemporaneo come Pier Giorgio Frassati, provetto sciatore, o Chiara Luce Badano, abile tennista, ma non importa: la ricorrenza liturgica di fine gennaio è occasione per valorizzare – semel in anno – lo sport nella pastorale.
Valorizzare? In tante parrocchie – diciamocelo con la schiettezza del vino novello – l’attività sportiva è avvertita come una palla al piede: assorbe risorse umane che potrebbero essere spese meglio, diventa una diseducativa palestra di agonismo sfrenato, va spesso a “rubare” ragazzi agli incontri parrocchiali in una concorrenza vincente quanto… sleale. La sovrapposizione degli orari è il problema forse più ricorrente, soprattutto quando i campionati del sabato pomeriggio e della domenica mattina finiscono per “boicottare” momenti comunitari o uscite di gruppo.
Che si fa? Per gli “apocalittici” il problema è irrisolvibile, giacchè i calendari delle Federazioni non sono quelli delle prime comunioni, e non è facile promuovere solo squadre e tornei di oratorio. Per gli “integrati”, invece è possibile trovare rimedi in fase di programmazione d’inizio anno (chiedendo, ad esempio, la mattinata domenicale libera da eventi sportivi) oppure nell’accordo con i genitori sulle priorità da rispettare e far rispettare ai figli. Una querelle arcinota ai responsabili del Csi, che riproponiamo perché la circolazione delle esperienze può essere utile.
Ma anche chi avverte la distanza siderale fra tutti i documenti pastorali che esaltano lo sport e le quotidiane  polemiche che lo affossano, dovrebbe trovare qualche motivo propositivo nella realtà dei fatti. Nonostante il degrado del calcio scommesse e del campionismo, fra gli ambienti d’aggregazione delle famiglie oggi la pratica sportiva è quella che non conosce crisi e conserva credibilità, tanto che molti genitori arrivano a sacrificare qualche incontro di catechesi pur di non far “saltare” ai figli l’ultimo allenamento prima della gara o l’ennesima prova per l’esibizione di ginnastica.
E allora è importante “esserci”, dentro l’agorà sportiva: è più facile ascoltare le “voci del mondo” e cogliere le relazioni ferite delle famiglie di oggi nell’atrio di una palestra che sul sagrato. Quando si parla di anonimato cittadino o di comunicazioni impossibili si dimenticano forse queste aggregazioni settimanali, le lunghe attese fuori dagli spogliatoi possono rivelarsi provvidenziali occasioni d’incontro.
Secondo punto: in questo tempo in cui si sperimenta sempre meno la dimensione  popolare della festa – se ne parlerà all’Incontro delle Famiglie di Milano a maggio – ecco che il pomeriggio con le famiglie dei ragazzi che fanno sport o la serata invernale possono costituire momenti felici di rapporti genuini e rinnovati, “alla pari” fra genitori di realtà diverse, come solo nello sport avviene.
Ma è importante esserci anche… in panchina, dalla parte degli educatori, dei leader. Un ventenne (oggi come ieri) finisce per ricordare lo stile di vita appreso dal suo primo allenatore forse più delle parole del suo catechista. Quindi “investire” più energie sulla formazione dei volontari-dirigenti e sulla loro motivazione formativa: che interessino loro i ragazzi, più dei punti in classifica. È esagerato pensare ad una sorta di mandato e di riconoscimento ecclesiale anche per allenatori e animatori sportivi? Da qualche parte già si fa, e non solo nella festa a San Giovanni Bosco.
“Il Signore scia con voi”, dice il simpatico slogan delle gare invernali fra i preti. Oggi c’è una missione, che passa anche per le piste e i campetti dello sport: che non va né santificato né demonizzato, forse soltanto considerato ambiente di vita privilegiato dall’uomo del nostro tempo. Che non sia un’utopia lo credono in molti, compreso quel parroco di periferia che – una volta ogni tanto – sceglie di stare insieme ai suoi parrocchiani tifosi sugli spalti della prima squadra del paese. Se anche il timido Damiano Tommasi, testimonial dei nostri oratori, è diventato sindacalista dei calciatori italiani, non è missione impossibile mettere un po’ di lievito evange

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