Non nominare il nome di Dio invano

«Prof. ma le pare davvero sensato che un Dio che può fare tutto e se ne frega di una famiglia che sta male perché il babbo muore a quarant'anni per un tumore?»
18 Febbraio 2016

Greta. Piccola, energica, nervosa, toccata dalla vita già a sedici anni. Bocciata l’anno scorso, in una seconda molto densa di fatiche adolescenziali. Giovanna. Donna di mezza età, sguardo intenso e un po’ triste. Anche con lei la vita non è stata tenera. L’unica figlia rimasta è stata alunna di un mio caro amico in un’altra scuola e qualcosa della sua storia familiare mi è arrivato. Fa la bidella da noi. A Greta è morto il padre meno di due anni fa. A Giovanna il marito e un figlio, già più di dieci anni fa, in un incidente stradale. 

Sono le otto meno cinque del mattino. Salgo le scale per andare in classe. Appoggiata al tavolo dei bidelli Giovanna parla con Greta: “Beh, oggi stai meglio”. “Si, si, ma anche lei è più tranquilla, mi sembra”. Si sorridono e Greta va verso la sua aula. Mi affianca nel corridoio. La guardo e le dico: “Avete fatto pace?”. “Si, si, prof. tutto a posto”. “Mi fa piacere – rispondo”. E la mia mente ritorna a dieci giorni prima. A quella terza ora del giovedì. Nella classe di Greta. Stavo cercando di spiegare la differenza tra un Dio pensato come “onnipotente” e un Dio “misericordioso”.

“No, prof. se Dio è onnipotente sul serio, allora è meglio che vada a nascondersi”. Alla mia spiegazione Greta aveva risposto così. E aveva continuato: “Ma le pare davvero sensato che un Dio che può fare tutto e se ne frega di una famiglia che sta male perché il babbo muore a quarant’anni per un tumore?”. Ero rimasto di sasso, per la forza che Greta ci aveva messo in questo brandello autobiografico. “Hai ragione Greta. Un Dio così non merita di esserci. Hai ragione. Non trovo scuse, perché so che il Dio di Gesù non è così. Lui soffre con quella famiglia e si spacca a mezzo per recuperare il dolore di quella famiglia”. La mia frase l’aveva colpita e il suo silenzio parlava molto dell’emozione strana che l’aveva colta. La discussione era continuata e dopo poco Greta mi aveva chiesto di uscire. “Ok, fai veloce però, la lezione senza di te ci perde”.

Forse quella frase o forse la voglia di sfogarsi, avevo sentito Greta correre in corridoio verso le macchinette del caffè. Poi, mentre l’aula continuava a discutere, la voce tonante di Giovanna si era imposta alla nostra attenzione. “Tu devi farla finita di fare sempre quello che ti pare! Siamo in una scuola, ci sono delle regole, non si corre, non si mangia durante le ore di lezione!!”. E la reazione di Greta era stata altrettanto potente: “Ma cosa cacchio vuole, ma la smetta di fare la morale e a tutti, ma si guardi…” “Tu non ti puoi permettere di dire queste cose, hai capito!!?? Anche se non sono un insegnante merito rispetto!!”

Mi ero precipitato in corridoio a vedere e a capire. Greta, quasi in lacrime, stava arringando Giovanna, che in tono davvero dittatoriale pretendeva da lei le scuse. Probabilmente con ragione. Ma il tono, la forma e il ruolo davvero erano inappropriati. Come ovviamente inappropriato e maleducato era stato lo sfogo di Greta. “Giovanna, lasci stare – avevo provato a dire – ci penso io a Greta”. Poi avevo preso Greta per un braccio e l’avevo riportata in classe. Era rientrata come una furia, sbattendo il diario per terra e scoppiando a piangere. La classe ammutolita. L’avevo lasciata sfogare e poi avevo provato a recuperare un senso: “Greta, ma mica puoi fare così con una bidella! Lo sai!” “Si, ma lei mi ha provocato…”. E il pianto aveva dilagato. “Ce l’hanno tutti con me, ma quanta sfiga ho!! Ho solo preso una bottiglia di acqua, e mi deve trattare come una deficiente sfigata??”.

“Senti Greta, un bravo insegnante ti avrebbe già fatto una nota e l’avrebbe chiusa lì. Io non sono un bravo insegnante, ma capisco che non si può fare lezione se tu sei in queste condizioni. Certamente non ti sei comportata bene, ma non puoi darti addosso come se tu fossi la più sfigata del mondo”. In piedi davanti a lei, davanti ai compagni, mi si era rovesciata addosso piangendo: “Io sono la più sfigata del mondo, lei lo sa!!” E le sue lacrime avevano bagnato il mio maglione. “Ma cosa ho fatto di male perché la vita mi tratta così!? Lei una risposta ce l’ha??”

E’ lecito abbracciare una studentessa che piange per le sfighe della sua vita? “E’ lecito fare del bene in giorno di sabato? (Lc 6,9)”. Non mi è venuto nulla da dirle, L’ho abbraccia e basta. Non avevo parole per quella domanda e nemmeno lei ne aveva più. Ho sentito che si era “abbandonata”. La classe di sasso. Un tempo infinito, o forse solo un secondo, ma sufficiente a tranquillizzarla. Si era rimessa nel banco, e aveva cercato di seguire il resto della lezione, in un clima di assoluto silenzio, davvero surreale per quella classe. Avevo solo riassunto il dibattito e tirato un filo per concludere. Ma Greta, con diligenza aveva scritto per bene le cose sui suoi appunti e alla fine mi aveva mostrato il quaderno con un sorriso rotondo: “Ho scritto tutto, prof.!”. “Brava, mi fa piacere”. Poi mentre la classe guizzava fuori all’intervallo, mi aveva detto: “Certe volte le parole non ci sono, però grazie prof.” Non nominare il nome di Dio invano.

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