In viaggio con il «nome»

A colloquio con lo scrittore Alessandro Zaccuri sul suo nuovo libro dedicato al nome di Maria, il “più bello e universale”. Tra memoir, racconto e investigazione
14 Agosto 2019

L’itinerario del nuovo libro di Alessandro Zaccuri, scrittore e giornalista cattolico spezzino, lo dichiara lui stesso, quasi come un esergo: “mettersi sulle tracce di un nome è un’avventura che non si compie senza rischi e per la quale non esistono mappe né percorsi prestabiliti. Occorre fidarsi e per fidarsi occorre pregare. Ogni preghiera è preghiera del nome: ripetizione, invocazione”. Nel nome, pubblicato da NNE, è proprio questa avventura che non si risolve mai in qualcosa di definito e tangibile, perché i nomi, come le persone, hanno una dimensione di infinità che trascende ogni tentativo di afferrarne l’essenza. Si può allora soltanto intraprendere un percorso di avvicinamento tra i mille possibili, il cui senso sta nell’itinerario, nelle rispondenze che evoca, nei punti che collega attraverso analogie e ricordi. Partendo da una Maria, protagonista di un manifesto pubblicitario degli anni Ottanta, si percorrono con Zaccuri, come in un pellegrinaggio, le altre stazioni, altre Marie: dalla mamma, che di secondo nome fa appunto Maria, alle donne talora sfuggenti citate nei Vangeli alla Marie di Le Corbusier sulle vetrate della Notre- Dame-du-Haut. E in questo volgersi e rivolgersi della memoria si intrecciano altri nomi, artisti, scrittori, personaggi di narrativa, in una circolarità che è anche ricerca di senso, quasi un bilancio che la maturità impone quando si avverte il bisogno di guardarsi indietro per gettare uno sguardo più lucido sul percorso che rimane da fare.

«All’inizio pensavo a un’opera di narrativa, poi a riflessioni in forma di biografia, perché, come dice Didi-Huberman, la testimonianza è sempre per gli altri anche se parli di te,» spiega Zaccuri. «Ma c’era la morte di mia madre con cui non avevo forse fatto i conti del tutto e le altre storie che mi venivano in mente mi sembravano insincere rispetto a questa».

Dalle proprie storie ai nomi che le rappresentano: nomina nuda tenemus come scriveva Eco nel Nome della rosa, che Zaccuri cita. E Carlo Linneo, il fondatore della moderna tassonomia, già aveva osservato che “nomina si nescis, perit et cognitio rerum” (se non conosci i nomi, viene meno anche la conoscenza delle cose). «Ho dato il titolo Nel nome perché quando fai un lavoro di scavo è come se lo facessi su tutti. In ogni nome c’è un elemento di chiamata, di destino, di sofferenza. Prendi il caso della Maddalena: di lei non sappiamo nulla se non che è stata liberata da sette demoni e ci possiamo mettere dentro tutti e tutte le situazioni: dal disagio psichico alla sofferenza al peccato. Entrando in profondità in un nome entri in tutti gli altri. E questo è più facile con il nome Maria che è così ampio, universale, così bello nella sua semplicità».

C’è in questo libro anche una continua affermazione della fisicità, come nel richiamo a tavole drammatiche, ad esempio il Compianto sul Cristo morto di Lippo Benivieni del museo Lia a La Spezia o il racconto del grido di una donna disperata che invoca il nome della figlia, incontrata per caso in un treno diretto al Sud. «Tutto il cristianesimo ruota attorno alla dimensione fisica del maestro, dal corpo martoriato nella passione alla tomba vuota e alla sua presenza da risorto con le ferite ancora aperte. Lo stesso pontificato di papa Francesco risulta profondamente umano perché presenta un cristianesimo che non separa mai l’anima dal corpo. Di fronte al mistero dell’incarnazione ogni possibilità di disincarnare il divino dall’uomo è esclusa. La stessa attenzione alla sofferenza, che così tanto ha segnato certa spiritualità cristiana, non nasce da un innaturale compiacimento, ma dal portare alla superficie quello che è essenziale del corpo».

Zaccuri non aveva fino ad oggi affrontato, in modo diretto il tema della fede. Questa volta lo fa, rileggendo i Vangeli a partire da quella ricerca del nome che è il fil rouge del libro.

«Il tema religioso è sempre stato di sottofondo nei miei libri,» chiarisce Zaccuri, «ma qui ho voluto testimoniare in che modo mi ritengo credente e come la fede sia diversa dalla credulità. Sempre più spesso mi sono reso conto di quanto la rappresentazione artistica sia uno schiaffo della realtà e quanto sia problematica, perché è complesso l’essere umano e rimane sempre un salto da fare che chiama in causa tutta l’umanità. E’ una fede molto umana quella che Gesù chiede ai discepoli, basata sulla promessa di essere visibilmente assente e, allo stesso tempo, sempre presente. Non è mai una fede che si esercita nel vuoto».

«Il linguaggio dei Vangeli,» continua, «ha una straordinaria economia di mezzi: con parole quotidiane riesce a esprimere tutto. E poi mi sono servito di quello che ho imparato, film, libri, immagini artistiche. Ma non è per erigere una barriera con il lettore, ma al contrario per gettare un ponte: se anche tu leggi questo testo o contempli questa immagine puoi ritrovarti nella medesima via. In passato pensavo che la letteratura potesse talora essere uno schermo: invece ci sono cose che prima ho trovato nei libri e poi nella realtà, altre, invece, che ho vissuto e poi ritrovato nei libri. E’ come se fossero due modi diversi di fare esperienza. A me interessa la concretezza della realtà, non penso in alcun modo che i libri, l’arte possano essere delle vie per eluderla».

E visto che parliamo di nomi, chiedo ancora a Zaccuri quali sono quelli sotto traccia in tutti i suoi libri. «Quattro cose sono per me importanti: amore, morte, desiderio e perdita. Mi interessano le storie che parlano di questo, non solo della morte ma anche dell’amore. E questi elementi devono sempre essere intrecciati, non stanno mai da soli, così come nel quadro del Compianto del figlio morto. La realtà non sta soltanto nei nomi, ma questi la rispecchiano perfettamente, così come nel nome di Maria. E spesso riempiono un vuoto, come fa il Manzoni con il brigante che chiama Innominato e, paradossalmente, proprio quello diventa il suo nome».

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