Giubileo “centrifugo”: rileggendo la Pacem in terris – 1

Perché la preparazione ad un giubileo che sia “centrifugo” può trovare ancora spunti dall’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII...
5 Marzo 2024

L’11 aprile 1963, il giovedì della Settimana Santa, papa Giovanni XXIII consegna la sua quarta ed ultima lettera Enciclica, la PACEM IN TERRIS, che sarà, di fatto, il suo “testamento spirituale” visto che, già segnato dal cancro allo stomaco, due mesi dopo, il 3 giugno 1963, il pontefice bergamasco avrebbe concluso la sua esistenza terrena. In questa nostra proposta di un Giubileo che sia “centrifugo” (vedi qui), vogliamo rileggerla e cogliere, tra le righe, indicazioni preziose a sessanta anni di distanza.

Le “parole d’ordine” che ritornano continuamente nel documento sono: “Verità, giustizia, amore, libertà”. Sappiamo il ruolo determinate di Giovanni XXIII nella risoluzione della “crisi di Cuba” nell’ottobre 1962. Egli già da tempo aveva concepito e volle realizzare un’enciclica sul tema della pace, perché “con l’ordine mirabile dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo della forza” (n. 3).

Ogni essere umano è persona, soggetto di diritti e di doveri universali, inviolabili, inalienabili. Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita (n. 6), alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte (n. 7), al culto di Dio secondo il dettame della retta coscienza, in privato e pubblico (n. 8), alla libertà nella scelta del proprio stato (n. 9), alla libera iniziativa in campo economico e al lavoro, senza dimenticare che il “diritto di proprietà privata è intrinsecamente inerente una funzione sociale” (n. 10).

Drammaticamente attuale il richiamo al diritto all’emigrazione e all’immigrazione, con l’affermazione che ogni essere umano, pur lontano dalla propria comunità nativa, appartiene alla comune famiglia umana e quindi è cittadino della comunità mondiale (n. 12). Analogamente attuali sono anche il diritto di riunione e di associazione e quelli relativi alla partecipazione alla vita pubblica e sociale (n. 11; 13).

Gli uomini sono sociali per natura, nati per convivere in modo ordinato, cooperando per “operare gli uni al bene degli altri”, in modo che ci si adoperi perché ciascuno, ad esempio, disponga dei mezzi di sussistenza sufficienti ad una vita dignitosa. La convivenza fra gli esseri umani, oltre che ordinata, è necessario che sia per essi feconda di bene (n.16).

Da notare la convinzione secondo la quale “una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse” (17). La convivenza dovrebbe, invece, essere fondata nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà (n. 18).

A tal proposito, sono decisivi alcuni “segni dei tempi”, i tre fenomeni che caratterizzano l’epoca moderna: l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici (n. 21), l’ingresso della donna nella vita pubblica (n. 22), il superamento del colonialismo, con popoli non più dominati ma indipendenti (nn. 23-24) – anche se, in riferimento a quest’ultimo, dobbiamo rilevare che di fatto non è così, perché il cosiddetto “Sud del mondo” è quello che mentre diventa sempre più numericamente rilevante, ha popolazioni intere ridotte alla fame.

Ciò spiega perché nel capitolo secondo si parli della necessità della presenza di un’autorità che assicuri sì l’ordine ma contribuisca all’attuazione del bene comune: “l’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in Dio” (n. 27), mentre invece “l’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi” (n.28).

L’autorità come “forza morale”, quindi, “deve in primo luogo fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti. Sennonché gli esseri umani sono tutti uguali per dignità naturale: nessuno di esso può obbligare gli altri interiormente. Soltanto Dio lo può, perché egli solo vede e giudica gli atteggiamenti che si assumono nel segreto del proprio spirito” (n. 28). Perciò, un’ordine legale che violasse l’ordine che deriva da Dio chiamerebbe ad una obiezione di coscienza poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29): “quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza” (n. 30). Perciò è importante la divisione dei poteri nelle tre funzioni legislativa, amministrativa, giudiziaria (n. 41) e la regolazione dei rapporti tra i cittadini e l’autorità pubblica, a partire dalla formulazione delle carte costituzionali (n. 45).

Se allora la ragione d’essere dei poteri pubblici sta propriamente nell’attuazione del bene comune (n. 32), si esortano “i poteri pubblici” affinché “contribuiscano positivamente alla creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri”: in caso contrario, “gli squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell’epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso l’adempimento dei rispettivi doveri” (n. 38).

In conclusione, “è perciò indispensabile che i poteri pubblici si adoperino perché allo sviluppo economico si adegui il progresso sociale; e quindi perché siano sviluppati, in proporzione dell’efficienza dei sistemi produttivi, i servizi essenziali, quali: la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile, l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, condizioni idonee per la vita religiosa, i mezzi ricreativi… sistemi assicurativi in maniera che, al verificarsi di eventi negativi o di eventi che comportino maggiori responsabilità familiari, ad ogni essere umano non vengano meno i mezzi necessari ad un tenore di vita dignitoso; come pure affinché a quanti sono in grado di lavorare sia offerta una occupazione rispondente alle loro capacità; la rimunerazione del lavoro sia determinata secondo criteri di giustizia e di equità; ai lavoratori, nei complessi produttivi, sia acconsentito svolgere le proprie attività in attitudine di responsabilità; sia facilitata la istituzione dei corpi intermedi che rendono più articolata e più feconda la vita sociale; sia resa accessibile a tutti, nei modi e gradi opportuni, la partecipazione ai beni della cultura” (n. 39).

 

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