Quaresima con Caparezza: crisi della vocazione e passione originaria

Il percorso quaresimale come verifica e rinnovamento della nostra vocazione e dei nostri ideali
16 Marzo 2023

Dopo la doverosa ma desiderata sosta in compagnia di altri (a un primo sguardo eretici ma poi svelatisi discepoli); dopo aver verificato di essere ancora capaci di vedere in loro altro (rispetto all’equivoco del bisogno e ai desideri equivoci), il percorso quaresimale ci mette di fronte alla prova decisiva della nostra cecità originaria (Gv 9,1). Quella di cui nessuno sembra avere veramente colpa, quella rispetto a cui, più che ricercare un responsabile ultimo, è preferibile immaginare come operare altrimenti, divinamente (Gv 9,2-3).

Anche questa volta il nostro compagno di viaggio, Michele Salvemini in arte Caparezza, ha qualcosa di vissuto sulla propria pelle da raccontarci nella canzone Come Pripyat, ispirata al disastro nucleare di Chernobyl (1986) e riferita all’altra, vicinissima, città ormai fantasma: simbolo del senso di «spaesamento» e di «solitudine» emerso nell’artista dopo gli imprevisti cambiamenti socio-politici degli ultimi anni che lo hanno portato a domandarsi se – e come mai – fosse diventato così cieco.

 

 

D’altronde, cosa avviene, cosa si muove anche in noi, quando il lavoro in cui si era concretizzata e realizzata la nostra vocazione si trasforma in qualcosa che oggi, forse, impedirebbe il sorgere di quella vocazione? Quando, con le nostalgiche parole di Caparezza, esso diventa «l’opposto di quando ne fui rapito a tredici anni», tutto «social» ed «alta moda»? Cosa avviene, cosa si muove anche in noi, quando ci rendiamo conto che la nostra vocazione ci «parlava da una fogna come Pennywise», mentre ora «a trent’anni da Capaci, vedi, sarà strano / ma il modello è diventato Genny Savastano»? Quando essa, in altri termini, veniva udita dal basso, dalle profondità delle nostre passioni, del nostro «fuoco», mentre ora di essa, alle altezze o in superficie dei nostri ragionamenti, resta solo una pallida eco, «il draghetto Spyro»?

E ancora, cosa avviene, cosa si muove anche in noi, quando sentiamo che «questa città non è più mia, ha un cuore cyber»? Quando la polis, gli ideali politici in cui avevamo creduto si trasformano in qualcosa che oggi, forse, ci porterebbe a non schierarci o addirittura a schierarci dalla parte opposta? Quando, con le sconsolate parole di Caparezza, «è arrivato il cambiamento, caro Yusuf-Cat / i miei parenti sembrano membri del Ku Klux Klan / il mio Sud cambia pelle, mamba verde»? Cosa avviene, cosa si muove anche in noi, quando ci accorgiamo che «va tutto fuori posto» e che, forse, abbiamo vissuto «difendendo chi voleva questo schifo»?

La risposta di Caparezza è drammatica – esattamente come potrebbe essere la nostra e come lo è in parte quella del racconto evangelico – anche se, come vedremo, non è affatto una risposta disperata: «non parlo al mondo comе prima / ma parlo a vuoto come Pripyat», confessa con un pizzico di amarezza Caparezza. Però, a sua – e nostra – consolazione, il dialogo evangelico che i custodi delle tradizioni morali e religiose intrattengono con il cieco (Gv 9,13-17.24-34) e con i suoi genitori (Gv 9,18-23) non è in realtà un monologo dei primi? Non soffre della stessa incomunicabilità denunciata da Caparezza? Della medesima incapacità – o addirittura grave non volontà (Gv 9,39-41) – di credere che ogni vera Tradizione morale e religiosa si fonda invece sulla possibilità, a volte “miracolosa”, del nostro o altrui cambiamento? Non rendendosi conto che tale immobilismo dell’«umana natura» in realtà «divora» proprio la Tradizione morale e religiosa che si vorrebbe conservare ma senza mai attualizzarla?

D’altra parte, Caparezza non si nasconde che la necessità di ripensare il modo in cui si parla al mondo non è di semplice realizzazione, dato che vediamo intorno a noi «più mutazioni di un disegnatore Marvel». Egli confessa poi che è difficile resistere all’inevitabile tentazione di subire il «contagio» da parte dell’«indolenza collettiva» che tutto «avvelena» e che lo spinge a restare «fermo» come una «cariatide». E noi non possiamo non riconoscere quanto sia difficile ritrovare le motivazioni originarie delle nostre vocazioni, dei nostri ideali politici, del nostro impegno nella polis – e renderle ancora una volta, ancora oggi, attuali. Anche se, in effetti, è proprio questo che ci mantiene oggi svegli e spiritualmente giovani.

Sicuramente tutto ciò spiega perché possa sorgere, in Michele Salvemini ed in noi, il desiderio di un atteggiamento più meditativo, più riflessivo, più «schivo» (con le parole di Caparezza). Sempre che ciò significhi, non ridursi ad essere dei cinici rinunciatari, ma volere essere degli uomini e delle donne che hanno imparato dalle rughe del tempo un po’ di sano distacco dalle tossicità della Vita. «La mia vita privata è troppo preziosa», cantiamo volentieri con Caparezza, per consentire all’invidia e al risentimento di possederci più di quanto facciano già, sia per il tipo di società che si è (o ci è stata) imposta – competitiva in senso solo negativo – sia per il fatto che nella vita non sempre si realizza quello che si desiderava, ma a volte (spesso?) ci si deve accontentare di quanto si ha bisogno; anche perché invidia e risentimento sono poi i motivi che ci spingono a cercare e ad individuare un capro espiatorio su cui (s)caricare le conseguenti emozioni negative: «il nemico sta sempre più a meridione / tu sposta il cannone e minaccia terre in Antartide».

Come anticipato, la risposta di Caparezza, seppur drammatica, non resta però priva di speranza – come, in fondo, anche quella del vangelo non resta priva di luce (Gv 9,4-5). Se in quest’ultimo si racconta che prima di entrare a Gerusalemme Gesù, con un po’ di fango insalivato, permette al cieco – e quindi a tutte le nostre cecità – di tornare a vedere (Gv 9,6-7) e di testimoniare l’accaduto (Gv 9,8-12.35-38), Caparezza nella sua canzone non dimentica di testimoniare la propria gioia, il proprio gaudium: «mi godo il mondo nuovo che mi sveglierà dal sogno / come Luther King a Memphis (I had a dream)». Senza rimuovere, entrambi, i rischi mortali che si manifestano sulla nuova via, anzi inquadrandoli in un’ottica più ampia.

Che possiamo anche noi allora, in questa seconda parte del percorso quaresimale, ritrovare le motivazioni profonde delle nostre scelte di vita, dei nostri ideali. Con passione rinnovata. Nonostante tutto.

 

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