Oggi – 11 ottobre – ricorre il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Ed è la memoria di colui che ne fu l’ispiratore: Papa Giovanni XXIII – santo dal 27 aprile 2014. Papa Francesco ricorderà entrambi durante la celebrazione di oggi pomeriggio nella basilica di San Pietro. Che cosa dirà? Parole d’ordinaria amministrazione oppure all’altezza dell’evento e dei tempi?
Non credo ascolteremo parole che evocano polemiche passate – come quella ratzingeriana sull’interpretazione del Vaticano II secondo la chiave della rottura o della continuità – o più recenti – come quelle bergogliane sulla mentalità ecclesiale che, pur travestita da conciliare, non accetta il Concilio e la sua riforma liturgica.
Di certo c’è che oggi come allora – la crisi dei missili di Cuba esplose proprio in quei giorni – il mondo sente fortemente il rischio di una guerra nucleare (Angelus, 9 ottobre). Ma, salvo miracoli dell’ultima ora, Papa Francesco non potrà ripetere quello che Papa Giovanni esclamò all’inizio del famoso discorso della luna: «noi chiudiamo una grande giornata di pace». Anche nella Chiesa, oltre che nella società, il giudizio su quanto sta avvenendo – e la strada per uscirne – è assolutamente divisivo, e la pace può essere soltanto oggetto di augurio e di preghiera, oltre che di impegno nel dialogo e nella mediazione – anche quando «puzza», come suggerisce Papa Francesco.
Per questo mi sembra provvidenziale il cammino sinodale in corso. Esso ci spinge, volenti o nolenti, ottimisti o pessimisti, ad incontrarci, a dialogare, anche a litigare, per giungere a delle sintesi-non-sintesi, perché, a loro volta, verranno ridiscusse e ripensate, nella preghiera, a livello locale, nazionale, intercontinentale e poi di nuovo locale, fino a quando potrà udirsi una voce in cui possano riconoscersi, con riconoscenza, le molte voci.
Inoltre, realizzare tutto ciò nella Chiesa potrebbe essere d’aiuto affinché anche nella società e nella politica odierna possano compiersi dei passi nella stessa direzione – non c’è bisogno di ricordare cosa significhi in termini di disaffezione alla partecipazione l’altissima percentuale degli astenuti alle ultime elezioni politiche. Quando si smette di parlare tutto è perduto. Quando in famiglia, nella vita di coppia, a scuola, sul lavoro, in politica, ovunque, non viene più imbandita la mensa della parola, è molto forte il rischio che anche la mensa del pane, ossia della vita, venga meno e la morte trionfi.
Di tutti i beni costitutivi l’eredità conciliare, mi sembra che quello dell’incontro e del confronto dialogico e costruttivo tra diversi contesti culturali sia non solo il più urgente da riporre al centro della vita ecclesiale e – perché no? – sociale e politica, ma anche il più promettente in termini di frutti spirituali e materiali.
Dato l’ottimo riscontro che nel primo anno di cammino sinodale ha avuto il metodo della conversazione spirituale, potremmo allora immaginare che in ogni parrocchia, associazione e movimento, in ogni diocesi e conferenza episcopale, vengano ripresi in mano almeno i quattro grandi testi conciliari – Sacrosanctum Concilium, Lumen Gentium, Dei Verbum e Gaudium et Spes – e si “lavori” con essi esattamente come si è fatto con la Bibbia nelle conversazioni spirituali dello scorso anno.
Che cosa risuona in noi, oggi, di quei testi? Cosa in essi è ancora vivo e cosa è effettivamente morto? Cosa sembra morto ma deve essere solo ravvivato? Cosa, invece, ci dice che siamo noi i morti e che, allora, dobbiamo essere resuscitati?
Se è vero che alcune parte dei testi potrebbero essersi ormai rivelate come inadeguate o figlie del tempo (più che dei segni dei tempi), ve ne sono sicuramente altre che pongono ancora il Concilio avanti – e non dietro – a noi: come vero frutto dell’insegnamento e dell’opera di Gesù, anche il Concilio Vaticano II è «segno di contraddizione» (Lc 2,34).
Dopo sessant’anni, allora, vale ancora la pena raccogliere questa contraddizione, non per scioglierla, ma per farsene interrogare, provocare. Noi di Vinonuovo ci proveremo ancora una volta. E voi?
Al n.81/82 Gaudiom et SPES 1965. il tema “corsa agli armamenti nonché “condanna assoluta della guerra e l’azione int.le per evitarla”, sono temi del nostro Oggi, aperti addirittura si ipotizza l’impegno mediante l’accordo delle nazioni, di poter interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra; per questo l’esigenza che venga istituita un’autorita pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. L’ONU nel tempo non più sede efficace? Perché ciò che è stato costruito in tanti anni e Trattati allo scopo, si è arrivati allo scontro per una pretesa “Vittoria” affidata ai sensori delle armi che però sono oltre che causa di morti eroi, di tanti civili inermi. Sembra un accordo tra tutti della ex Unione, oggi ognuno per se”! Concilio?No E’ da tener Fede e realizzare dai precedenti
La Pace va incoraggiata dalla buona volontà di tanti, proprio così e da subito come il dal dialogo di Renzo Piano, grande architetto costruttore di bellissime opere in muratura, che con Massimo Giannini Direttore del quotidiano “La Stampa” apprezzato saggista, giornalista e seguito opinionista i quali hanno insieme scambiato opinioni su come si possa costruire la PACE. Confortante perché oggi la Pace ha bisogno di costruttori, essere sostenuta dal l’impegno di tanti, riguarda tutti i comuni mortali che vogliono vivere e vivere in pace. Non può essere che lo stesso uomo indotto da sentimenti insensati possa concepire tanta distruzione con l’orrore di atrocità che e’la guerra/ guerre inducono a compiere e che ci involgono. Importante dunque questo inizio di dialogo, via maestra che diventi sempre più affollata nel coraggioso intento di “pretendere la Pace per un diritto inscritto nel DNA dei popoli a vivere in fraternità e dialogo
Né ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, l’umanità, che pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quel giorno, in cui non altra pace potrà sperimentare se non la pace di una terribile morte. La Chiesa di Cristo posta in mezzo alle angosce del tempo presente, non cessa di nutrire la più ferma speranza.Agli uomini della ns.eta essa intende suggerire cont.te, sia che l’accolgano favorevolmente, o la respingano come importuna, il messaggio dell’Apostolo:”Ecco ora il tempo favorevole” per trasformare i cuori, “ecco ora i giorni della salvezza”. G.S.Pauroso che non ci giunga percezione di tanta gravità, distratti da altro, se non si fosse alzata la Voce di ammonimento dalla finestra aperta al mondo di Papà Francesco
Mi sembra cosa che riguardi questo tempo :” Poiché la pace deve sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere imposta ai popoli dal terrore delle armi, ..Va piuttosto incoraggiata la buona volontà di tanti, che pur gravati dalle ingenti preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi tuttavia dalla gravissima responsabilità da cui si sentono vincolati, si danno da fare in ogni modo per eliminare la guerra….Coloro che si dedicano alla attività educatrice, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace E ciascuno di noi deve adoprarsi per mutare il suo cuore, mirando al mondo intero e a tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino.(Gaudiom et Spes)
Grazie Sergio del tuo articolo ‘aperitivo’. Sono però d’accordo con @Marco Spotorno: in effetti credo occorra una ripresa sapienziale dei testi conciliari, cioè una ricomprensione degli stessi a partire dalla storia che hanno attraversato e che ce li riconsegna, alcuni disattesi, altri incompiuti, altri fecondi. Come se dovessimo guardare una pianta che è germogliata, è cresciuta, e ha messo su rami di diversa grandezza: guardo il tronco, guardo le fronde, guardo i frutti, e guardo pure i rami secchi o poco sviluppati…
Grazie Enrico…e pensare che credevo di aver scritto, soprattutto nel finale, qualcosa di analogo a quanto tu scrivi 😉
Ringrazio Sergio Ventura per questo articolo che è in realtà un bell’editoriale di semina e di prospettiva. Riprendere e ri-aprire un dialogo sereno sul merito di alcuni grandi testi e anche, penso, alcuni grandi gesti… è uno stimolo fecondo.
I testi di 60 anni fa andavano letti 60 anni fa, qualcuno l’ha fatto, molti no
Adesso bisognerebbe leggere i testi di Papa Francesco, qualcuno li legge, la maggior parte non li sfoglia nemmeno…
Perché aspettare 60 anni per scoprire che un testo era profetico…?