Dividi il companatico, raddoppia l’allegria

Tra il serio e faceto, una riflessione un po' amara, ma mossa dalla speranza, sulle nostre realtà parrocchiali...
7 Gennaio 2025

Aggiungi un posto a tavola, la celebre commedia musicale firmata da Garinei & Giovannini con Iaia Fiastri, compie 50 anni e festeggia il suo splendente mezzo secolo con un’edizione fresca e dinamica, in scena al teatro Brancaccio di Roma. Azzeccato il protagonista Giovanni Scifoni, che domina il palco con maestria lasciando appena intravedere un po’ di timore reverenziale verso un ruolo, quello di Don Silvestro, che a distanza di anni non pare invecchiato di un giorno. Incredibile Lorella Cuccarini, che con ironia e grande professionalità fa suo il personaggio di Consolazione, innalzandosi al livello di giganti come Bice Valori e Alida Chelli.

Nella riduzione dei brani, qualche sforbiciata di troppo ha indebolito lo smalto di alcune battute e giochi di parole, ma la portata generale delle tematiche affrontate è quanto mai attuale: il libero arbitrio, il celibato dei preti, il confronto tra potere politico e spirituale, l’accoglienza dello straniero, il giudizio sociale sulla donna e sulle sue scelte, il dualismo (ancora insuperato) tra chiesa gerarchica e chiesa di popolo, e tanti altri ancora. Nel finale tutti, perfino Dio in persona, rinunciando a un pezzetto di egoismo intransigente, scoprono che: «se sposti un po’ la seggiola, stai comodo anche tu!».

La novità che mi ha colpito maggiormente era già presente nell’edizione di cinque anni fa. Una recensione dell’epoca riporta: «il tradizionale carattere favolistico dello spettacolo in questa edizione sembra essere messo in disparte, ispirando al pubblico importanti e profondi spunti di riflessione; in particolare, nella scena del diluvio, durante la quale Don Silvestro mette in discussione la volontà di Dio cantando “Sei sicuro di quello che fai? Fosti tu a insegnarci il perdono” e arrivando a ritenere il Creatore un distruttore».

Una sorprendente scelta di parole, per un brano che ora risulta come un duro richiamo dell’Onnipotente alle proprie responsabilità nei confronti dell’Universo. Scompaiono versi come «la mia gente non posso tradire, ha bisogno di me come io ho bisogno di loro» e «io debbo restare insieme alla gente che è la mia gente», che davano, a mio avviso, a Don Silvestro un carattere teneramente umano, che disobbedisce per amore; con le stesse virtù di mitezza e determinazione che furono di Abramo che contrattava con Dio la vita dei Sodomiti o di San Romero delle Americhe che ordinava ai militari di far cessare la repressione verso i contadini. Non aveva la supponenza di andare a spiegare la teologia a Dio, ma si riconosceva nel motto latino: “sono un uomo, tutto ciò ch’è umano mi riguarda”.

Quali che fossero le vere intenzioni dell’autore del nuovo testo (che non sono riuscito a scoprire), a me ha sempre affascinato l’idea del prete disposto a sacrificare l’obbedienza a Dio pur di condividere il destino della propria comunità, perché in fondo ascoltare la tua gente è come obbedire a Dio. È veramente così distante dalla realtà questo modello di sacerdote?

A voler credere a certe storie, così pare…

In una parrocchia è cambiato il parroco: due volte! Dopo anni di affidamento a quello che Manzoni chiamerebbe «un vaso di coccio tra i vasi di ferro», l’incarico è stato affidato ad una persona che ha mostrato di non avere molto interesse a portarlo avanti, dichiarando più volte dall’ambone che le beghe tra parrocchiani non gli interessano, fino a rifiutarsi di ascoltare l’esposizione di alcuni legittimi dubbi. Dopo l’interruzione dell’attività della Caritas e la messa in discussione di quella del teatro, l’incarico è passato al viceparroco, promosso sul campo, il quale con volto sorridente ha impostato la propria predicazione sul giudizio e l’indottrinamento, fino a paventare le fiamme eterne e il diavolo nell’omelia della domenica gaudete (aggirando le indicazioni liturgiche e le letture del giorno che parlano di pace, gioia, condivisione e giustizia). Sembra che nessuno dei due sacerdoti abbia mai dormito in parrocchia né dato impressione di voler incarnare il senso etimologico dell’abitare vicino (dal greco parà oikèo).

Realtà o fantasia ecclesiale, è ormai un fatto che, come tante realtà cittadine, ci sono comunità parrocchiali piene di problemi (soprattutto economici), composte spesso di persone di passaggio, con poco senso di appartenenza, poco tempo e ormai poca voglia per vivere le esperienze di comunità. Ma non è sempre stato così! Ed evidentemente il problema è diffuso anche altrove, se anche Avvenire denuncia che la maggior parte dei cattolici «vive la religiosità in modo individualista» e sono «lontani dalla Chiesa perché non valorizza i laici in gamba».

Se vogliamo rivitalizzare le nostre parrocchie, ammesso che questa sia ancora una priorità, è necessario che tutti si mettano in gioco, entrando nelle cose prima di giudicarle, con l’umiltà del Signore in Egitto che ha «osservato la miseria» del suo popolo e ha «udito il suo grido» prima di venire a liberarlo. Un po’ come fa Don Silvestro scendendo dall’arca: in un colpo solo salva se stesso, la sua gente e persino Dio, il quale, scritture alla mano, ha sempre preferito mostrare il suo volto misericordioso piuttosto che quello giudicante. Almeno lui!

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