In un tempo in cui la speranza fatica a farsi voce, la Pasqua torna a parlarci. E lo fa attraverso i versi di alcuni dei più grandi poeti italiani ed europei, capaci di scandagliare il mistero della morte e risurrezione di Gesù con parole che attraversano i secoli. Dall’intimità del dolore alla luce del sepolcro vuoto, la poesia diventa preghiera, testimonianza, annuncio.
«È risorto: or come a morte/la sua preda fu ritolta? […] come un forte inebbriato/il Signor si risvegliò». Con la forza epica della fede, Manzoni canta il miracolo della risurrezione. Il sepolcro è vuoto, il sudario abbandonato: è il trionfo della vita sulla morte, della grazia sull’agonia. Il poeta non descrive, testimonia: “Io lo giuro per Colui che da’ morti il suscitò”.
Nella sua essenzialità lirica, Quasimodo scava nel senso personale della fede. La Pasqua qui è un passaggio intimo, quasi sussurrato, un “Amen” mormorato nella Domenica in Albis: «Non m’hai tradito, Signore:/d’ogni dolore/son fatto primo nato».
In un inno accorato Ungaretti eleva un canto di compassione e redenzione. Cristo è il Dio che soffre, che si fa fratello per “riedificare umanamente l’uomo”. Il poeta piange non più solo per sé, ma per l’umanità tutta. Il dolore del Crocifisso diventa balsamo per i vivi e i morti: «Santo, Santo che soffri,/ Maestro e Fratello e Dio che ci sai deboli».
Ancora Manzoni che questa volta ci consegna il Cristo che nella morte libera l’umanità intera: «Egli è il Giusto; e di tutti il delitto/il Signor sul suo capo versò».
Lo scrittore francese Charles Péguy ci offre una riflessione moderna: l’uomo Gesù è accolto e amato fino al momento in cui rivela la sua verità. La sua missione non è solo spirituale, ma profondamente rivoluzionaria. Disturba, perché svela che nessuno gli è pari: «Fino al giorno in cui lui si era disturbato./ E disturbandosi aveva disturbato il mondo».
Clemente Rebora, invece, unisce l’inizio e la fine del mistero cristiano. Dalla mangiatoia alla croce, dal Natale alla Pasqua, Gesù è la manifestazione della misericordia divina. Il suo volto è incanto che educa, bellezza che salva, via verso il Paradiso. «Gesù, il Fedele, il Verace, è il Giudice/che prese a esprimere visibile/[…]l’inesprimibile misericordia del Padre».
E infine la prosa intensa di Simone Weil: «Sarebbe facile scoprire, iscritti dall’eternità nella natura delle cose, molti altri simboli capaci di trasfigurare non solo il lavoro in genere, ma ogni compito nella sua individualità. Il Cristo è il serpente di bronzo che basta guardare per sfuggire alla morte. Ma bisogna poterlo guardare in modo assolutamente ininterrotto. Per questo bisogna che le cose, sulle quali i bisogni e gli obblighi della vita costringono a portare lo sguardo, riflettano quel ch’esse ci vietano di guardare direttamente. Sarebbe molto strano che una chiesa costruita da mano d’uomo fosse piena di simboli e che l’universo non ne fosse infinitamente colmo. Ne è infinitamente colmo. Bisogna leggerli».
Voci e sguardi diversi su un unico Mistero di amore. L’annuncio della Pasqua si fa parola viva, canto, interrogativo e certezza. Cristo è risorto: non solo ieri, ma oggi, qui, nelle ferite del mondo e nei cuori che cercano la luce.