‘Spolpare’ i preti non è umano (né evangelico)

La sostenibilità umana del sacerdozio e l’equilibrio dei preti dovrebbero essere una preoccupazione diffusa, soprattutto tra i vescovi. Ma non sempre questo accade.
4 Ottobre 2022

Mentre la pandemia va esaurendosi, riprende la vita ordinaria, anche in ambito ecclesiale. Così ripartono le molteplici iniziative che costellano il calendario delle comunità, spesso procedendo con inerzia dal passato, non raramente con l’aggiunta di altre attività, quasi avessimo già accantonato i propositi, le intuizioni, le promesse, i ripensamenti che nel tempo della sospensione causata dal virus avevamo elaborato. Perché indubbiamente i due anni passati ci avevano lasciato in dono, oltre a tante fatiche, anche la consapevolezza che non poco di quello che impegnava i cristiani non era più essenziale alla vita e all’annuncio del Vangelo. Ma di quello cosa rimane?

In particolare, del momento di ‘pausa forzata’ cosa è rimasto riguardo alla vita sacerdotale e alle sue numerose incombenze? Perché l’impressione è che la macchina ecclesiale sia ripartita come prima, o perfino più appesantita di prima, soprattutto gravando i preti. Lo aveva già messo in luce Assunta Steccanella, sottolineando come la diminuzione di sacerdoti generi un moltiplicarsi di mansioni su quelli ancora attivi nel ministero, spesso, va da sé, nell’impossibilità di superare nella concretezza e non solo a parole un ‘modello pretocentrico’ che fa ruotare ancora troppo del quotidiano ecclesiale attorno a un clero sempre più numericamente ristretto, sempre più anziano e sempre più umanamente affaticato. Anche quando, e capita, si cerca di superare lo schema clericale, alla fine è la struttura stessa della vita comunitaria a impedire, in fondo, quella divisione dei compiti e quella necessaria e costruttiva collaborazione tra sacerdoti e laici che non solo è auspicabile, perché frutto di nuove letture ecclesiali, ma anche perché non è più umanamente sostenibile accumulare sulle spalle dei sacerdoti pesi e pesi, attività e attività, responsabilità e responsabilità.

Lo aveva messo in luce un’indagine del 2020 dello psichiatra Raffaele Iavazzo; lo aveva esplicitato uno studio della Conferenza Episcopale Francese dello stesso anno ( i risultati sono diffusi in rete): i preti sono a rischio esaurimento, con aumento di casi di depressione, di alcolismo, di comportamenti sessuali disordinati. Ma al di là dei fenomeni più gravi, la domanda che ci dovremmo porre tutti è: chi davvero si prende a cuore l’umanità del sacerdote? Ovviamente la risposta più corretta dovrebbe essere: tutta la comunità, la quale dovrebbe custodire il sacerdote non in quanto tale, ma in quanto fratello di fede, riservandogli quell’attenzione che ogni cristiano dovrebbe avere nei confronti di tutti. Ma un approccio clericale che si fatica a superare impedisce quelle relazioni paritarie che sono le uniche umanamente arricchenti e libere, abbassando le aspettative verso sacerdoti che sono uomini, non caricandoli di auree sacre (e differenze ontologiche prive di alcun senso), lasciando spazi di confronto e critica, di condivisone vera, di superamenti di maschere e ruoli. Il che dovrebbe poi accompagnarsi a un corrispondente ‘abbassamento’ del sacerdote stesso, rendendosi disponibile a una interpretazione meno clericale del proprio ruolo.

Se però, come appare evidente, tale schema clericale ancora perdura, allora spetterà ai vescovi oggi aver cura dei sacerdoti: il che vuol dire, in sostanza, non sovraccaricarli di compiti; non renderli responsabili di numerose parrocchie, sempre più grandi; non allargare a dismisura, oltre l’equilibrio e il buon senso, i confini del loro ministero; esortandoli a cercare vere collaborazioni con i laici; riservando a loro quell’accompagnamento spirituale e quell’azione sacramentale che sono proprio del prete; non ignorando i talenti, i desideri e le predisposizioni di ognuno e non dimenticando il loro lato di umanità, integralmente: anima, corpo, mente.

Il rischio burn out è, oggi, di ogni professione che sia esposta alle relazioni con gli altri: accade agli insegnanti, ai medici, agli operatori sanitari, a chiunque deve per lavoro avere a che fare con un’umanità sempre più aggressiva, emotiva, pretenziosa. Lo stesso accade per i preti. Ma quanti di loro, verrebbe da dire, hanno un tempo sereno per la preghiera, lo studio, l’incontro con l’altro, la formazione integrale, l’accompagnamento, il riposo, il tempo libero, le amicizie? La dimensione quotidiana del sacerdozio, la sua sostenibilità umana, il suo equilibrio dovrebbero essere una preoccupazione viva dei vescovi. È così? O forse vige ancora una ‘dimensione eroica’ del prete che nega il suo imprescindibile risvolto umano, sovrapponendo anima e psiche, mescolando ambiti, caricando i preti come muli da soma, perché “Dio lo vuole” e perché “al vescovo si obbedisce”?

In coda nasce, tra la righe, un’altra domanda: forse che il calo delle vocazioni sacerdotali, oltre a tutti i motivi noti, ha anche nell’esaurimento psicologico e fisico dell’uomo-prete una causa?
Ogni dimensione autenticamente umana è anche autenticamente evangelica: forse dovremmo ricordarci che ‘spolpare’ i preti non è solo disumano, ma è lontano pure da un vissuto realmente evangelico.

15 risposte a “‘Spolpare’ i preti non è umano (né evangelico)”

  1. Elena Castoldi ha detto:

    Il Signore benedice la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica! Gli operai sono pochi e la messe è molta, ma, sta scritto che le potenze degli inferi non prevarranno. E Gesù ha detto che prega anche per quelli che per la loro parola crederanno in Lui. Ma allora, se anche non ci fosse dato il dono della fede, ebbene sappiamo che possiamo credere alla parola di coloro che hanno ricevuto la fede in Gesù Cristo, è una grande consolazione che da gioia e speranza. Certo resta la libertà che ci è stata data per l’Amore del Padre, allora viviamo nella libertà di figli, scegliendo il bene, ricordiamoci che “il banco di prova, è l’amore per i nemici” e sperimenteremo la vera libertà uniti in Cristo. Il Signore ci benedica e ascolti le preghiere per la pace.

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Ho difficoltà a muovermi, vista la forte presenza di ‘don’ su VN, Roberto incluso..
    Ribadisco che il mio pdv era lato banchi, non ovviamente sulla Fede dei singoli preti. Da ateo ad es 60 anni fa un certo Padre Turoldo faceva il pieno ( e x invidia allontanato 🦁🙃😡), ma anche un altro in S.Maria delle Grazie.. seguitissimo! Ma ricordo anche un Prete di CL che mi confessava che la Messa si trasformava in una routine o un Mons x che mi confessava: senza quella speranza, un colpo in testa e via!
    Guardiamo le cose lato “fedeli”.. cioè partecipazione e comunicazione.
    Ecco la mia tesi: se non si vede che hai CRISTO DENTRO, molto difficile x il fedele riceverlo. Per rovescio se Lo hai, nn importano più le esegesi o la Dottrina o la retorica.. Passa entra e .. sfonda….

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    ……da semplice fedele, sorge perplessità e si domanda se davvero sono Pastori dello stesso Dio, tanto da suscitare dubbi sulla stessa divinità se non si è sorretti da una Fede che è quella di un proprio convincimento, quella semplice che deriva dalle scritture, da quell’Amore solerte che lascia segno, come quello materno , che però a sua volta vita e forza dalla stessa fonte , la fede Allora viene di pensare che un uomo quando decide di farsi servo di molti, deve coltivare uno stretto rapporto con la divinità per non lasciarsi trascinare da routine in altre incombenze, come il cellulare per tanti laici oggi. Suppongo che non basti essere per celebrare riti sacramentali, ma avere Spirito per comprendere ciò che manca alla vita della persona, della comunità . Una Chiesa che anche sia materna, così come Dio ha creato l’uomo e la donna insieme una completezza di amore , grande vitale e unico.

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Forse essere Fratelli, realizzare fratellanza in Cristo non è così facile da realizzare. Come tra consanguinei ognuno poi si manifesta con un carattere diverso, tale che attriti o tensioni, richiedono appunto quello ” spirito fraterno a essere superati. Per esempio, appare lampante la diversità di Chiese/sorelle. Ieri il Santo Padre celebrante il Vescovo Scalabrin esempio come servitore dei migranti, rivolge al mondo degli ascoltatori ammonendo per quanta cura avere e comprensione verso il “migrante” da non limitarsi al pane ma anche della sua persona, così di un prete verso la sua comunità, se si isola schiavo di troppi incarichi rimane solo, la fraternità cessa anche tra confratelli, se non c’è lo Spirito di Cristo che li aiuta, non sembra che regole altre possano essere di aiuto. Vediamo poi il Capo di un’altra Chiesa, in sontuoso rito benedire fedeli e anche coloro che partono per una guerra.

  5. Pietro Buttiglione ha detto:

    @Gabrielli
    Non sono soli.
    E i laici prevaricatori..
    Ma se io mi guardo intorno e mi chiedo se sono davvero trasmettitori dell’Annuncio…
    10%?? Ad essere ottimisti..
    Mi viene in mente una tesi dei sigg
    Atei.
    Anni fa, quando li frequentavo di più, solevano dire:
    ” Tanto, mica ci credono manco loro!!”
    Davvero è l’impressione che io ho oggi su quel 90%😭😡🫣🤐😰
    PS. Come capire chi vi crede??
    Semplice: la Chiesa è piena.

    • roberto sogni ha detto:

      sinceramente queste statistiche, basate su una realtà totalmente soggettiva per poi trasformarla in tesi per le proprie conclusioni, me li aspetto su facebook o altri luoghi dove si è ormai confusa totalmente il diritto di parola con dico liberamente ogni (….) che mi viene in mente. Ma con quale arrogante presunzione si giudica il 90% dei sacerdoti? il metro di giudizio sono le chiese piene? ma siamo impazziti? vorrebbe dire “lo show abbia inizio, per conquistare la pancia delle persone, dare quello che mi chiedono, non importa come, non importa la liturgia, non importa cosa sto facendo, l’importante è avere tanti follower adoranti… Ripeto: c’è una crisi in atto con cui ci dobbiamo confrontare, formare e soprattutto convertire, ma certe considerazione non sono nemmeno provocatorie, senza offesa, sono solo banali.

  6. Nazareno Gabrielli ha detto:

    I sacerdoti non sono mai “soli” (xchè c’è lo Spirito Santo che li assiste), ma spesso sono isolati dall’indifferenza di nqualche vescovo (qnd non abbia cuore “paterno”!) o dall’ingratitudine dei parrocchiani (e dalle loro beghe per un ruolo rappresentativo)…

    • Salvo Coco ha detto:

      1= Lo Spirito santo assiste tutta la chiesa, non assiste solo i presbiteri
      2= Il clero non è isolato. il clero si è isolato. Ha rotto la comunione oltre 1600 anni fa e si è costituito come uno stato di vita a parte. E quando dico clero intendo anche i vescovi, lontani ed estranei al popolo.
      3= Il punto ineludibile consiste nella necessità di una riforma profonda della ministerialità ecclesiale. A questo punta l’articolo di Di Benedetto. Non se ne esce con qualche esortazione moralistica o con qualche pezza cucita su un vestito logoro, ma solo con radicali riforme dottrinali e canonistiche che sappiano raccogliere il dinamismo conciliare e svilupparlo.

  7. Salvo Coco ha detto:

    Chi ha stabilito che cosa è essenziale nel ministero dei preti ? E’ stato lo stesso clero a stabilire cosa è il clero. Nei primi secoli il clero nemmeno esisteva eppure le comunità prosperavano. Quindi ? Quindi occorre ridefinire qual’è oggi l”identità del sacerdozio cosiddetto ordinato. Occorre procedere ad una profonda riformulazione dottrinale. E per farlo, occorre farlo tutti insieme, uomini e donne, perchè ogni battezzato partecipa al munus profetico di Cristo, possiede il sensus fidei e l’autorità dottrinale per poter contribuire all’annuncio del Vangelo. Basta con il magistero clericale che impone in maniera autoreferenziale insostenibili dottrine.

  8. Onofrio De Carmis ha detto:

    C’è un altro punto di vista: i preti rasentano il burnout per cosa? Per i troppi impegni pastorali ovvero per le cose improrpie di cui sono caricati/si caricano ogni giorno? Vedo in giro preti indaffarati da una quantità di impegni che non gli appartengono che ho l’impressione che la stanchezza derivi dall’inutile. Un sano principio di delega dovrebbe fargli cedere tutto il possibile a laici responsabili della vita della comunità e riportare la priorità dei sacerdoti all’essenziale del loro ministero, come, ad esempio, amministrare i sacramenti o annunciare il vangelo. Il resto mi pare dispersivo.

    • Gian Piero Del Bono ha detto:

      Giusto .La priorita’ dei sacerdoti sono i sacramenti che solo loro hanno il mandato ( l’ ordine sacro) di dare ai fedeli. . I sacerdoti non devono fare cose che non gli competono quali assistenti sociali, psicologi, sindacalisti . Nelle parrocchie si trova raramente (tranne la domenica mattina) un prete nel confessionale. Se si chiede di confessarsi viene risposto, come e’ successo a me, che il prete e’ andato alla TV per un programma .Certo che se i preti vogliono fare i tuttologhi ,cercano visibilita’ e successo , non faranno bene niente E sempre piu’ gente di allontanera’ dalla Chiesa.

  9. Eugenia Renati ha detto:

    Le tue parole,Don Fabrizio mi hanno colmato di tenerezza. Certamente l’Amore infinito di Gesù ,attraverso lo Spirito Santo di dona tanta forza e tanta Pace. Tu sei un autentico testimone del Vangelo.Incontrarti per qualsiasi persona e’un Dono. Gesù ti ama,Fabrizio ,e tu percorri la Sua Via che è Luce.

  10. Salvatore Paladini ha detto:

    Le analisi mi sembrano oggettive.le prospettive, I cambiamenti e i risvolti non sono solo nelle mani dei vescovi, ma di ciascun sacerdote, chiamato da Dio a sviluppare relazioni di fraternità anzitutto con gli altri sacerdoti oltre che con il vescovo.

  11. Pietro Buttiglione ha detto:

    Mi pare manchi un altro motivo ancor più profondo che può generare mancanza di senso, vero fallimento e in definitiva depressione, abbandono.
    Il vedere che la propria missione non ha successo. Aggiungi con sofferenza:
    Perché il mandato ricevuto, i suoi contorni, le sue implementazioni sono 1000 miglia lontane dalla Realtà che li circonda. Colpa di chi????

  12. Paola Buscicchio ha detto:

    Don Fabrizio De Michino, un giovane sacerdote deceduto all’età di soli 31 anni, ha scritto prima di morire una lettera al Papa. A Sua Santità Papa Francesco.
    Sono un giovane sacerdote della Diocesi di Napoli. Svolgo il mio servizio in una parrocchia a Ponticelli.
    Purtroppo sono tre anni che mi trovo a lottare contro una malattia rara: un tumore proprio all’interno del cuore e da qualche mese anche nove metastasi al fegato e alla milza. In questi anni non facili, però, non ho mai perso la gioia di essere annunciatore del Vangelo. Anche nella stanchezza percepisco davvero questa forza che non viene da me ma da Dio che mi permette di svolgere con semplicità il mio ministero.
    Santo Padre,
    Spesso, è vero, non chiedo a Dio la mia guarigione, ma chiedo la forza e la gioia di continuare ad essere vero testimone del suo amore e sacerdote secondo il suo cuore.
    Certo delle Sue paterne preghiere, La saluto devotamente.

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