“Don S. mantiene l’incarico di direttore …, ed assume anche quello di parroco dell’unità pastorale …
Don C. parroco di …, diventa parroco anche di …
Don L. vicario parrocchiale di …, lo diventa anche di …
Don R. parroco di …, è stato nominato anche amministratore parrocchiale di …
Don S. parroco di …, è stato nominato anche assistente spirituale …
Don A. direttore di …, è stato nominato anche consulente …
All’unità pastorale di … si aggiungono anche le parrocchie di … “
Molto istruttiva la lettura delle pagine che riportano le nuove nomine, i trasferimenti dei preti, e la continua modifica del reticolo parrocchiale. Dopo le prime considerazioni oggettive mi sorprendo però a divagare, tra me e me, intorno a una piccola parola che vi ricorre davvero molto spesso: ‘anche’.
Quante implicazioni in due sole sillabe: sempre più spazi da abitare, sempre più persone da curare, sempre più cose da fare, concentrate nelle mani di un numero sempre minore di soggetti, più precisamente di preti. La moltiplicazione dei loro incarichi, che non rallenta, li espone, quando va bene, all’impossibilità di essere pastori come vorrebbero, costretti come sono a correre di qua e di là, trascurando molte cose o agendo in modo affrettato; quando va meno bene, li sottopone a un serio rischio di burnout.
Certo, io li capisco, i vescovi. Anch’essi devono combattere, ogni giorno, con esigenze (e difficoltà) crescenti, che chiedono risposta, e la chiedono ‘prima di subito’ secondo un trend oggi consueto. Così ‘tirano la coperta’, che però rimane sempre troppo corta.
Ma quale futuro ha una pastorale così, tutta ripiegata sull’immediato? E quale futuro hanno le nostre parrocchie, e più radicalmente la trasmissione della fede, e quindi la sopravvivenza della Chiesa, nelle nostre terre?
‘Anche’ però non è in se stessa una parola dalla valenza negativa, mi dico: in questo caso basterebbe utilizzarla come congiunzione invece che come avverbio.
“Don S. mantiene l’incarico di direttore … e assume il nuovo incarico di parroco; anche il diacono don E. e i tre ministri istituiti – la lettrice N., l’accolito P., il catechista R. – saranno corresponsabili per la vita della parrocchia.
Don P. e anche l’équipe ministeriale collaboreranno per la cura dell’Unità pastorale di … Ai componenti dell’équipe il vescovo conferisce specifici mandati per la catechesi, il settore giovanile e familiare, la Caritas, l’economato, e per le celebrazioni domenicali in assenza di presbitero, da tenersi a rotazione nelle diverse comunità.
Il moderatore don R., e anche suor L. e la famiglia degli sposi G. e F. sono corresponsabili delle parrocchie di …
L’accolita M. e anche la lettrice G. sono nominate assistenti spirituali dell’RSA di …”
Anziché concentrare sempre più cose nelle mani di pochi, si tratta quindi di moltiplicare le persone.
Oggi alcuni strumenti, anche normativi, ci sono (ricordo solo Spiritus Domini e Antiquum ministerium) e il momento è favorevole: siamo in pieno cammino sinodale, il suo scopo è arrivare insieme a delle decisioni che possono incidere profondamente sul volto della Chiesa. Con papa Francesco, «spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (Evangelii gaudium, 25).
E allora passo dalla divagazione al sogno: che nella Chiesa si consolidi una forma di governance cooperativa, svincolata dal clericalismo perché basata sulla suddivisione dei compiti e dei poteri; che attraverso di essa si strutturi un’azione pastorale esercitata da team composti da uomini e donne che esercitano i propri specifici carismi: alcuni ministri ordinati (preti, diaconi … e diacone), altri ministri istituiti laici (sposati e singles) e religiosi, e ministri di fatto, perché sia visibile l’identità ministeriale di tutta la comunità. Si tratta di una realtà in qualche modo già presente sia in alcune diocesi italiane che in altri paesi del mondo (ricordo in particolare l’America Latina, la Svizzera e il Nord Europa), che chiede però di essere intesa non come provvisoria (legata ai bisogni, alla scarsità di preti) ma strutturale, e quindi più adeguatamente normata.
Grazie infinite Assunta dell’importante articolo. Mi trova totalmente d’accordo e lavoriamo per questo futuro di chiesa. Sempre avanti.
Diacono Lamberto Menti
Grazie Assunta, non demorda! Nel mio micro micro intendo provarci anch’io, per esempio diffondendo Vino Nuovo (e pensare che son astemio…) Spero che da Gilberto Borghi arrivino presto buone notizie, perché dare sostanza al sinodo è la via principe.
vorrei anche che i nostri presbiteri comprendessero che la corresponsabilità e l’ampliamento della platea dei corresponsabili è la via d’uscita dal vicolo cieco in cui sono ora incastrati, a danno loro e di tutti i fedeli
Grazia e tutti per i commenti, rispettosi e propositivi
Ringrazio tutti per i commenti e le osservazioni, ciascuna delle quali solleva temi importanti e tocca alcuni dei mille aspetti implicati nella vita delle comunità cristiane in Italia.
Vorrei spendere però una parola di ottimismo: non è vero che tutto è fermo. Tutto si muove, con estrema lentezza, lo so, ma inesorabilmente. Non lo affermo per sentito dire, ma per la personale immersione nei processi e nei luoghi in cui si pensa il cambiamento necessario, e per la conoscenza diretta delle piccole grandi cose che si stanno muovendo nella realtà di numerose parrocchie del territorio (parlo del Triveneto).
Agire concretamente, e nello stesso tempo far conoscere, problematizzare, interrogare, sono strade intrecciate e reciprocamente indispensabili.
Grazie Assunta!
Tutto bello tutto giusto tutto necessario ma per ora tutto fermo. Non resta che pregare e invocare lo Spirito Santo per convincere la Chiesa di pietre vive almeno a cominciare una svolta perché è di questo che c’è bisogno. Nulla è impossibile. Anch’io avverto la presenza di carismi sopiti da far emergere e pronti a mettersi in gioco. Anche sul loro impegno ed esempio credo possa passare un’annuncio nuovo, diverso, non scontato e guadagnare nuovi cristiani alla Parola. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli…”
Condivido il commento di Riccardo Vinciguerra. Da sempre si sospira per la carenza di preti ( i soliti super oberati). Lo stesso vale per i pochissimissimi laici reclutati dal clero per attività culturali / pastorali.
Ci si sente a posto a scrivere di come dovrebbe essere….ma di fatto si va avanti così. Trovo ipocrita stracciarsi le vesti ma poi continuare a rimanere asserviti ad un potere che basta a sé stesso
La chiesa è piena di laici volenterosi e super preparati ma ha deciso di rimanere con le strutture vecchie e obsolete legate ad un volontariato ( la maggior parte di operatori pastorali) a cui dall’alto propina corsi perenni tenuti dai soliti due preti / laici scelti.
È davvero un tormentone.
Una bella riflessione di Assunta Steccanella che condivido pienamente. La CEI dovrebbe però avviare al più presto una seria riflessione sul riconoscimento economico del lavoro pastorale dei laici. Se si vogliono dei laici corresponsabili della pastorale e quindi anche disposti a lavorare a tempo pieno o part-time per ambiti pastorali della parrocchia, occorre anche RETRIBUIRLI come avviene in tante altre Chiese delle società moderne. In Germania ad esempio ci sono già da tempo dei REFERENTI PASTORALI che fanno un lavoro pastorale serio, affidabile, a tempo pieno e questa ministerialità è anche riconosciuta in termini economici.
Caro Angelo concordo in pieno sulla preziosità dei diaconi, che ho citato nell’articolo (quartultima riga) ma in forma troppo defilata. Correggo il testo e la ringrazio.
Salve, mi addolora il fatto che tra tanta gente che ha nominato manchi il “diacono”. E mi addolora sempre più il fatto che si dimentichi spesso. Nel suo stato permanente (quello è il diacono) nella maggior parte dei casi è sposato, vive la condizione lavorativa perché, pur essendo clero, non percepisce nulla dal sostentamento. È in prima linea nelle azioni caritatevoli; nella pastorale familiare contribuirebbe e, contribuisce, in modo particolare alla formazione dei prossimi sposi e aiuta le famiglie in crisi; storicamente è stato colui che si dedicava all’amministrazione delle parrocchie togliendo ai preti l’onere della gestione. In alcuni casi a lui e alla sua famiglia è affidata la pastorale parrocchiale in toto. Ciò che dice è importantissimo, ma nella Chiesa esistono “anche” questi uomini che si spendono nel silenzio e nel servizio con grande umiltà e dove sono, molte volte, si ricuciono gli strappi tra laici e preti.
Vogliamo parlare anche di istituzioni come il consiglio pastorale e il consiglio degli affari economici, peraltro obbligatorie, che vengono ignorate?
Sicuramente nella selezione e nella formazione del clero non è presa in collaborazione la capacità di lavorare in team.
Ma il laicato nella chiesa non è mai considerato, sia perché non preparato, sia perché comunque visto come un diverso
Grazie Assunta! … Perchè non ripensare l’istituto dello “Ius Patronatus” che rendeva l’intera comunità capace di scegliere e sorreggere i propri pastori attraverso lo “ius eligendi”?
“Il potere corrisponde alla capacità umana non soltanto di agire o di fare qualcosa, ma ANCHE di unirsi agli altri e di agire in accordo con loro” (H. Arendt – Le due facce del potere, 1986).
Magari sbaglio, però credo che a frenare l’uso di “anche” come congiunzione ci siano pure – oltre alle ragioni della tradizione, dell’abitudine e della mentalità – anche dei motivi di ordine economico/pratico riguardanti come mantenere e alloggiare tutti i collaboratori laici di cui ci sarebbe bisogno, dato che buona parte di loro andrebbe a svolgere un servizio a tempo pieno o quasi. Tagliare i posti invece, nella Chiesa come nella società civile, è spesso la prima soluzione cui si ricorre quando si deve risparmiare, ferma restando l’evidenza della crisi di vocazioni.
In più, l'”anche” avverbio vale ormai pure per i vescovi: basti vedere la crescita del numero delle diocesi unite in persona episcopi da noi.
Spesso avviene che tanti laici che vorrebbero prendersi delle responsabilità in comunità, vengono messi ai margini.
La corresponsabilità, già da parecchi anni introdotta nel linguaggio della Chiesa, è una parola che viene sempre usata ma mai messa in azione. Ci sono laici che danno la propria disponibilità ma i presbiteri hanno paura che si tolga loro qualcosa. Io sostengo che una comunità deve essere corresponsabile dell’operato pastorale perché i presbiteri sono uomini di Dio e , finito il loro mandato, sono mandati ad altre destinazioni, perciò resta come fondamento una comunità che continua il suo cammino. Questo è il tempo di lasciare il “ si è sempre fatto così “ e di aprire sul serio il cammino sinodale .
Mi trovo molto d’accordo. Circa la corresponsabilità credo sia necessario e anche costruttivo ci sia un controllo/confronto periodico e leale fra chi conferisce e chi opera. Non vi dovrebbero essere confusione di ruoli con conseguente prevaricazione o anche emarginazione.
Assunta sempre preziosissimi i tuoi interventi. Mi piace l’aver osato mostrare ANCHE una strada diversa su cui proseguire. Credo che il cammino sinodale stia indicando questa via … grazie
Dalla divagazione al sogno… Grazie Assunta.
In questi giorni, assieme ad un caro amico prete, sto sintetizzando per l’ISSR di Forlì i report delle sette diocesi della romagna, per trovare linee comuni su cui gli ascolti sinodali si sono concentrati. Due già si evidenziano: passare dalla collaborazione dei laici a servizio dei preti, alla corresponsabilità pastorale di laici e preti; ricollocare il prete nel suo ruolo pastorale: servizio alla parola, ai sacramenti e all’accompagnamento spirituale.
Nei mesi scorsi ho gestito due gruppi di ascolto nella mia diocesi: quanti carismi sopiti ci sono tra i laici, che aspettano solo di essere risvegliati!! E quanta richiesta di guida spirituale seria e profonda a cui i nostri preti non sanno (o non riescono, o non vogliono) rispondere!!