Roma: storia di una diocesi

Accostare la Chiesa di Paolo VI e quella di Giovanni Paolo II per correre il rischio positivo di un "cortocircuito di conoscenza"
22 Marzo 2023

Tra le oltre 200 diocesi italiane, la diocesi di Roma occupa un posto particolare, essendo la diocesi del Papa e nel contempo il centro della cattolicità. Proprio questa duplice identità, però, l’ha in qualche modo schiacciata, rendendola a lungo una sorta di semplice prolungamento della Curia romana. Solo a partire dagli anni del dopo Concilio, sull’onda del dibattito ecclesiologico sorto intorno alla Lumen Gentium, si porrà la necessità di ripensarne la presenza  all’interno della città di Roma, avviata ad essere una metropoli in rapida evoluzione e ricca di contraddizioni.

Un prezioso testo uscito recentemente si dimostra essere un utile strumento per indagare questo particolare aspetto della storia recente della Chiesa. Curato da Roberto Regoli per le Edizioni San Paolo, si intitola DALLA ROMANITA’ ALLA DIOCESANITA’. STORIA RECENTE DELLA CHIESA DI ROMA.

Il testo individua tre eventi ecclesiali attraverso cui leggere la storia recente della diocesi di Roma: il convegno del febbraio 1974 (presentato da Augusto D’Angelo), il Sinodo pastorale diocesano che si concluse nel 1993 (presentato da Maria Lupi), la missione cittadina in preparazione del Giubileo del 2000 (presentata da Antonio Scornajenghi).

Parecchi sono i motivi di interesse di questo testo. Innanzitutto, accende un faro sulla storia recente della Chiesa analizzandone i cambiamenti profondi determinati dal differente contesto socio-politico dell’Italia del secondo dopoguerra e dalla riflessione scaturita dai documenti del Concilio Vaticano II. In secondo luogo, offre una ricostruzione puntuale, ricca di testimonianze e di documenti. Infine, non nasconde le contraddizioni nate da visioni diverse della Chiesa e della sua collocazione nella società. Nella sua introduzione, Roberto Regoli dichiara infatti: “Il presente volume è un rischio. Mette insieme i testimoni di un’epoca e gli storici interpreti delle scelte compiute in quel tempo. Non di rado gli uni e gli altri non si comprendono tra di loro (…). Il presente volume può far accadere un cortocircuito di conoscenza: chi ha ragione? (…) Si è voluto correre il rischio (…) per permettere al lettore di farsi un giudizio proprio”.  Ecco: nessun “pensiero unico”, nessuna visione forzatamente unificata. Mi sembra un  atto importante di onestà intellettuale che restituisce un significativo cambio di prospettiva (e di direzione) tra la Chiesa di Paolo VI e del Concilio, una Chiesa inquieta che si interrogava su quale fosse il rapporto possibile con la società contemporanea profondamente cambiata e non più acriticamente ossequiosa verso l’istituzione religiosa, e la Chiesa di Giovanni Paolo II, il papa “chiamato da un paese lontano”, che era stato testimone diretto delle persecuzioni del regime comunista e che sentiva il bisogno di affermare una identità ecclesiale forte e visibile all’interno della società e di proclamare una nuova evangelizzazione.

Una contraddizione evidente, percepita nettamente da chi in quegli anni era impegnato nella catechesi, nell’associazionismo cattolico, nelle università pontificie,  nell’insegnamento della religione. Una contraddizione “vera” in un mondo sempre più contraddittorio, complesso, disorientante. Drammatica, come tutte le contraddizioni.

Il convegno del febbraio 1974, intitolato La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia della città di Roma, fu da subito definito sui mali di Roma. Voluto dal Cardinal Vicario Ugo Poletti, scaturito dalla costatazione della crescita delle diseguaglianze nel contesto urbano, si pose l’obiettivo di essere una occasione di ascolto della città. Fin da subito suscitò, da una parte, il grande interesse di quanti erano sensibili alle problematiche sociali della capitale, dall’altra, altrettanto grande preoccupazione da parte di chi (come per esempio la Democrazia Cristiana) temeva che una riflessione critica sulla situazione presente potesse modificare gli equilibri politici vigenti.

La relazione di apertura di Giuseppe De Rita, sociologo del Censis, presentava una “città culturalmente inerte, moralmente opaca, politicamente deresponsabilizzata”, mentre don Clemente Riva, futuro vescovo ausiliare, auspicava un “mutamento di mentalità, di criteri di valutazione di cammino delle nostre opere” e un “pluralismo di  iniziative e di collaborazione tra le varie componenti della città”. Il convegno rappresentò una “scossa alla vita religiosa, culturale e politica di Roma” e un “iniziatore di processi” (De Rita) grazie a cui  la Chiesa locale acquisì un profilo proprio e una progressiva e diffusa capacità di prendersi cura delle periferie e delle povertà vecchie e nuove.

Se il convegno del ’74 aveva come orizzonte il mondo fuori della Chiesa e percepiva la città come partner di azioni condivise, gli eventi ecclesiali successivi si focalizzarono piuttosto sulla vita interna della Chiesa e rappresentarono la città come luogo da evangelizzare. Il Sinodo diocesano, concluso nel 1993, intitolato La comunione e la missione della Chiesa che è in Roma verso il terzo millennio, avviato da Poletti ma portato a termine dal nuovo Vicario mons. Camillo Ruini, proprio con quest’ultimo vide un cambio di rotta, assumendo una dimensione più teologica e forse più tradizionale rispetto all’impostazione precedente, molto focalizzata  sulla concretezza pastorale.

Il Sinodo raccolse la preoccupazione di fare della diocesi di Roma e dei suoi fedeli un modello ideale di vita cristiana a cui tutto il mondo cattolico potesse ispirarsi. Come sottolinea Maria Lupi, “lo scopo era arrivare al terzo millennio con una Chiesa romana più unita, più pastoralmente efficiente e più attenta e partecipe  ai problemi del territorio”.
La partecipazione popolare fu impressionante. Tanto per offrire qualche dato, al questionario preparatorio diffuso nelle parrocchie risposero 30mila persone (tra laici e religiosi); alle assemblee presinodali parteciparono rappresentanti di tutte le 35 prefetture della diocesi; infine, al Sinodo vero e proprio parteciparono ben 1200 delegati delle varie realtà ecclesiali.

Uno  dei primi esiti del Sinodo fu la possibilità di incontro e conoscenza tra le varie realtà ecclesiali, spesso sconosciute fra di loro. Furono inoltre rielaborati i fondamenti teologici, culturali e pastorali dell’agire ecclesiale (anche se non mancò una certa delusione rispetto al mancato accoglimento di molte delle istanze espresse dalla base). Altro frutto importante fu l’avvio della celebrazione periodica  di convegni ecclesiali diocesani che da allora diventarono un appuntamento fisso, mantenendo la stessa metodologia.

Anche la Missione cittadina in preparazione del grande Giubileo del 2000 fu una significativa eredità di questa prima esperienza sinodale nella città di Roma. Fu fortemente voluta da Giovanni Paolo II, che era profondamente convinto della necessità di una nuova evangelizzazione in una metropoli “insidiata dall’indifferenza religiosa, distratta dal benessere consumistico, disorientata dal relativismo morale, afflitta da tante povertà materiali e spirituali”. Lanciata l’8 dicembre del 1995, si poneva l’obiettivo di attuare l’impegno di evangelizzazione del Sinodo diocesano in ogni ambiente di lavoro e di cultura, in ogni quartiere e borgata, rimettendo in moto la Chiesa e rendendola un soggetto attivo della società. Questo avvenne soprattutto attraverso gli stessi credenti, che furono chiamati ad essere testimoni del “Vangelo della speranza” per poter incidere “sulla cultura, sui modi di vivere, sulle attese e sui progetti dell’intera comunità cittadina”.

In effetti il coinvolgimento dei fedeli fu massiccio: furono formate e inviate in missione 16mila persone  che consegnarono ad ogni famiglia romana prima il Vangelo di Marco, poi, l’anno seguente, gli Atti degli apostoli. Furono attivati nelle case numerosi Centri di ascolto del Vangelo a  cui parteciparono migliaia di persone. Nella basilica di San Giovanni in Laterano furono organizzati i Dialoghi in cattedrale tra credenti e  non credenti sui temi della fede e della ricerca di Dio. La missione cittadina si concluse con la veglia di Pentecoste del 1999, alla vigilia dell’apertura del grande Giubileo del 2000, rispetto al quale aveva avuto una funzione propedeutica. Relativamente ai risultati attesi, l’esito non fu quello sperato: “L’intenzione era rendere permanente questa missione, ma purtroppo non vi siamo riusciti” (Camillo Ruini).

Proprio nel solco  di questa esperienza si colloca l’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, nonché le Linee pastorali della diocesi di Roma  per l’anno pastorale 2019-’20 «ABITARE CON IL CUORE LA CITTÀ» che invitano i credenti a “ scendere (…) in mezzo alla città per ascoltare il grido dei suoi abitanti”, in particolare i giovani, le famiglie, i poveri, e per “aprire loro cammini di liberazione”. Bisogna “cogliere la presenza di Dio nella città, nelle storie di vita delle persone (…) e nella nuova cultura che si produce nella città”:  “oggi nei nostri quartieri e nei nostri ambienti di vita tanta gente soffre di solitudine, di mancanza di relazione; non trova volti amici con cui condividere la propria vita, soprattutto il grido che si porta dentro. (…)  Sappiamo farci prossimi ed ascoltare. (…) Rifacciamo alleanza con il territorio umano e geografico nel quale le nostre comunità parrocchiali e ciascuno di noi vive, mettiamo da parte rancori e diffidenze e testimoniamo un’autentica passione per la città dell’uomo, per il bene comune, e per Dio che abita in mezzo alle case. A partire da queste relazioni, saremo aiutati a capire meglio quale è il nostro compito evangelizzatore e che cosa il Signore ci chiede”.

 

 

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