Devo riconoscere che la vicenda degli abusi che coinvolge p. Rupnik, emersa in questi ultimi tempi, mi ha particolarmente scosso.
Non perché i fatti in sé siano più gravi di altri, avvicinare questi temi costringe sempre a fare i conti con una misura di male e di dolore difficilmente quantificabile, davvero sconvolgente.
È il ruolo particolare del protagonista che mi inquieta: mi inquieta il fatto che sia un teologo, un maestro di spiritualità, qualcuno il cui pensiero e la cui opera hanno esercitato ed esercitano un significativo influsso su molti cristiani; e mi inquieta per la sua arte, un aspetto molto delicato della vicenda. Le sue opere sono sparse un po’ ovunque, nei luoghi più significativi della cristianità e in piccole cappelle private; con la loro grande diffusione travalicano il piccolo spazio degli studi teologici, o degli ambienti intraecclesiali e raggiungono un pubblico vastissimo, non necessariamente di soli credenti.
Ho in mente in particolare una chiesa in cui i suoi mosaici sono protagonisti: ci andavo spesso a pregare. Mi sono chiesta se tornarci temendo che, anziché elevazione spirituale, quei mosaici adesso possano suscitare in me, prepotente, il pensiero della tenebra di cui l’autore si è mostrato capace, insinuandola in momenti che dovrebbero condurre a tutt’altro. Questa bruttissima storia non giunge a falsificare tutto ciò che di bello ha realizzato?
Appunto, la bellezza, una dimensione al servizio della quale sembrava aver posto tutte le proprie energie. Ma quale bellezza?
È questa la domanda che mi ha condotto a riprendere la lettera pastorale scritta dal Cardinal Martini nel settembre 1999, intitolata: “Quale bellezza salverà il mondo?”
Quando l’ho scoperta ero ancora una studentessa di teologia, ma l’impressione che ha suscitato in me non si spegne.
Nell’Introduzione, Martini condivide la ricerca che è alle radici dello scritto. Ne riporto le parole:
«ho cercato a lungo, insieme con i diversi Consigli diocesani, una parola riassuntiva, un’icona unificante. In questa ricerca, talora sofferta proprio per la molteplicità dei temi e la difficoltà di collegarli in maniera convincente, sempre più mi è entrata nel cuore la domanda che Dostoevskij, nel suo romanzo L’idiota, pone sulle labbra dell’ateo Ippolit al principe Myskin. “E’ vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la ‘bellezza’? Signori – gridò forte a tutti – il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza… Quale bellezza salverà il mondo?”. Il principe non risponde alla domanda (come un giorno il Nazareno davanti a Pilato non aveva risposto che con la Sua presenza alla domanda “Che cos’è la verità?”: Gv 19,38). Sembrerebbe quasi che il silenzio di Myskin – che sta accanto con infinita compassione d’amore al giovane che sta morendo di tisi a diciotto anni – voglia dire che la bellezza che salva il mondo è l’amore che condivide il dolore».
La bellezza salva il mondo. Ma non si tratta della bellezza estetica, che colpisce i nostri sensi, la vista, l’udito… si tratta invece della bellezza dell’amore che si spende, che si dona. È la bellezza di Dio che splende in Cristo, «il Pastore bello, che dà la vita per le sue pecore”» (Gv 10,11).
Di questa bellezza che viene dall’alto il discepolo di Gesù è chiamato a farsi testimone con la parola e con la vita, per condividere con tutti il suo splendore, per far sì che diventi concreta nella storia, per consentire che, ancora una volta, si faccia carne nel dono di sé.
Ma allora qual è il significato delle cose belle che incontriamo, in questo caso attraverso l’arte? La loro bellezza ha un ruolo molto importante, è annuncio di quella luce che è alla loro origine, «una freccia lanciata all’interiorità», «un sostegno alla contemplazione», uno spazio di elevazione dello spirito umano.
L’arte è quindi annuncio dell’autentica bellezza, la vita ne è la testimonianza. E le due possono anche contraddirsi a vicenda, come è accaduto molte volte nel corso della storia (pensiamo alla vita turbolenta di grandi artisti come Caravaggio). Però in questo caso la contraddizione tra annuncio e testimonianza si fa particolarmente problematica e rende difficile scindere le due dimensioni, almeno nell’immediato: il nostro artista è anche teologo autorevole e maestro spirituale. Una figura pubblica, con tutte le implicazioni a livello comunicativo che questo oggi comporta. Ciò che è accaduto è ormai sulla bocca di tutti, e non può lasciare indifferenti né lo si può beatamente ignorare, rifugiandosi dietro l’autonomia dell’opera d’arte.
È ancora la lettera di Martini a offrirmi una prospettiva altra con cui guardare la questione, stavolta attraverso una citazione di Giovanni Paolo II:
«Ogni autentica ispirazione racchiude in sé qualche fremito di quel ‘soffio’ con cui lo Spirito creatore pervadeva fin dall’inizio l’opera della creazione. Presiedendo alle misteriose leggi che governano l’universo, il divino soffio dello Spirito creatore si incontra con il genio dell’uomo e ne stimola la capacità creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore che unisce insieme l’indicazione del bene e del bello e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l’idea e a darle forma nell’opera d’arte. Si parla allora giustamente, se pure analogicamente, di ‘momenti di grazia’, perché l’essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell’Assoluto che lo trascende» (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, n. 15).
Tornerò nella chiesa che mi è cara. Andrò a pregare e lo farò guardandomi intorno con attenzione maggiore del solito, contemplando per cercare, tra i volti e l’oro e il bianco e il nero, gli sprazzi di luce più nascosti e inusuali, in cui riconoscere momenti di grazia, resi possibili nello Spirito per chiunque, anche per me con tutte le mie miserie.
“Il bello non è una categoria estetica. La bellezza è una categoria metafisica, spirituale.” (Marija Judina)
Un commentatore si chiede se sia meglio il Cristo alla Faustina o alla Celso. Né l’uno, né l’altro. Semmai il Volto è, per tradizione quasi bimillenaria, quello del Mandylion. Purtroppo, in occidente, quella iconografica è una tradizione sostanzialmente travisata, per cui l’approccio iconoclasta (dai Libri carolini in poi) trionfa, anche sotto mentite spoglie, quelle del recupero innovativo. Che poi (cfr. i dubbi dell’Autrice dell’articolo) questo recupero non sia altro che un “impressionante allontanamento da …” non è cosa nuova in questi ultimi sessant’anni della stagione ecclesiastica. Bene è che ci si lamenti del “danno d’immagine” scaturito dalla vicenda. Bene sarebbe se si riflettesse anche sul “danno all’Immagine”, alla singola orrida vicenda non riducibile.
Le iridi nere? Fulgore di colori dove all’oro anche il bianco danno risalto a occhi scuri che per questo acquistano maggiore espressione, comunicano più direttamente con colui, coloro che guardano a lui, e perciò senza perdere l’alone divino si avvicina alla umana natura, tanto che anche barba e capelli lo dimostrano. Il Dio Risorto ha occhi di cielo, non rivolti in basso ma verso l’alto, non ha barba ha lasciato di se qualcosa per identificare meglio ciò che forse saremo cioè rinnovati in un IO che ci identifica ma da risorti? Il successo pertanto di questo artista e motivato, da umano che aspira al divino attraverso l’arte di cui possiede talento. Questa è cosa buona e bella, magari è molto in” nell’oggi a contrastare tanta altra che mercifica il corpo umano, i in modo irrispettoso, lo involgarisce, gli toglie dignità e bellezza
“La bellezza salva il mondo. Ma non si tratta della bellezza estetica, che colpisce i nostri sensi, la vista, l’udito… si tratta invece della bellezza dell’amore che si spende, che si dona”.
Questo vale a tutti i livelli non solo quello estetico/ artistico
Se l’artista, lo scrittore che scrive un libro, se lo studioso che fa conferenze poi nei fatti ( oltre alle nefandezze di cui la stampa ci racconta) vive nella sua torre dorata nutrendo il proprietario ego a scapito delle belle parole dette in pubblico contraddicendo nella vita il messaggio evangelico che si esaurisce lì . Papa Francesco sta da tempo combattendo contro queste storture che nella chiesa sono pervasive e abilmente occultate.
Allora urgente la pulizia degli scandali che fanno notizia ma la pulizia deve essere radicale ( così come è il messaggio evangelico) e non nascondere la sabbia dei tanti troppi indecenti piccoli scandali sotto il tappeto .
Nei pressi di casa mia c’è la parrocchia di S. Ugo, ricordo del cardinale Poletti: un imponente e tristissimo cubo di cemento grigio decorato, all’interno, da alcuni mosaici del p. Rupnik che, almeno nel contesto di quella fredda architettura, assolvono il loro compito di portare un po’ di luce e di calore. Perché l’arte di Rupnik, consistendo in una rivisitazione moderna dei canoni bizantini, è spirituale per sua natura. Il problema non sta nelle malefatte dell’autore (che riguardano la sua persona, non la sua opera) ma nel fatto che per moda, ignoranza, raccomandazioni, presunta mancanza di artisti migliori e che altro si è scelto questo artista anche per decorare luoghi che avrebbero richiesto opzioni diverse e che lo stesso Rupnik, per dire di sì a tutte le commissioni, è venuto meno alla sua ispirazione delle origini (non più mosaici ma più veloci e ripetitivi affreschi in monocromo, vedi Seminario romano). Il troppo successo, non il sesso, è nemico della bellezza.
Sarò iconoclasta, io mai rapita a una dimensione spirituale o artistica dai suoi personaggi i cui occhi neri rimandano a quelli dei bambini tristi di Keane. Occhi neri pupille dilatate: ferite dalla luce? O dalla Luce?
Corpo nero, assorbe tutte le radiazioni. Qui mi interessa sottolineare l’essere fuori luogo: dallo spazio dell’icona.
Articolo su Avvenire, ora imbarazzante, di R.: se una mamma si santifica amando, se un padre si santifica amando, un artista si santificherà allo stesso modo. Totalmente inutile esaltare un’arte se non si è santificato colui che l’ha fatta. Santificarsi significa consumarsi: questa è per me l’arte della vita, l’arte che diventa bellezza.
Lui, che la bellezza dell’altra ha consumato senza ritegno.
Ci fosse un risarcimento, una minima espiazione: occhio per occhio, si direbbe: R. si arrampichi su per tutti i mosaici e le pitture di cui ha riempito troppe chiese e cavi gli occhi neri, facendoli alla fine splendere di luce. Anzi, di Luce.
Credo che ora sia il tempo del silenzio. Ho tanto sperato che si aprisse davvero un tempo ecumenico, anche grazie alle icone di padre Rupnik. Amo la chiesa ortodossa e la tradizione bizantina e russa, la divisione non è un bene. Quel “siate uno” rimane il bene per la Santa Chiesa di Dio. Preghiamo tutti noi per l’unità, che il Nemico non vuole.
Vi ha mai sfiorato l’ idea critica che ,al di la’ degli abusi ora scoperti, fin dall’ inizio si capisse che la cosiddetta arte di Rupnick non fosse affatto spirituale ? Oppure per la semplice notorieta’ e il fatto che la Chiesa proponesse i suoi mosaici ovunque e in maniera anche inappropriata ( penso alla pacchiana Cripta di Padre Pio),senza alcun pensiero critico-estetico, tutti dovevano per forza apprezzarli ? Non esiste coscienza critica ,almeno sull’ arte religiosa, fra i cattolici ?
O dobbiamo trovare belle insulse canzonette moderne ed insulsi mosaici senza porci la domanda: ma non sono forse BRUTTI?
Caro Roberto, in questa vicenda, che davvero mi colpisce in modo forte, sono partita da posizioni addirittura iconoclaste. In particolare pensavo fosse il caso di rimuovere le iridi nere senza pupilla di Gesù e Maria, perché se gli occhi sono lo specchio dell’anima, lo specchio della nostra può certo essere tenebroso, ma il loro no.
Adesso sono in fase di studio e meditazione. Seguo il principio ignaziano secondo il quale, quando si è nella desolazione (fase che non ho ancora superato), non bisogna prendere decisioni, e quindi nemmeno emettere sentenze.
Così, sto.
E ascolto.
Se c’è un servizio che questa vicenda ci offre credo sia quello di far venire alla luce tante dimensioni che diamo per scontate, con le loro storture. Quindi grazie davvero della tua reazione al post, continuiamo a parlarne?
Capisco, Assunta. Ma allora tutto quello che abbiamo detto (e probabilmente Rupnik stesso ha sostenuto nelle sue catechesi) sulla assoluta particolarità dell’ispirazione nell’arte religiosa, anzi spesso liturgica, anzi quasi sempre secondo la spiritualità teologica delle icone ortodosse?? O sono tutte “balle”, o bisogna fare più profondamente i conti con la simbolica religiosa e i messaggi inconsci dell’arte di Rupnik
Quale bellezza salverà il mondo? Credo che l’elenco sarebbe senza numero e definizione per quanto questa possa apparire ma anche trasparire dall’uomo artefice. Se è Cristo manifestazione da parte del Padre;il Padre sin dal Suo manifestarsi al comune mortale lo ha creato per essere “bello”, è stato Maestro presso il suo popolo inspirando la genialità di diventare artisti facendo del suo altare una opera preziosamente ricca anche di bellezza. Cristo e il suo essere Verità e bellezza,luce sfolgorante per il mondo,il suo Natale lo ha innondato per secoli fino a raggiungere noi oggi. C’è però chi si lascia illuminare di questa luce sua e anche chi ammira quella che si è creata da se stesso. La luna e il sole sono vita per l’uomo, bellezza poetica, calore che come l’Amore raggiunge i sentimenti delcuore
Sarò sl solito ‘radicale’..
1) tra i miei Maestri annovero Silvio Ceccato:
ognuno di noi, meglio.. la sua mente, di fronte ad un’opera coglie motivi DIVERSI.
Quindi bellezza, come tutto, ê relativa.
2) Gesú Cristo. BELLO alla Kowalska o piccolo e brutto alla Celso? Quale preferite? Io il secondo. E punto sulla Sua autorevolezza, dul pieno di senso’..
E questo porta sl . successivo..
3) La tesi dell’Universo che manifesta la Bellezza di Dio nn sta in piedi, salvo rivedere il concetto di Bellezza alla luce di 1) e 2). E il senso che imo emerge è di un Dio che ha BISOGNO dell’Uomo e viceversa. Nn mi dilungo…
4) da quanto sopra, se rimurginato, si ricava che tra le tantissime revisioni necessarie x la nostra Chiesa c’è anche quella di abbandonare l’Illuminismo, che con grosso equivoco ha sposato e sposa ( basta vedere i temi trattati dai ns media..🥹), di cui fa parte l’estetica, specie moderna.
Iam satis..