Qualche giorno fa mi trovavo in una parrocchia romana durante la festa patronale; una parrocchia numerosa, con una grande e bella comunità. In attesa di gustarmi lo spettacolo teatrale messo in scena da alcuni miei alunni, mi sono affacciato in chiesa perché un noto teologo (non per me, che non lo conoscevo) stava tenendo una conferenza dal titolo “La Chiesa che faremo”. Ho potuto ascoltarne solo poche frasi estrapolate da un contesto più ampio, perciò le riflessioni che ne sono conseguite magari non erano nell’intenzione del relatore, «di cui è bene e pio si taccia anche il nome» per evitare di attribuirgli idee non sue.
Stava raccontando di quelle esperienze sacerdotali in Nord Italia, dove spesso i parroci si trovano a gestire più parrocchie, lontane tra loro, riuscendo a malapena a soddisfarne le esigenze, non necessariamente poche. Non era la prima volta che sentivo questo abusato esempio per descrivere la faticosa vita del “povero sacerdote” e ogni volta mi sono chiesto -senza risposta- come mai il relatore di turno, anziché cercare di muovere a compassione il pubblico sul destino dei preti, non usasse questo esempio per proporre un coinvolgimento diverso della comunità cristiana: non più in balia il parroco, ma partecipe con lui della vita parrocchiale. Lontano dall’Italia ho conosciuto delle comunità rurali semi isolate, in cui il prete veniva una volta al mese; ma in ciascuna di esse la maggior parte delle necessità erano gestite dalla comunità stessa, attraverso animatori e animatrici competenti, catechisti, ministri straordinari, ecc. Insomma, se non bastano i preti, piuttosto che compiangerli, perché non se ne modifica il ruolo, in modo da riconoscere maggiore responsabilità ai laici (uomini e soprattutto donne) nella gestione della “casa comune”?
Io vivo a Roma, il centro della cristianità, non certo una realtà sperduta in montagna: una diocesi che conta quasi quattrocento parrocchie che si contendono oltre due milioni di fedeli, più altrettanti di altre confessioni o non credenti; una diocesi ricca di sfide e problemi assai complessi. Tuttavia, se si escludono i servizi sacramentali essenziali (catechesi di base, liturgia, confessioni…), le comunità romane sono spesso in affanno, abituate come sono a dover stravolgere tutto al cambio del parroco, sentendosi più sudditi che parti in causa nella gestione degli affari parrocchiali (il che è anche più comodo).
Poco prima dell’inizio del confinamento pandemico, il prof. Mario Pollo presentò il suo rapporto sui giovani diocesani dal titolo eloquente “Il futuro negato”, in quell’occasione l’allora direttore del Servizio per la Pastorale Giovanile confessò che se non fosse stato per i movimenti (Scout, ACR, Salesiani…) meno del 10% delle parrocchie romane sarebbe stato in grado di offrire percorsi formativi adatti ai giovani e ancora inferiore la percentuale di quelle interessate a realizzarli concretamente. Anche i servizi assistenziali sono forniti da relativamente poche realtà parrocchiali, che dopo il COVID sono diminuite ulteriormente: perché aiutare è oggettivamente sempre più difficile e serve formazione, i volontari sempre più anziani e poco coordinati, perciò chi ha bisogno di aiuto si rivolge ai centri gestiti da enti importanti come Caritas o Sant’Egidio, bypassando le parrocchie.
Nel mio piccolo, in un paio di occasioni ho provato a mettere in rete la mia parrocchia con quelle vicine per progetti di carità e di catechesi. In ciascuna occasione, le attività non hanno costituito un aggravio di lavoro per i parroci di turno, i quali a malapena sapevano di che cosa si trattasse, sostenendo poco o per nulla il progetto. Per non parlare di servizi più complessi, come quello in ospedale o in carcere, il cui svolgimento è gestito da cappellanie specifiche, senza coinvolgere le parrocchie del territorio. Scriveva Andrea Riccardi già dieci anni fa, ricordando il convegno “Sui mali di Roma” voluto e animato dal duo profetico Poletti – Di Liegro, che nella nostra diocesi «ci sono frammenti preziosi, tanta gente per bene, però bisogna metterla insieme perché la grande tentazione è rinchiudersi nelle isole».
L’anno prossimo ricorre il cinquantenario di quel convegno e Roma è ancora quella stessa disincantata terra di missione, che vive dinamiche più complesse di allora, con comunità meno coese ad affrontarle. Come accoglieremo il Giubileo tra due anni? Che Chiesa vogliamo diventare?
Mentre ragionavo su queste cose, ho alzato gli occhi sull’abside della chiesa, notandolo particolarmente spoglio e cupo: che fine avevano fatto le coloratissime pale d’altare che lo adornavano? Mi sono chiesto, forse troppo maliziosamente, se non fossero state rimosse perché troppo legate al parroco precedente, che le aveva dipinte… in quel caso chi l’ha deciso, l’attuale parroco o la comunità?
Leggo su
“Alzo gli occhi verso il cielo”
Un intervento di Cettina Militello documentato e sofferto sulla liturgia.
Leggendolo mi/vi sono chiesto:
Supponiamo per ipotesi di riuscire, complice il Sinodo, a rinnovare cambiando tutte le negativitá denunciate da Cetti a ( e supernote a tutti noi..😭😭)…
Imo tornerebbero ben poche pecore.
Spesso si dimentica di leggere la REALTÁ.Oramai il “centro” è altrove.. la loro Sinagoga, la nostra Ecclesia non attraggono piú. Cambiato il Teatro, gli Attori preferiti ed ascoltati, i temi.. il tutto in dinamica evoluzione continua.. i.e. abbiamo perso il treno, inebetiti ci guardiamo in faccia tra di noi, tra poco mancherá lo stesso parlare e resterá solo la preghiera.
Chiesa del futuro?
Ma quando tornerá troverá gente che crede??
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Esimio Aldo, non sono d’accordo, la fede vera è Cristocentrica e non mera religiosità della domenica.
Dio sta con chi è Nato di nuovo, e questi è chi, conoscendo il proprio stato di peccatore, si è Ravveduto, e avendo creduto che Gesù Il Figlio di Dio, è morto per i propri peccati, e risorto per la propria redenzione,
ecco che, a LUI ha chiesto di avere La Vita. Gv. 5, 39-40.
Ecco ha creduto nel Figlio di Dio e non nelle proprie opere o presunti meriti, e questi sono i salvati , non perchè hanno una specifica etichetta religiosa, ma perche hanno creduto in LUI per il perdono dei loro peccati “Atti 26, 18”,
e hanno per la fede in LUI “Gesù Cristo” ricevuto la caparra dello Spirito santo, “e camminano mostrando il Frutto dello Spirito, non quello della carne….”
Chi non si è ravveduto e a LUI non si è rivolto, è ancora legato nei suoi peccati, e cammina nella carne,
perchè E’ LUI ,Il Signore Gesù, che rende liberi “Gv 8, 36”.
Invito a leggere qui https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/chi-decide-nella-chiesa/
e qui https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/chi-decide-nella-chiesa-2/
Penso che ci sia un Codice di Diritto Canonico da riformare. Il prete o presbitero è al centro di tutto, il CDC enfatizza la sua figura…denigrando delicatamente tutti gli altri. I consigli pastorali sono consultivi e l’ultima decisione spetta al parroco…i consigli per gli affari economici obbligatori ma sono sempre presieduti dal parroco. Nel cammino sinodale tutte le relazioni delle comunità vanno a finire al collegio episcopale come se questo fosse estraneo e non decisivo nel marasma pastorale in cui versa la Chiesa. Se non si cambiano le norme ecclesiastiche inutile che facciamo sogni di corresponsabilità.
Chissa’ come andranno bene le parrocchie quando ci saranno i laici//laiche ,a dirigerle…togliendo ogni autorita’ ai”preti” che combinano solo guai . I preti devono essere esautorati. Perche’ sicuramente la/o zelante e anziana( vista l: eta’ media) parrocchiana/o , ne sa di piu’ di tutti i preti ,vero, di economia e di ogni altra cosa. La/o zelante parrocchiana/o portera’ la parrocchia al suo massimo : peccato non possa dire Messa, confessare , trasformarsi in un parroco….ma ci arriveremo. Il laico “trans ” trasformato in parroco perche’..si sente parroco !
Semplice, i preti non vogliono mollare, devono controllare tutto ed escludere tutti, non sono stati educati che all’individualismo sfrenato… Sinodalità e condivisione sono solo refrain di moda per accontentare il Papà ma poi se ne infischiano.
Si parla tanto di corresponsabilità e sinodo , ma finché ci saranno preti che , nonostante l’offerta e la buona volontà delle persone, vogliono far loro o tirare i ragionamenti in base al loro pensiero, non andiamo avanti.
Perché alcuni non mollano la borsa, preferiscono vedere affondare parrocchie nell apatia e nel degrado piuttosto che lasciare la posizione da principe, preferiscono parrocchiani bambini che adulti responsabili. Capita anche che dopo anni di malagestione ci si ritrova debiti di centinaia di migliaia di euro sulle spalle del successore o addirittura milioni sulle spalle della diocesi. Le parrocchie dovranno essere vissute da persone responsabili sia per le esposizioni bancarie (vai in banca e ipotechi la casa) di pagliacci trionfi si può farne a meno