Di documenti e lettere pastorali ne ha lette, corrette e abbozzate molte nel suo precedente ruolo di responsabile della comunicazione (e sottosegretario) della Conferenza Episcopale Italiana, ma ora mons. Ivan Maffeis si è trovato a scrivere di suo pugno la prima Lettera pastorale ad un anno esatto dalla “chiamata” del Papa ad arcivescovo di Perugia-Città della Pieve (al posto del cardinale Gualtiero Bassetti) dopo appena due anni di rientro nel suo amato Trentino, a Rovereto e vicini paesi di montagna.
Finora in quel di Perugia non aveva rilasciato interviste con “prime impressioni” o scelte prioritarie (anche se a giugno quasi la metà dei suoi sacerdoti hanno concordato con lui un avvicendamento innovativo dell’attuale assetto diocesano), per cui c’era una certa attesa verso questa prima Lettera, non solo dai fedeli, ma anche da parte di “colleghi” vescovi e comunicatori che stimano lo stile mite del sacerdote, collaboratore domenicale in una parrocchia della val Rendena anche durante i suoi anni romani. E “don Ivan, vescovo” – come ha firmato il teso di una trentina di paginette in formato tascabile – non ha certo deluso con il suo stile giornalistico, scorrevole e comprensibile da tutti, “incarnato” nell’attualità. (Così riassume gli ultimi mesi: “La cronaca estiva ci ha messo sotto gli occhi episodi in cui a farla da padrone è la povertà di senso. Diciasettenni che mettono a ferro e fuoco città, saccheggiando negozi di marca. Minorenni accusati di aver trasformato una festa in violenza e abuso ai danni di ragazzine. Femminicidi quotidiani, compiuti da chi confonde l’amore con il possesso, la persona con la cosa”.)
La “sorpresa” più interessante sta però nel fatto che la Lettera fa proprie le principali istanze emerse dalla fase ascolto ed espresse in una serie di testi inviati direttamente dalle unità pastorali e altre realtà: intingendo la sua penna “nel calamaio di questo materiale così ricco” don Ivan riprende le constatazioni e le risposte più condivise, sostenendole con l’invito a valorizzare i “punti di forza” senza farsi frenare da quel pessimismo che non viene dallo Spirito Santo. Lo schema è quello esigente delle tre richieste rivolte dal Papa ai vescovi italiani nell’ultima Asssemblea CEI di maggio, applicato però alla realtà umbra, realisticamente descritta con i suoi “punti di forza” e anche le sue fatiche legata al campanilismo, all’affanno dell’attivismo, alla sottovalutazione degli organi collegiali, al “si è sempre fatto così”.
Per non distogliere da una lettura integrale, piace segnalare solo due passaggi: il “salvataggio” delle piccole comunità e la “riconversione” della Curia (i termini tra virgolette non sono di don Ivan). Sul primo tema, dibattuto anche nell’ultimo convegno del COP, ecco quanto scrive Maffeis: “Personalmente, avverto l’importanza che anche le comunità più piccole non si sentano semplicemente destinate a venire accorpate a quelle più grandi: alcune scelte andranno nella direzione di un’unificazione, anche per favorire una partecipazione qualificata – penso, ad esempio, ai percorsi formativi, alle proposte rivolte al mondo giovanile o alle iniziative di animazione alla carità – ma con l’attenzione a far sì che anche nella realtà meno numerosa non venga a mancare una presenza significativa dell’esperienza ecclesiale. Per non disattendere questo risultato credo sia opportuno costituire sul territorio delle equipe di persone, sapientemente formate e cordialmente legate al Vescovo, che lavorino in sintonia con il sacerdote che le presiede”.
Il secondo punto comporta l’esigenza di riconvertire l’assetto curiale in una prospettiva di forte decentramento, dove la Curia è chiamata “ad accompagnare e sostenere la vita delle nostre unità pastorali”. Si legge infatti: “Alla Curia si chiede, in particolare, di ripensarsi non più secondo la ripartizione degli uffici, ma in agili aree pastorali e di interloquire maggiormente con il territorio e le sue effettive necessità. In ambito economico amministrativo c’è la consapevolezza che la trasparenza e la condivisione delle informazioni – tanto a livello diocesano che parrocchiale – rimangono la via per alimentare la fiducia e l’appartenenza”.
La Lettera non si conclude con consegne tassative, se non quella di vivere con passione la prevista Assemblea diocesana di ottobre, il momento sinodale nel quale si attende qualche prima scelta che sarà all’insegna del titolo “Il coraggio dei passi”, ovvero di un’esigenza di cambiamento.
…. maggiormente con il territorio e le sue effettive necessità. In ambito economico amministrativo c’è la consapevolezza che la trasparenza e la condivisione delle informazioni – tanto a livello diocesano che parrocchiale – rimangono la via per alimentare la fiducia e l’appartenenza”
dipende sempre chi ti trovi di fronte, alcuni prima di mollare le palanche si fanno cavare tutti i masaler