Uno dei libri più sorprendenti che mi sia mai capitato di leggere è senz’altro Le parabole di Gesù – I racconti enigmatici di un rabbi controverso (ed. Effatà). L’autrice si chiama Amy-Jill Levine, ebrea ortodossa, docente di Nuovo Testamento all’università di Vanderbilt (Tennessee, USA), membro del comitato di redazione di Donne Chiesa Mondo, supplemento dell’Osservatore Romano, e visiting professor al Pontificio Istituto Biblico di Roma.
La domanda di partenza della sua ricerca, apparentemente innocua e quasi ovvia, è: come comprendevano le parabole di Gesù i suoi ascoltatori del I sec. d.C.? Avevano sicuramente un contesto culturale diverso dal nostro, il quale – per altro – è stato in parte formato proprio dalle categorie di pensiero introdotte dal messaggio di Cristo, così come è stato compreso e cristallizzato nei secoli. Chi ascoltava Gesù per la prima volta necessariamente possedeva un altro background e a partire da quello attribuiva significati alle “storie” raccontate da lui.
Fin qui tutto liscio, no? Bene, allora proviamo a seguire l’analisi che la Levine fa di queste storie, e vediamo cosa ne viene fuori. Cominciamo da una delle più famose, quella che per secoli è stata intitolata Il figliol prodigo, mentre ultimamente in ambito cattolico viene indicata come Il padre misericordioso (Lc 15,11-32). La Levine riferisce che san Girolamo la intitolava: Il prodigo e il giudizioso, mentre i cristiani del Libano la conoscono come Il figlio furbo. L’autrice dichiara inoltre che, nelle sue fasi più ciniche, la individua come La parabola della madre assente. Ogni diverso titolo ci offre evidentemente una diversa prospettiva sul testo!
L’interpretazione prevalente di questo racconto si riferisce al peccatore pentito. Il padre rappresenta Dio, il figliol prodigo il cristiano peccatore che si pente dei suoi peccati, mentre il figlio maggiore nella interpretazione dei padri (Girolamo, Agostino) rappresenterebbe l’incorreggibile Israele, che obbedisce al Padre più per senso del dovere che per amore. Per inciso, la Levine evidenzia come nella tradizione cristiana si sia cristallizzato lo stereotipo dell’ebreo ipocrita e legalista, che si limita a seguire pedissequamente la legge senza comprendere il senso profondo della misericordia e dell’amore di Dio. Sappiamo bene quanto questi stereotipi abbiano contribuito nei secoli al consolidarsi dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo con tutte le note e drammatiche conseguenze.
La Levine collega questa parabola con le due immediatamente precedenti: la pecora smarrita (Lc 15, 4-7) e la moneta perduta (Lc 15, 8-10). Nel testo lucano, l’evangelista afferma nel primo caso: “Vi sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte che per 99 giusti”; e nel secondo: “Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. Ma risulta un po’ difficile capire in che cosa una pecora possa aver peccato, e ancora di più una moneta!
Matteo, invece, pone gli stessi racconti in una prospettiva differente: “Guardate di non disprezzare neppure uno di questi piccoli […] la volontà del Padre vostro che è nei cieli è che neanche uno di questi piccoli si perda” (Mt 18,12-14). Qui non si tratta di perdonare un peccatore pentito, ma di ritrovare qualcuno o qualcosa che si è smarrito.
In questa prospettiva, anche la parabola del figliol prodigo assume un nuovo significato: se nella tua famiglia (o nel tuo gruppo di riferimento) qualcuno si è perduto, vallo a cercare! E questo vale per il figlio spendaccione che torna sui suoi passi, ma anche per il figlio fedele, che covava dentro di sé una rabbia che lo rendeva “perduto” anche se non si era mai allontanato dalla casa di suo padre.
E allora, forse, queste parabole ci invitano a vigilare, a cercare e a trovare chi si è smarrito, che sia una moneta, una pecora a o un figlio. E poi a rallegrarsi per ciò che abbiamo ritrovato, a costruire percorsi di riconciliazione (a livello personale, familiare o internazionale), a fare festa e a scoprire che in questo processo c’è un enorme potenziale di completezza e di gioia.
Per chi ha ascoltato per la prima volta queste parabole di Gesù, il tema, dunque, non era tanto il peccato e il perdono, quanto l’importanza di costruire le relazioni non lasciando che nessuno si perda e di coltivare la fedeltà e la gioia. Già in questo primo caso, lo spostamento di significato appare sorprendente e molto interessante. Ma con la parabola del fariseo e del pubblicano e, soprattutto, con quella della vedova e del giudice lo straniamento – come vedremo domani – risulterà essere ancora maggiore.
Le Parabole hanno la preziosità di essere verità in se stesse, insegnamento, via da seguire. Parlano all’uomo di ogni tempo, a quelli contemporanei di Cristo fino a noi come ogni interpretazione qui citata chiarisce. Sono come sonda che in ogni uomo qualsiasi stato egli sia fa luce e propria interpretazione. Prendere altre strade, vuol dire perdersi; come perdere la dracma, là si cerca perché vitale, e’ la via per tornare al Padre. Quale famiglia non ha un figlio che appare più difficile da seguire? Eppure lo si ama più quasi di tutti gli altri, si da a lui di più, si soffre di più, per conseguenza un genitore che ama, doppiamente e felice quando quel figlio lo riconosce nell’amore. Del resto, nella Bibbia Dio nei confronti di Israele, di quel popolo fatto suo quante volte lo ha e castigato per correggerlo e perdonato , assicurando la Sua Alleanza per sempre. Cristo è quel Germoglio nuovo che tutto il genere umano porta a salvezza.
Buongiorno. Le relazioni che diventano un marchio che contraddistingue il cammino di fede. Risposta anche a
nostri ragazzi che al termine della ‘ obbligatoria formazione dottrinale, abbandonano ogni forma di approfondimento sulla Parola .