La felicità di chi capisce ciò che conta

«Poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo»
30 Luglio 2017

XVII domenica del tempo ordinario: Mt 13,44-52

PARABOLA DEL TESORO NASCOSTO (Rembrandt, 1630, Budapest, Museo di Belle arti)

 

La parabola più corta è concentrata in un versetto: un racconto secco, senza commento (chi vuol capire, capisca), però prezioso (come il tesoro di cui parla).

Per non ritenerla una storiella di poco conto, osserviamo l’abilità del narratore. Che, in un tweet ante litteram, riesce a ritrarre un uomo benedetto da Dio. Mostrando che – oltre al protagonista – sono sufficienti un aggettivo (pieno di gioia) e quattro verbi in sequenza, a dire la rapidità delle operazioni compiute (come se, da un momento all’altro, tutto potesse svanire): trovare il tesoro, rinasconderlo, vendere i propri averi, comprare il campo.

Vale a dire: l’uomo fortunato ha da essere anche furbo. Se l’evento iniziale è un dono, i tre verbi successivi dicono l’accortezza di chi, sentendo di avere il biglietto del primo premio della lotteria, non intende perderlo né farselo rubare. Per cui, anzitutto, cerca di proteggerlo (amministrare una ricchezza è un tema ricorrente nelle parabole); poi, per fargli spazio, dà via ciò che possiede.

È interessante la velocità dei movimenti, a dire che, assieme allo spazio, è importante il tempo (altrimenti il gelato si squaglia). Quelle azioni non sono rimandabili. La decisione di svoltare è l’equivalente – in linguaggio catechistico – della conversione: non appena si capisce ciò che conta veramente, si deve agire di conseguenza. Certo, di quel valore bisogna essere convinti: il dramma è di non accorgersene e di non fare piazza pulita di ciò che conta poco.

L’opera d’arte rende evidente il limite delle figure, quando danno contorni a qualcosa – il tesoro – che era preferibile ne restasse privo, lasciando spazio all’immaginazione. Sebbene il pittore non sia uno qualunque, avrebbe forse fatto meglio a non rappresentare le cose rinvenute, limitandosi a un’espressione di meraviglia o di felicità. Spesso il tesoro è interno a noi, inestirpabile, non trasferibile… e gli va solo liberata la stanza rapidamente. È fatto di relazioni preziose, più che di cose.

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