Chi detta l’agenda?

Anche in una festa che sembra mettere a tema la geografia, si può provare a parlare di tempo e storia. Lo spunto viene dall'annuncio del giorno di Pasqua.
6 Gennaio 2023

Ad una prima impressione, le parole del profeta Isaia che ascoltiamo nella solennità dell’Epifania sembrano proprio didascalie alle scene dei nostri presepi: re che camminano allo splendore del sorgere (della stella), stuolo di cammelli, doni preziosi.

Ovviamente le parole del profeta ci dicono di più. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. Con questa visione, nell’ultimo giorno del tempo di Natale, sembra che si chiuda il cerchio, nel senso che trova compimento la visione, dal medesimo libro profetico, che avevamo ascoltato nella I domenica d’Avvento: il monte del tempio del Signore sarà saldo… ad esso affluiranno tutte le genti. Evidentemente la visita dei Magi, letta con la filigrana dei brani di Isaia, manifesta la convocazione universale nel nuovo Popolo di Dio. “I Magi rappresentano gli uomini di ogni parte della terra che vengono accolti nella casa di Dio. Davanti a Gesù non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità” (papa Francesco nell’omelia dei 6 gennaio 2016). Non è insegnamento di poco conto.

Eppure l’Epifania non è solo festa etnografica, con la geografia a farla da padrona. Un’altra chiave di lettura di questa solennità viene dalla filosofia (e anche dalle scienze), se è vero che i Magi sono immagine di coloro che cercano Dio con cuore sincero.

Infine, a margine, fa capolino anche un’altra disciplina: la storia. Infatti, in tutte le messe di oggi, dopo il Vangelo, viene letto il solenne annuncio del giorno di Pasqua.

“La gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Riecheggiano le parole del prologo di Giovanni, con un evidente (e consolante) paradosso: la gloria del Signore, Parola fatta carne, si manifesta in un bambino che appena balbetta (se alla visita dei Magi aveva meno di due anni) e vive in una casa di gente comune.

A seguire le parole dell’annuncio sembrano dettare un’agenda: “La domenica di Pasqua il 9 aprile… Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 22 febbraio. LAscensione del Signore, il 21 maggio. La Pentecoste, il 28 maggio. La prima domenica di Avvento, il 3 dicembre.” La (sparuta) pattuglia dei frequentanti assidui prende nota.

Se, invece, rimaniamo nella metafora dell’agenda, il discorso si fa problematico. “Dettare l’agenda” è espressione del linguaggio comune, nel senso di occupare una posizione di rilievo, tanto da poter fissare le priorità. Può essere così per la Chiesa? Lo è mai stato?

In questo cambiamento d’epoca, c’è una parola che di tanto in tanto riaffiora nei nostri discorsi: irrilevanza. Se è vero quello che scrivevano ieri alcuni amici qui su VN, “gli increduli sono altrimenti credenti, i senza religione sono persone spirituali, i credenti di oggi potrebbero essere gli agnostici o gli atei di domani”, oggi siamo noi cristiani a balbettare su quello che dovrebbe essere il nostro specifico, come se fossimo sprovvisti di comprensione e financo di un dizionario adeguato per dire la nostra speranza. La discussione interna, dunque, ripiega sulla riorganizzazione delle strutture, che vuol dire spesso (o dovrebbe voler dire) ripensamento, snellimento, in qualche caso dismissione. Figuriamoci se siamo in grado di dettare un’agenda.

D’altra parte, proprio la notte di Natale abbiamo riascoltato il racconto di Luca, che si apre con il ricordo del censimento ordinato da Augusto. L’agenda della famiglia di Maria e Giuseppe, anche loro irrilevanti per le cronache ufficiali, viene decisa dal potere mondano, che ha bisogno di contarsi per contare. E, dopo poco, l’ossessione di Erode obbliga quella stessa famiglia a cercare rifugio in terra straniera.

Dismessa la velleità di dettare un’agenda che non sia quella liturgica, altre parole di quell’annuncio rituale rimangono pregne di significato.

“Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.” Ritmi e vicende: cose che si ripetono, o che seguono il loro corso naturale, e cose che succedono. Il 31 dicembre ciascuno di noi ha guardato all’anno trascorso, per abbozzare un bilancio; il 6 gennaio siamo quasi invitati a mettere qualche punto fermo. Accanto ai generici buoni propositi e alle belle speranze, sicuramente c’è chi attende eventi importanti: una nascita, il compimento di un ciclo di studi, una nuova posizione lavorativa, un matrimonio, un trasloco, l’agognata pensione…. E poi ci sono, e ci saranno, le cose che succedono, quelle che più o meno ti aspetti e quelle che non ti aspetti. Possono essere cose belle, oppure cose tristi; in tutte ci sforziamo di vedere un mistero di salvezza. Con la consapevolezza che di salvezza abbiamo bisogno e che, misteriosamente, tutti veniamo salvati, anche se in un modo che ancora non capiamo bene. Con la consapevolezza che abbiamo ricevuto, e riceveremo, grazia su grazia.

A noi uomini torna comodo distinguere tra microstorie, personali e familiari, e macrostoria, quella a dimensione nazionale, o continentale, o planetaria. E, almeno a me, capita spesso di ripiegare sulle microstorie; la macrostoria è solo subita, come è stato per il movimento migratorio, la pandemia, le guerre, le crisi economiche… Un buon proposito potrebbe essere quello di allargare un po’ lo sguardo e farlo diventare più profondo e gravido di impegno.

“A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli.” Il tempo, dono, si riempie di storia; dell’uno e dell’altra, Cristo è Signore. Nel dono del tempo, come il Bambino, possiamo e dobbiamo crescere, meditando, come la Madre, sulla storia, in tutte le sue dimensioni.

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