Attenti a chi ha bisogno

«Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti»
25 Settembre 2016

XXVI domenica del tempo ordinario: Lc 16,19-31

IL RICCO SENZA NOME E IL POVERO LAZZARO (1110-30, Moissac, Abbazia di San Pietro)

 

Sullo sfondo della parabola, è sempre la ricchezza… a farla da padrone. Stavolta per la sua capacità di mettere distanze. «La ricchezza rende ciechi», scrive Bruno Maggioni: senza bisogno di odiare l’altro, è sufficiente non vederlo o essergli indifferenti per erigere un muro invisibile, capace di impedire ogni relazione.

Il ricco viene talvolta soprannominato epulone, cioè mangione, perché banchettare è ciò che sa fare meglio. Tuttavia, nella parabola, è privo di nome. Potrebbe egli stesso non averlo mai fornito, proprio per non accorciare le distanze, per un rifiuto di mettersi in comune, di lasciarsi conoscere…

Ed è senza nome anche il suo tenere alla larga i poveri. Non mescolarsi, ritenersi superiori, non sopportare di avere qualcosa in comune (e anzi essere felici di non aver nulla da spartire), pensare di poter percepire uno stipendio o una pensione nettamente più alti, far fare anticamera… se non sono peccati, ne stanno creando il terreno di coltura.

Tra le figure generate dalla parabola del ricco e del povero, alcune si limitano a mostrare il non-rapporto tra i due in vita: da una parte il ricco che banchetta e dall’altra il povero, non ammesso al banchetto e in compagnia dei cani che gli leccano le piaghe.

Altri artisti, invece, danno peso alla seconda parte della parabola, a ciò che avviene dopo la morte dei due. E, in alcuni casi, li utilizzano nei giudizi universali (ad es. a Novacella, Torcello, Otranto, Soleto, Istanbul ecc.), come spunto per rappresentare la divisione tra eletti e dannati.

Il bassorilievo di Moissac (cittadina situata su uno dei cammini verso Santiago di Compostela, nella Francia meridionale), mostra quattro tempi della storia raccontata da Gesù. Procedendo da destra verso sinistra, dapprima incontriamo i due protagonisti nell’al di qua: vicini fisicamente, eppure separati da una parete. Subito dopo, un angelo – accanto all’albero della vita – porta in cielo l’anima di Lazzaro. Più in là è Abramo, con Lazzaro in grembo, e infine Abramo da solo, nell’atto di pronunciare le parole della Scrittura.

Che sono durissime. Perché, dagli inferi, il ricco finalmente vede il povero. E supplica Abramo affinché Lazzaro, bagnatasi la punta del dito, vada a bagnare la lingua a lui. Gli basta pochissimo, ora. Ma il padre nella fede, pur chiamandolo «figlio», gli risponde in sostanza: «E come si fa? Non vedi l’abisso che c’è tra noi e voi?». Così, senza nominare la ricchezza, ne fa notare i frutti.

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