Sabato 26 ottobre si è svolta la terza manifestazione per la pace con una copertura nazionale dopo quelle del 5 novembre 2022 e quella del 7 ottobre 2023. Il titolo era “Fermiamo le guerre. Il tempo della pace è ORA”. L’idea è stata quella di coinvolgere un arcobaleno di città: Bari, Cagliari, Firenze, Milano, Palermo, Roma, Torino, tutte unite, come lo spettro di colori dell’arcobaleno dall’unico tema. Cinque le Reti promotrici della Giornata (Europe for Peace, Rete italiana Pace e Disarmo, Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, AssisiPaceGiusta, Sbilanciamoci.
A Roma hanno partecipato oltre ventimila persone, un numero lontano dalle centomila di due anni fa, quando però tutta l’Italia era convenuta in piazza San Giovanni. Il corteo, insieme con gli striscioni di varie realtà associative, tra le quali in testa spiccava lo striscione di Emergency, e con un numero elevato di manifesti che hanno dato voce alle vittime palestinesi a Gaza, era spiccatamente colorato di rosso, oltre alle bandiere arcobaleno della pace.
Indubbiamente la CGIL è stata ancora una volta capofila nell’organizzazione e il suo segretario Maurizio Landini, che ha chiuso gli interventi della manifestazione sul palco allestito di fronte al Colosseo, è stato l’unico leader che ha parlato qui a Roma per tre anni consecutivi, dopo aver condiviso il palco due anni fa con don Luigi Ciotti e con Andrea Riccardi. Nel corteo erano presenti vari rappresentanti dei partiti del centro-sinistra e della sinistra italiana.
Questo potrebbe prestarsi, a mio parere, ad una lettura sin troppo semplificata dei contenuti, quasi a tracciare un’equazione secondo la quale chi chiede, ormai da anni, la pace, si identifichi semplicemente con questa corrente politica; o, peggio, che chi chiede insistentemente la pace, sia, di fatto, “filo-putiniano”. Mi sembra invece interessante sottolineare le caratteristiche non “di parte” di chi si sforza di costruirla e promuoverla.
Propongo perciò un accostamento suggestivo tra i luoghi che hanno visto il nostro corteo snodarsi per le vie di Roma, da Porta San Paolo a quel Colosseo che ormai per tradizione consolidata vede svolgersi l’esercizio della Via Crucis ogni Venerdì Santo: luoghi deputati a richiamare la testimonianza dei martiri della fede, a tutti quelli che oggi, e negli ultimi tre anni in particolare, possiamo definire come martiri delle ingiustizie.
Chi sono queste vittime?
Partiamo dall’analisi dei conflitti. Al momento sono registrati conflitti armati in 240 nazioni e territori. Nel 2023 si sono aumentati del 12% rispetto al 2022. Una persona su sei al mondo vive in un’area in cui è in corso un conflitto. Nel 2023 si sono registrati 147.000 eventi e 167.800 vittime. Secondo l’Indice dei Conflitti 2024, stilato da ACLED (Armed Conflict Location & Event Data) in base a quattro indicatori chiave (mortalità, pericolo per i civili, diffusione geografica del conflitto e frammentazione dei gruppi armati), nei 234 paesi rilevati i primi 50 sono classificati come “estremi”, “alti” e “turbolenti”.
Tra i primi 10 paesi, quelli in cui il livello della violenza è estremo, abbiamo al primo posto il Myanmar, seguito da Siria e Palestina. Lo Yemen è al nono posto. I paesi africani sono la Nigeria e il Sudan. Il continente americano registra la presenza di Messico, Brasile, Colombia ed Haiti. Si tratta per queste ultime tre nazioni su quattro di democrazie parlamentari, ma afflitte da conflitti di bande armate presenti in maniera diffusa e violenta sul loro territorio.
Analizziamo il business della vendita delle armi. Secondo il rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), l’esportazione di armi degli Stati Uniti, il più grande fornitore di armi al mondo, sono aumentate del 17% nel 2019-2023 rispetto al quinquennio 2014-2018, mentre quelle della Russia sono diminuite di oltre la metà (-53 percento). Le esportazioni di armi della Francia sono cresciute del 47% e hanno superato di poco la Russia, diventando il secondo fornitore di armi al mondo. Tra le prime dieci, l’incremento maggiore a livello mondiale è dell’Italia, che ha avuto un’impennata dell’86 per cento. USA ed Europa da sole esportano il 72% delle armi a livello mondiale. I maggiori importatori sono India, Arabia Saudita, Qatar e Ucraina.
Passiamo infine ai tagli. Se i soldi vanno alle armi, bisogna tagliare su istruzione, sanità, politiche sociali, programmi di alimentazione. Un’ora di volo di un F35 costa 40.650 euro. Un missile Meteor per F-35 1.200.000 euro. Un veicolo costa 80 milioni.
È chiaro che gli obiettivi dell’Agenda 2030 sono ben che negati; del resto, le continue risoluzioni prodotte dall’ONU non solo non sono ratificate da buona parte dei paesi interessati; l’ONU stessa è attaccata in maniera esplicita, da chi ritiene di giustificare la sua azione bellica e per portarla avanti non rispetta il diritto umanitario internazionale di protezione per le popolazioni civili. Se vogliamo parlare di ambiente e clima, non è un mistero che il carburante di aerei e altri mezzi militari, l’impatto di vari ordigni sul terreno, da quelli convenzionali a quelli all’uranio impoverito, portano a tutte le conseguenze e i risvolti che dureranno nei decenni a venire.
I dati ci aiutano a leggere ed interpretare la realtà, come negli anni ’50 apriva un mondo a chi si occupa dell’educazione e dei temi della società civile don Lorenzo Milani con quelli riportati nei suoi testi Esperienze pastorali e Lettera ad una professoressa. Se purtroppo queste considerazioni vengono ignorate da chi ha interesse a vendere armi e ad alimentare guerre, speriamo possano convincere qualche persona in più che le ragioni della pace sono più logiche di quelle di chi propaganda la guerra, venduta come garante dei diritti, dei beni e della prosperità delle nazioni interessate. Chi vive in Myanmar, in Siria e in Palestina ce lo può testimoniare.
Questa adunata di popolo che manifesta sfilando con striscioni contro il perdurare di guerre che falcidiano vite umane anche di cittadini inermi, il ripetersi con insistita e da più parti voce che si fa lamento di popoli, e’ come cuore aperto della umanità in sofferenza. Ognuno invoca il proprio Dio tanto sembra inascoltato questo grido non più trattenuto , con un resto di speranza, il Quale sembra a sua volta attendersi un risveglio di coscienza dai governanti di tante genti . E’ solo cedendo a questo ascolto di umano sentire che una via alla Pace là si può intraprendere, con il coraggio necessario a consentire a quel dialogo tra le parti tanto invocato. Si ha la percezione e il cambiamento climatico ci fa avvertiti, di aver raggiunto un limite invalicabile se si vuole salvare la vita umana e del pianeta.