La fede e la tempesta

L'esperienza del limite come condizione di possibilità per educare i giovani alla fede e alla speranza
22 Giugno 2021

«Cosa saremmo senza limiti? Dio, forse, o semplicemente cellule sparse sul pavimento». Ero poco più che ventenne quando una mia amica mi scrisse queste parole. Io ero in piena crisi post-adolescenziale e nella ricerca della mia identità mi scontravo di continuo con quelli che mi sembravano gli invalicabili confini della mia personalità, e che mi parevano anche assai ristretti, in verità, facendomi sentire piccolo e inadeguato. Lei, di pochi anni più grande, mi fece capire in una frase che invece è proprio la consapevolezza del limite la più importante premessa per costruire noi stessi là dove siamo; e anche quando si è morsi dal desiderio di andare oltre, è sempre da questa consapevolezza bisogna partire.

Un limite è un qualcosa che stringe, che blocca, che lega, ma è anche qualcosa che contiene, dà forma e definisce: avvicinarsi ad esso fa paura, perché ci fa uscire dal delirio di onnipotenza infantile, facendoci sperimentare quella che Don Tonino Bello chiamava l’onnidebolezza. Tuttavia è l’unica maniera che conosco per crescere.

Lavorando con i bambini e i preadolescenti, età in cui si inizia a prendere consapevolezza della propria identità autonoma, mi rendo conto che nell’epoca in cui viviamo è proprio il concetto di contenimento ad essere in discussione: in questi anni ho assistito, tra genitori e figli, ad estenuanti contrattazioni (anche davanti a problemi semplici), decisioni delegate e responsabilità aggirate, apparentemente per non imporre obblighi illiberali, ma con risultati che nella maggior parte dei casi hanno deluso le aspettative sia dei genitori che dei figli.

Un contenimento, del resto, non è solo una costrizione, è anche qualcosa che ci fa conoscere, ci dà sicurezza e ci protegge. È come una regola e, in quanto tale, è una convenzione, ossia il presupposto fondamentale per una relazione con gli altri: non può essere inamovibile in assoluto, ma in qualche modo deve essere ferma altrimenti non è punto di riferimento.

Mi ha colpito, in questo senso, la prima lettura della messa di domenica 20: dal capitolo 38 del libro di Giobbe, Dio descrive di come abbia imbrigliato il mare neonato, chiudendolo tra due porte e fasciandolo come un infante tra nebbia e nubi. Una dimostrazione di potenza non fine a sé stessa, perché il mare rappresenta la forza incontrollabile della natura, l’oscuro abisso popolato da mostri sconosciuti. Un simbolo che ritroviamo spesso nella Bibbia, dalla Genesi all’Esodo, fino al libro di Giona, e che dovunque rappresenta il caos delle acque primordiali «che sono sotto il cielo», in cui Dio riesce a dare un ordine. Chi abbia visto la basilica patriarcale di Santa Maria Assunta di Aquileia (UD) o la Cattedrale di Santa Maria Annunziata ad Otranto (LE) ha potuto compiere un viaggio simbolico e purificatore proprio tra le creature che popolano il mare, animandolo nell’eterna lotta tra bene e male; una lotta in cui ciascuno di noi si muove ed è chiamato a fare la propria parte, perché Dio mette ordine nel caos, ma non lo fa magicamente al posto dell’uomo.

Da educatore mi pongo il problema: in un tempo in cui le regole sociali stanno rapidamente cambiando, sono in grado di aiutare i giovani a confrontarsi con gli altri? In un tempo in cui i limiti personali si possono alterare, estendere, manipolare e quasi rifiutare, sono in grado di accompagnare i giovani a scoprirsi ed accettarsi? Educare i giovani alla speranza e alla fede significa metterli passivamente in attesa che il loro star bene arrivi per magia?

La stessa domenica, nella lettura del Vangelo troviamo l’episodio in cui Gesù calma la tempesta. Presumo che nella narrazione Marco (capitolo 4) abbia accentuato i toni della vicenda, facendocelo immaginare con una portata epica che all’uomo moderno forse dice poco. A me piace immaginare una situazione più reale, in cui Gesù invita i suoi compagni a non farsi prendere dal panico, nonostante la difficoltà del momento. In fondo, ce lo siamo detti per un anno intero: “andrà tutto bene!”. Cos’altro è se non un invito ad avere fede? Per tanti probabilmente questo auspicio non è che una fiducia che un miracolo arrivi dall’alto, io preferisco pensarlo come ad un modo di affrontare la quotidianità, accettando la complessità del reale, che mi limita, certo, ma rappresenta il mondo in cui vivo.

 

4 risposte a “La fede e la tempesta”

  1. Paola Meneghello ha detto:

    Educare al rispetto del proprio limite, è educare al buon senso, alla tolleranza, al saper cercare la ragione nel torto dell’altro, ad amare e ad amarsi per ciò che si è.
    Educare è sempre un po’ camminare su un filo sottile, se pensiamo anche che comunque un giovane, per crescere, ma forse noi tutti, abbiamo anche bisogno della ribellione , come capacità di indignazione, di fronte anche a regole che in coscienza non ci sembra facciano crescere l’umano.
    Siamo esseri limitati, e per questo ci diamo delle leggi, ma il fine è superare anche i nostri limiti, pur accettandoli, per questo è sempre tutta una questione di buon senso, e prima che di ragione, di sensibilità, quando c’è di mezzo l’educazione spirituale.
    Visione, che aiuta ad andare oltre, ad allargare il punto di vista, non riduciamone la grandezza in regole e regoline, chiediamoci come mai Gesù non abbia lasciato norme scritte, ma esempi, e seguiamo quella strada..

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La mascherina che all’inizio è sembrata così costrittiva, museruola imposta, oggi esperienza protettiva, in difesa di un male maggiore; in realtà tutte e due le cose, sta alla nostra libertà scegliere a quale bene mirare. Al di là di confessare una fede, ma perché non sostare a ragionare se la dottrina, il Vangelo di quel Gesu Cristo che malgrado i comportamenti umani ha attraversato generazioni, non sia giusta via sulla quale fermarci a considerarne il bene che ha prodotto. Oggi ogni libertà e idolo, produce effervescenti passioni, ma anche schiavitu, costrizione imposta da un uomo a un altro uomo. Non salvavita. L’aria diventata in certe zone causa di malattie. Terreni contaminati, giovani addictives. Quanti i fatti riportati ogni giorno che hanno un segno di morte. Ma Cristo offre alternativa, come salvare la vita, merita da chiunque porre mente alla sua Parola, quale è la vera libertà .

  3. Paola Buscicchio ha detto:

    Pensavo oggi ad un fiume che corre tra due sponde.
    Senza di esse non esisterebbe il suo corso così noi siamo determinati dagli eventi che via via ci conducono non dove sono le nostre aspettative ma dove è la volontà di Dio.
    Affidarsi alla corrente di grazia che anima la Chiesa è un atto di fede maturo e responsabile.
    È dove lo Spirito che ci conduce che noi siamo diretti.
    Non possiamo fare congetture a priori perchè opporremmo resistenza al cambiamento.
    La felicità in fondo sta tutta qua: nell’accettare di essere condotti per altre vie.

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Suggerisci a Daniele una parola che ho messo al centro delle mie ultime meditazioni.
    QUANTITÀ.
    – Viene PRIMA di limite.
    – la Creazione si basa su di essa.
    – qualsiasi q.tá. è relativa ad un rif.to convenzionale
    – se mondo… then q.tå
    Se q.tå then limiti
    Se limiti then bene/male
    Tertium. Non datur
    Ecc
    Ecc

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